Memoria e Futuro

L’era della competenza quantistica

di Marco Di Salvo 3 Dicembre 2025

C’è, a volte, un momento magico nella vita professionale italiana in cui il curriculum smette di essere un documento da compilare e diventa una questione di opportunità politica. Succede, in genere, quando conviene a chi si trova in ruoli di prima visibilità. E la cosa più bella è che puoi cambiare idea tutte le volte che vuoi, basta cambiare argomento.

Prendiamo l’accoppiata di interviste che ieri hanno fatto sobbalzare e sorridere i più attenti alle minuzie (sempre che di minuzie si tratti): Alessandro Giuli su La Stampa e Rocco Casalino su Repubblica. Due visioni del mondo agli antipodi, unite da un unico filo rosso: la straordinaria capacità di contraddire esattamente quello che i loro schieramenti politici hanno sostenuto per anni.

Alessandro Giuli, ministro della Cultura del governo Meloni, ha una teoria affascinante: “Sostengo da sempre, anche se la biologia l’ha negato, che la funzione crea l’organo”. Traduzione nel caso in esame: non importa cosa hai fatto prima di essere nominato, è il ruolo che ti fa diventare competente. “Quando sono entrato al MAXXI sono stato riempito di contumelie, però credo di averlo lasciato migliore di come l’ho trovato. Eppure non ero certo un piccolo Philippe Daverio.”

Bellissimo. Toccante. Lamarckiano.

Peccato che questo ministro venga da un partito che per anni ha martellato sul curriculum di Giorgia Meloni come prerequisito fondamentale per Palazzo Chigi. “Ha esperienza di governo”, “è stata ministro”, “ha fatto la gavetta”, “conosce i dossier”. Il curriculum della Meloni è stato brandito come uno scudo contro ogni critica.

E adesso? Adesso il curriculum non serve. “Chi è il migliore e dove sta?”, si chiede retoricamente Giuli. La competenza si acquisisce in carica. La funzione crea l’organo. Quindi: quando si trattava di legittimare Meloni a Palazzo Chigi, il curriculum era sacro. Adesso che si tratta di difendere Beatrice Venezi alla Fenice (“Potrete anche pensare che Venezi non sia la più brava, ma andrebbe messa alla prova”), il curriculum è un dettaglio borghese.

E poi c’è Rocco Casalino. L’ex portavoce del Movimento 5 Stelle, quelli (una volta) dell'”uno vale uno”, del “basta con la casta dei professoroni”, del “la competenza vera è quella della vita”. Sempre ieri, sul quotidiano di Piazza Fochetti, Casalino difende strenuamente l’importanza del curriculum nella scelta del candidato premier: “Sarò di parte, ma penso che il curriculum debba contare. E una cosa è un professore universitario, avvocato di successo e due volte premier, un’altra una giovane con poca esperienza come Schlein.”

Aspetta, Rocco. Tu vieni dal Movimento che ha portato in Parlamento gente pescata dai bar, dai call center, dalle chat di Facebook. Il Movimento che diceva: “Non servono i tecnici, serve la gente normale”. Che teorizzava che un cittadino qualunque valesse quanto un premio Nobel. Quando Di Maio è diventato vicepremier e ministro a 31 anni, con il diploma e qualche lavoretto alle spalle, il curriculum non contava. Anzi, era un vanto: “Non siamo corrotti dai palazzi, siamo gente vera”.

E adesso? Adesso il curriculum è fondamentale. Conte è professore universitario, avvocato di successo. Schlein è troppo giovane, ha “poca esperienza”. Il paradosso si fa ancora più gustoso quando Casalino parla del suo nuovo giornale. Cerca “giornalisti bravi” all’indirizzo nuovogiornale2026@gmail.com. Gmail. La piattaforma che usiamo per le newsletter che, spesso, dirigiamo direttamente in spam (tranne quella de Gli Stati Generali, naturalmente… 😉). E quando gli chiedono dell’editore Andrea Iervolino, indagato per truffa, risponde: “Ho letto tutte le carte, è un outsider, è di quelli che piacciono a me.” L’uno vale uno, ma alcuni uno valgono più di altri.

Siamo di fronte a uno spettacolare scambio di ruoli. La destra di Meloni, che ha costruito la sua legittimazione sul curriculum della leader, adesso sostiene che il curriculum non conta e che “la funzione crea l’organo”. Basta nominare qualcuno e diventerà bravo. Il Movimento 5 Stelle, che nasceva sul principio “uno vale uno” e sulla negazione delle competenze tecniche, adesso fa la battaglia del curriculum. Conte è un professore universitario, come si permette Schlein? È come se si fossero scambiati i copioni a metà spettacolo. E nessuno sembra accorgersene.

Forse dovremmo codificare una nuova teoria, tutta italiana. Principio primo: il curriculum conta quando serve a legittimare il tuo candidato e non conta quando serve a delegittimare quello degli altri. Principio secondo: l’esperienza sul campo è fondamentale se ce l’ha il tuo leader, è irrilevante se ce l’hanno gli oppositori. Principio terzo: “la funzione crea l’organo” vale per le tue nomine, non per quelle altrui. Principio quarto: l'”uno vale uno” è sacro quando ti serve per abbattere le élite, è un’idiozia quando devi difendere il tuo professorino.

La verità è che stiamo vivendo nell’era della competenza quantistica. Il curriculum esiste e non esiste contemporaneamente. Conta e non conta. Dipende da chi lo guarda, quando lo guarda, e soprattutto contro chi lo usa. Giuli viene da un partito che ha fatto del curriculum della Meloni una bandiera e adesso teorizza che “la funzione crea l’organo”. Casalino viene da un partito che ha fatto dell'”uno vale uno” un manifesto e adesso sostiene che “il curriculum deve contare”.

Nessuno dei due sembra accorgersi della contraddizione. O forse se ne accorgono benissimo, ma pensano che noi non ce ne accorgiamo. O che ce ne siamo dimenticati.

Noi, poveri mortali, continuiamo a mandare CV in formato PDF, con lettere di presentazione e referenze. Come se esistesse ancora un criterio oggettivo per valutare la competenza. Come se la coerenza fosse una virtù e non un limite alla fantasia.

Che ingenui.

 

P.S. – Per il 2026 proponiamo “Il curriculum di Schrödinger”: un CV che esiste e non esiste in base a chi lo osserva. Sarà un successo. O forse no. Dipende da chi governa.

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