Piazza della Scala, a Milano, un archetipo di Piazza che, insieme alla villa, costituisce uno dei cardini di ogni architettura.

L'architettura e noi

La piazza e la villa, esercizi perfetti dell’architettura

di Cristoforo Bono 13 Dicembre 2025

Cosa manca oggi nella fabbricazione urbana? Mancano due cose, due tipologie complesse essenziali alla città: la piazza e la villa.
La piazza dei Greci, scrive il Palladio (traendo da Vitruvio) era quadrata, e quella dei Romani rettangolare, in quanto, dovendosi premiare i gladiatori, era più adatta.
La piazza dunque era sede di attività, oltre che di comodo: e fin dai greci, essendo interposta tra Curia e Basilica. Oppure era donazione del potere, come quella royale a forma di triangolo a Parigi al culmine dell’Ile, verso il Pont Neuf.

Tuttavia la forma, nel corso della storia, perde la sua preminenza, essendo la piazza soprattutto una sospensione.
“Non stancarsi di dire la forza di sospensione del piacere: è una vera epoché, un arresto che fissa in lontananza tutti i valori ammessi. Il piacere è un neutro” (Barthes).

Il piacere è soprattutto il piacere dell’incontro; di più: nella strada ci si incontra, nella piazza ci si vede. Vediamoci in piazza, si dice.
Quella della piazza è allora una visione introspettiva, indipendente dalla forma e sicuri dell’intorno. Essa c’è perché c’è un intorno, cui far luogo.
La piazza è deserta se io non sono nella piazza; e così io sono nella villa, perché essa è un mio mondo, mentre posso non essere nel palazzo, perché comunque mi rappresenta; esso appartiene alla strada, alla città, e può essere sincero come Palazzo Ruccellai di Leon Battista Alberti, che ripete uguali i due piani, o auto gerarchico o puramente esornativo, come quelli di Genova della Strada nuova.

Dunque la piazza è la prova dell’architettura, essa non esiste se non esiste l’architettura, così come la villa è la testimonianza dell’architettura, essa non c’è se prima non c’è il palazzo. L’architettura genera la piazza e il palazzo genera la villa.
E cosa può generare un linguaggio se non una lingua? E in effetti l’architettura è una lingua.

Piazza della scala a Milano doveva essere una sequenza: non on litar in quater, cioè poca cosa (definizione del Rovani per il monumento a Leonardo).
La Banca commerciale doveva avere un altro significato, più simile a piazza Cordusio, cioè un’esedra.
E la Scala doveva essere una sorpresa, cioè lasciare delle quinte: avere lo stesso effetto, con significato diverso, del teatro di strada. Non doveva vedersi il tetto, vederla venire da una città indistinta, normale, dalla quale distinguersi, non sulla quale stagliarsi.

La piazza è la città che si evidenzia, e la villa è il palazzo che si sostanzia. In questo caso la piazza non sarebbe stato un neutro, in virtù della tipologia della galleria, che è insieme una sosta e un transito, cioè è una tipologia nuova. Parimenti piazza del Duomo doveva traguardare, con altre alternanze, il Broletto (e così via fino al Castello).

“Un piccolo cortile, con la vera del pozzo in pietra bianca e il bacile e il mascherone della fonte, permetteva allora di accedere ai diversi corpi di fabbrica: ristretti in un gruppo a concluderlo, a definirlo. Nessuna premeditata architettura li legava, ma il vincolo della necessità unicamente, o della opportunità famigliare. C’era la vecchia stalla, senza più il cavallo, però: la tinaia, senza più i tini: la cucina a piano terra… E l’abitazione del casiere, vuota, a cui si accedeva da una scaluccia esterna. E la casa padronale, con la torretta traforata dei colombi, alta sul tetto”.
(Carlo Emilio Gadda, Una buona nutrizione, “I racconti” 1945).

È questa una origine della piazza e, al tempo, della villa, in Toscana. E, come tale, somiglia ad altre origini, sia spontanee che colte. La piazza è un luogo finito, ma la sua finitezza è idealmente senza bordi. Dalla piazza si guarda e si traguarda, i suoi percorsi sembrano casuali ma sono esatti, come per prendere la misura delle cose (vedi Cesare Brandi).
La piazza è anche la memoria della città, nella piazza si arriva, ma anche ci si diparte; e il percorso è sicuro, graduale: idealmente anche verso la campagna, e in ciò somiglia alla villa.
La piazza nasce sempre incompiuta, perché è un largo, cioè, musicalmente, si chiude con una cadenza.
La piazza ha sempre un disegno compiuto, anche se si vorrebbe a volte ridisegnare, perché il processo che l’ha formata è irripetibile.

 

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