Cosa vi siete persi

P.P.P.S.S. – Pasolini Santo Subito (ovvero che intellettuale sei se non glorifichi Pasolini)

di Marco Di Salvo 28 Ottobre 2025

Ricevere le segnalazioni sulle uscite pasoliniane tra settembre e ottobre 2025 è come essere travolti da una vera e propria canonizzazione culturale. Pasolini non è più solo un autore o un intellettuale, ma una sorta di santo laico che imperversa nelle librerie italiane come se fosse appena stato beatificato dalla Chiesa cattolica. E non è una metafora esagerata: proprio come la Chiesa riserva la sua santità a personaggi come Padre Pio, così nel mondo degli intellettuali italiani Pasolini è diventato intoccabile, venerato con lo stesso fervore con cui si difende il culto dei santi.

Lo spettacolo è paradossale: negli ambienti che vorrebbero mostrarvisi più distanti possibili dal religioso e dal dogmatico, si assiste invece spesso allo stesso meccanismo di beatificazione, con Pasolini eretto a monumento inattaccabile, raramente messo in discussione e sempre citato come parola magica per dimostrare una qualche legittimazione intellettuale. Questa ricorrenza, infatti, ha dato nuova linfa a questo fenomeno che è già ben radicato nella cultura italiana, dove citare Pasolini equivale a un pass per il club esclusivo degli “intellettuali veri”, con tanto di rituali sacri e dogmi da rispettare.

Ora, se questo culto diffuso può essere comprensibile nella sua banalità, diventa decisamente grottesco quando personaggi politici come Antonio Tajani citano Pasolini. Tajani ha qualche giorno estratto per esempio dal contesto un passo famoso di Pasolini sull’articolo scritto per L’Espresso nel 1968, “Vi odio cari studenti (Il PCI ai giovani!)”, relativo agli scontri di Valle Giulia, in cui Pasolini difendeva i poliziotti come “figli di poveri” contro i “figli di papà” degli studenti ribelli. Una riflessione tecnica e sociale profondissima che invece Tajani ha strumentalizzato per difendere le forze dell’ordine durante le manifestazioni recenti. Ne è uscita una citazione del tutto fuori luogo, ridotta a slogan, che è diventata un mantra innalzato a bandiera proprio da chi, da sempre, non sopportava Pasolini. Ed è emblematico come questa frase sia servita spesso sia a chi voleva delegittimare Pasolini da vivo, sia a chi oggi lo usa a comodo, da morto, trasformandolo in una figura incomprensibile a causa di questa travisazione.

In questo contesto di santificazione culturale e citazioni abusate, i libri del “nostro” Alfio Squillaci e di Fulvio Abbate emergono come due antidoti indispensabili.

Squillaci, con il suo libro edito da Gog Edizioni, mette in luce il Pasolini reale, tormentato dalla sua stessa contraddittorietà tra impegno politico e riflessione poetica, ridicolizzando i luoghi comuni di celebrazione per mostrare un uomo complesso, in bilico tra rivoluzione e tragedia personale. Abbate, autore di “Quando c’era Pasolini” (pubblicato da Baldini+Castoldi nel 2022 e rimesso in giro per l’occasione), si pone invece lontano dall’agiografia per restituire Pasolini come figura umana e controversa, denunciando la “pasolinite” degli intellettuali che lo citano come un mantra per entrare nel “giro giusto” culturale, trasformandolo in un idolo intoccabile e svuotato di vere domande.

I due testi invitano a smontare il mito, a leggere Pasolini con ironia, critica e consapevolezza, recuperando la sua urgenza e contraddizione, invece di piegarlo ai riti della santità culturale. Quindi, in un’Italia dove Pasolini si può ormai quasi toccare e adorare come Padre Pio, magari con meno miracoli ma con almeno uguale dogmatismo, vale la pena respirare attraverso Squillaci e Abbate, che ci ricordano come un vero grande autore non può essere né un dio inaccessibile né uno slogan politico.

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