
Memoria e Futuro
Le Ricorr(ass)enze
Ho temuto fino all’ultimo ieri che accadesse e invece niente. Ascoltavo il surreale omaggio a Charlie Kirk nel emiciclo italiano e attendevo il momento in cui un qualche parlamentare infervorato si lanciasse nella proposta di una giornata dedicata al ricordo dell’ultimo “martire della libertà di parola” (la sua, perché su quella degli altri ha avuto spesso da dire). E invece, niente. Che delusione. Si vede che non era sentita fino in fondo, questa commemorazione.
Eh sì, perché da qualche tempo a questa parte spesso vengono evocate nuove giornate (ovviamente non festive) per qualsiasi cosa. Maestra in questo è l’ONU che, in materia di commemorazioni, è ai livelli olimpici. Pronta a istituire una giornata per qualsiasi cosa, dal diritti dei lemuri alla celebrazione della quinoa.
Quante sono? Beh, se il martirologio cristiano è un affollatissimo album di figurine sacre, l’ONU non scherza. Le giornate internazionali ufficiali sono oltre centocinquanta, e crescono ogni anno come funghi dopo la pioggia. C’è la Giornata della Felicità, quella delle Lingue Arabe, quella dei Popoli Indigeni, persino la Giornata Mondiale del Gabinetto (vero, il 19 novembre). Un calendario che sembra compilato da un burocrate con un feticcio per le ricorrenze e un disperato bisogno di riempire agenda.
Chi, come me, ha la sana abitudine di leggere Anteprima di Giorgio dell’Arti ogni mattina (e sarebbe il caso lo faceste anche voi) vede scorrere ogni giorno, tra le varie notizie condensate, anche le giornate dedicate dall’ONU (e non solo).
Ora, mettiamole in parallelo con il “santo” martirologio cristiano. Qui siamo nel regno della quantità assoluta. Il martirologio romano conta migliaia di santi, circa settemila per l’esattezza, anche se solo una frazione ha il privilegio di una festa liturgica universale. Ma la macchina delle canonizzazioni non si ferma mai: ogni anno il Vaticano sforna nuovi beati e santi con una regolarità che farebbe invidia a una catena di montaggio. Insomma, il pantheon cattolico è un condominio in perpetua espansione.
Il parallelo è irresistibile. Da una parte l’ONU, con le sue giornate che spesso si risolvono in un comunicato stampa e un hashtag dimenticato in 24 ore. Dall’altra la Chiesa, che da secoli gestisce un business di santi che, almeno loro, un miracolo l’hanno fatto. Entrambi i sistemi moltiplicano le entità commemorative con fecondità encomiabile. Ma mentre i santi, si presume, hanno ottenuto (per chi ci crede) risultati tangibili (anche se postumi), le giornate ONU rischiano di essere mere esercitazioni retoriche.
In fondo, è il trionfo della commemorazione sulla azione. Istituire una giornata è facile, costa poco e dà l’impressione di fare qualcosa. Risolvere i problemi veri? Molto più complicato. Forse, in un eccesso di autoironia, l’ONU dovrebbe proclamare la “Giornata Internazionale della Lotta alla Proliferazione delle Giornate Internazionali”. Ma temo che anche quella sarebbe solo un’altra voce nel calendario.
Ma perché limitarci alle giornate ONU o ai santi, quando l’Italia è maestra nell’arte di aggiungere festività laiche con un fervore che, purtroppo, non applica alla loro reale assimilazione civile?
Negli ultimi anni, il nostro calendario civile si è arricchito – o affollato, dipende dai punti di vista – con solennità doverose e a volte controverse. Abbiamo il Giorno della Memoria (27 gennaio), a cui dopo qualche anno ha fatto da contraltare il Giorno del Ricordo (10 febbraio) per le vittime delle foibe, e la Giornata dell’Unità Nazionale (17 marzo, anniversario dell’Unità d’Italia). Istituzioni sacrosante, senza dubbio. Peccato che spesso si riducano a rituali: discorsi in Aula, articoli di giornale, cerimonie che, per la maggior parte dei cittadini, significano poco più di un servizio al telegiornale visto distrattamente.
Ma il vero capolavoro di ironia della storia è un altro. È il silenzio tombale che avvolge ormai il 20 settembre, la festa che celebra la Breccia di Porta Pia e la fine del potere temporale dei Papi. Quella data era il simbolo dello Stato laico, dell’Italia che si era fatta non solo contro l’Austria, ma anche contro l’oscurantismo clericale. Era la festa della libertà di coscienza.
Oggi? Oggi è un relitto, un ricordo sbiadito cancellato dai Patti Lateranensi e dalla convenienza politica di ogni governo, di ogni colore, che ha preferito non sfregare l’orso nella tana. E qui la beffa raggiunge il suo apice. A guidare il paese c’è un partito che si chiama Fratelli d’Italia. Un nome che evoca Mameli, il Risorgimento, i valori fondanti della nazione. Eppure, di quella data fondante, il 20 settembre, che dovrebbe essere la loro festa per antonomasia, non si sente quasi mai parlare. Un silenzio assordante, imbarazzante.
Perché? Perché forse è più comodo celebrare le memorie divise del ‘900 o i martiri lontani che non mettono in discussione gli equilibri di potere attuali. Parlare del 20 settembre significherebbe riaprire un contenzioso storico con la Chiesa Cattolica, un avversario ancora potentissimo nel nostro paese. Significherebbe ricordare che lo Stato italiano si è fatto anche contro il Papa-Re. Un concetto che sembra far tremare i polsi persino a chi si riempie la bocca con la retorica della sovranità nazionale.
È la quintessenza dell’ipocrisia italiana: avere un partito al governo che porta il nome dell’Unità d’Italia, mentre la festa che ne rappresenta il compimento laico e anticlericale giace in un dimenticatoio tanto comodo quanto vigliacco. La Breccia di Porta Pia è diventata una breccia nella nostra memoria, suturata dall’opportunismo. E così, mentre aggiungiamo nuove giornate del ricordo, quella che forse più ci ricordava chi avremmo dovuto essere, se la sono portata via nel silenzio. Una beffa perfetta.
Chissà, forse aveva ragione Mimmo Modugno, se allarghiamo il concetto personale che esponeva nella sua canzone L’anniversario all’ambito sociale. Abbiamo davvero bisogno di tutte queste ricorrenze o meglio un “ricordo senza data, senza carta bollata”?
Devi fare login per commentare
Accedi