Memoria e Futuro
L’illusione delle leader
Mentre in Francia fanno il conto alla rovescia per quando Marine Le Pen andrà all’Eliseo (giudici permettendo) e in Giappone in lizza per sostituire il premier liberaldemocratico c’è anche una donna, un dato pare oramai consolidato. In un mondo dove la parità di genere nelle posizioni di governo rimane un traguardo lontano – secondo le stime dell’Unione Interparlamentare ci vorranno ancora 130 anni per raggiungerla – si conferma che la maggioranza delle donne che raggiungono la massima leadership proviene da partiti conservatori. Questo paradosso caratterizza soprattutto l’Europa, dove figure come Ursula von der Leyen (Commissione UE) e Roberta Metsola (Parlamento UE) provengono dall’area politicamente conservatrice del Partito Popolare Europeo. A queste si aggiungono leader nazionali come Giorgia Meloni in Italia, e, storicamente, Margaret Thatcher e Theresa May nel Regno Unito (e tutte le loro epigoni nel partito conservatore odierno, sempre più a destra dei maschi dello stesso partito), e le rappresentanti dell’estrema destra europea Marine Le Pen in Francia e Alice Weidel in Germania.
Il fenomeno non è limitato al Vecchio Continente. Come dicevamo prima il prossimo primo ministro giapponese potrebbe essere Sanae Takaichi, esponente di spicco dell’ala destra del Partito Liberal Democratico, nota per le sue posizioni conservatrici sulla revisione della costituzione pacifista e per la sua vicinanza politica all’ex premier Shinzo Abe. Se eletta, Takaichi diventerebbe la prima donna a guidare il Giappone, un traguardo storico per un paese che occupa la 125esima posizione globale per divari di genere.
La sua figura incarna molte caratteristiche tipiche delle leader conservatrici: un background in settori tradizionalmente maschili (in questo caso la sicurezza economica e gli affari interni), posizioni nazionaliste e una retorica di forte opposizione agli aumenti dei tassi di interesse.
Le spiegazioni di questo fenomeno sono complesse e multifattoriali. Da un lato, i partiti conservatori hanno saputo strumentalizzare strategicamente le leadership femminili per riconquistare il voto delle donne, che negli anni ’70 si era progressivamente spostato a sinistra per poi riconfluire nell’alveo conservatore anche grazie a scelte di temi politici, spinte da paure legate all’immigrazione e alla sicurezza. La conflittualità interna al mondo progressista tra i generi ha creato più ostacoli alle leadership femminili, per non parlare forse della concorrenza interna di genere, che ha contribuito a frazionare il consenso verso una possibile leader donna.
Dall’altro, molte di queste leader adottano caratteristiche tradizionalmente maschili nei loro stili di comando, con background in settori “duri” come la fisica (Angela Merkel), la chimica (Margaret Thatcher) o la difesa (Ursula von der Leyen). Questo permette loro di conquistare la fiducia di elettorati tradizionalmente scettici verso le donne al potere.
Ma c’è un paradosso legato a questa apparente crescita di leadership femminile nel mondo. A inizio 2025 solo il 14.5% dei Paesi al mondo era guidato da una donna e le donne occupavano solo il 27.2% dei seggi parlamentari globali. I progressi effettivi della rappresentanza sono “glaciali”: il 2024 ha registrato la crescita più lenta della rappresentanza femminile negli ultimi 20 anni, con un calo in 2/3 dei 46 Paesi analizzati dalle ricerche sul tema.
Tuttavia, il successo delle leader conservatrici rappresenta una sfida per i progressisti, che faticano a promuovere donne ai loro vertici nonostante storicamente si siano mostrati più attenti alle tematiche di genere. Il caso giapponese di Takaichi è emblematico: il suo arrivo a capo del governo sarebbe un traguardo simbolico per la parità di genere, ma difficilmente si tradurrebbe in politiche femministe, data, ad esempio, la sua opposizione a riforme come quella sul cognome matrimoniale.
Il paradosso resta: le donne conquistano il potere più facilmente quando rappresentano valori tradizionali, ma il loro accesso alla leadership – anche conservatrice – contribuisce comunque a scardinare il tetto di cristallo in politiche dominate dagli uomini. Quanto questo serva ad azzerare le politiche che hanno contribuito anche a far si che ci fosse sempre poco spazio riservato alle donne, è ancora tutto da dimostrare.
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