Memoria e Futuro

Potere e irresponsabilità

di Marco Di Salvo 23 Dicembre 2025

Esiste un momento particolare nella vita politica italiana in cui l’imbarazzo si trasforma in strategia. È quel momento in cui un governo, di fronte a decisioni dolorose e impopolari, smette di guardare i cittadini negli occhi e trova rifugio in formule salvifiche che deresponsabilizzano. Le più celebri di queste formule sono lo scaricabarile sui dirigenti ministeriali e sul mantra “Ce lo chiede l’Europa”.

Il primo e più sottile meccanismo di deresponsabilizzazione è quello che scarica la colpa sui dirigenti ministeriali, sulle cosiddette “manine” della burocrazia. È uno strumento che governi di centrodestra e centrosinistra hanno utilizzato con disinvoltura ogni volta che sono stati colti con le mani nel sacco di decisioni impopolari. Il sistema funziona così: quando un provvedimento impopolare viene adottato, il ministro può nascondersi dietro la separazione tra indirizzo politico e gestione amministrativa e accusare quest’ultima di errori di valutazione, quando non di vera propria malafede. La legge italiana stabilisce che ai dirigenti spetta l’adozione di atti e provvedimenti amministrativi, mentre ai politici compete solo l’indirizzo generale. Questa separazione, che in teoria dovrebbe garantire efficienza e neutralità della pubblica amministrazione, diventa in pratica uno strumento per evitare di assumersi la responsabilità politica delle scelte.

Un esempio recente e clamoroso di questo meccanismo è emerso proprio ieri, durante la discussione sulla Manovra di bilancio. Quando le polemiche sulla riforma delle pensioni hanno rischiato di far esplodere la maggioranza di governo, il sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon ha tirato fuori dal cilindro la formula perfetta: la colpa è dei tecnici del Ministero dell’Economia. In un’intervista al Giornale, Durigon ha dichiarato senza giri di parole che i tecnici ministeriali dovrebbero “lanciare il cuore oltre l’ostacolo”, sottintendendo che fossero loro a frenare le proposte più coraggiose del governo. Il senatore leghista Massimiliano Romeo ha confermato la linea: lo scontro in Commissione Bilancio non era stato con il ministro Giorgetti, ma con i tecnici del MEF e della Ragioneria di Stato che “insistevano sulle pensioni”. È la perfetta incarnazione del meccanismo: i politici propongono misure populiste ed economicamente insostenibili, i tecnici fanno notare che i conti non tornano, e a quel punto i politici si rivolgono all’opinione pubblica lamentandosi dei burocrati che frenano le loro idee “coraggiose”. Che, come si è visto anche in quest’ultima vicenda, arretrano fino a dover fare cassa nei soliti modi, tra aumenti di accise e tagli di vario tipo, con un bel saluto alle promesse elettorali.

Ma se lo scaricabarile sui dirigenti è una pratica consolidata, lo slogan “Ce lo chiede l’Europa” rappresenta il capolavoro della deresponsabilizzazione politica. Sempre più usato man mano che la presenza delle decisioni prese a Bruxelles si facevano strada anche nell’ordinamento nazionale, si è consolidato nell’immaginario collettivo durante l’estate del 2011, quando il governo Berlusconi cercava di convincere i propri alleati ad approvare una dura manovra finanziaria. Quindi in realtà furono proprio i leader del centrodestra i primi a utilizzare strumentalmente (diciamo senza sentimento) questa formula, nonostante in seguito molti di quegli stessi partiti siano stati fortemente critici verso l’Unione Europea. La narrazione divenne ancora più dominante con l’arrivo del governo tecnico di Mario Monti nel novembre 2011, quando l’Italia attraversava la crisi dello spread. Fu allora che “ce lo chiede l’Europa” divenne il mantra perfetto per giustificare tagli alla spesa pubblica, aumenti delle tasse e riforme impopolari come quella delle pensioni firmata (ahilei) da Elsa Fornero.

Il paradosso dell’abuso di questa formula è evidente: i rappresentanti italiani siedono nei Consigli europei, votano le decisioni, contribuiscono a definire le politiche comuni. Eppure, una volta tornati a casa, raccontano agli elettori che sono stati costretti da un’entità esterna, quasi aliena, a prendere quelle decisioni. C’è un dettaglio rivelatore che rende tutto ancora più ipocrita. Mentre nel 2012 Monti giustificava le sue scelte sostenendo che erano richieste dall’Europa, lo stesso Monti da premier rivelò ai deputati di aver ricevuto pressioni di segno opposto: aveva ricevuto “consigli paterni, e qualche volta anche materni, da parte di chi ci diceva di chiedere l’appoggio del Fondo salva stati o del Fmi”. In altre parole, c’era chi suggeriva all’Italia di chiedere formalmente aiuto esterno, il che avrebbe permesso di scaricare completamente la responsabilità delle riforme su organismi internazionali. Questo episodio svela la natura del gioco: i governi europei conoscono perfettamente il valore politico delle pressioni esterne. Sanno che poter dire “ce lo impongono” è molto più comodo che dire “lo facciamo noi”. Lo stesso Monti, sul suo passato di commissario europeo all’economia ha spesso rammentato di come vari capi di governo e ministri europei siano andati da lui a chiedergli di intervenire per far passare una decisione che avevano da prendere come “invocata dall’Europa”.

Questa doppia strategia di deresponsabilizzazione – verso i dirigenti e verso l’Europa – ha conseguenze devastanti per la democrazia. Alimenta la percezione che la politica non serva a nulla, che le decisioni vengano prese altrove, che i rappresentanti eletti siano solo marionette nelle mani di poteri oscuri. Le misure di austerità del 2011-2012 vennero presentate come inevitabili perché richieste dai mercati finanziari e dall’Europa. In realtà, come ammise lo stesso Monti anni dopo, quelle scelte aggravarono la recessione. Il caso Durigon dimostra che nulla è cambiato. Anzi, il repertorio della deresponsabilizzazione si è arricchito: non solo si scarica la colpa sull’Europa, ma anche sui tecnici interni ai ministeri, accusati di non avere “coraggio”.

Un sistema democratico funziona solo se chi governa si assume la responsabilità delle proprie scelte, le spiega, le difende, e poi ne risponde davanti agli elettori. Invece, troppe volte i governi italiani hanno preferito la via della deresponsabilizzazione. Hanno fatto ricadere le decisioni impopolari su dirigenti ministeriali o su entità esterne come l’Europa, evitando così il confronto politico diretto con i cittadini. Questa è forse la vergogna più grande: non quella di prendere decisioni difficili, che è parte del mestiere di chi governa, ma quella di non avere il coraggio di difenderle apertamente, guardando in faccia chi quelle decisioni le subisce.

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