La parolaccia della settimana

Riqualificazione

di Massimo Crispi 5 Settembre 2025

La parolaccia di oggi è riqualificazione.

La riqualificazione riguarda evidentemente qualcosa di squalificato in precedenza, dove la qualità di un tempo si è perduta o è stata offuscata da eventi imprevedibili o volontariamente e quindi si cerca di metterci una pezza, quando non rinnovare del tutto, sperando che la nuova qualità sia soddisfacente.

La riqualificazione riguarda un po’ tutti gli ambiti, diciamo, anche perché la perdita di qualità è una cosa che affligge il presente, sempre più in mano a gente senza qualità che, in quanto tale, difficilmente è capace di gestire la riqualificazione.

Se pensiamo a come sarà complesso, nel futuro, riqualificare un Paese come gli Stati Uniti, dopo la perdita parabolica di qualità che questo ciuffo biondo tinto ha deciso essere il meglio per lui e per gli americani: è convinto che così l’America sarà di nuovo grande, MAGA. Il grottesco è che gli usoniani lo lasciano fare. Ci sono, nella Storia, degli psicopatici che si ritrovano il potere in mano e danno seguito alle proprie perversioni. In genere costoro hanno un ego fuor di misura ed è proprio questo il problema.

L’ego fuori misura riguarda spesso, cambiando registro, anche i registi d’opera, i politici, naturalmente, e gli architetti, soprattutto quando si tratta di riqualificazione urbana, due parolacce correlate.

Chiedo scusa per l’ardire, due parolacce insieme. Ma il cubo nero che si vede fin dalla luna e che sta al posto dell’ex Teatro Comunale, quindi uno spazio del comune, per di più attrezzato già come teatro, uno spazio immenso che avrebbe potuto essere ulteriormente qualificato, dopo il trasferimento della Fondazione in quell’altro cubo nero alla Leopolda, è un bell’esempio, o forse meglio un brutt’esempio, di risqualificazione.

Perché, anziché usare il Teatro esistente come un laboratorio di danza, di musical, di spettacoli d’ogni tipo, anche televisivi, teatro di posa, a livello nazionale, si è preferito utilizzare lo spazio per ricavarci appartamenti? C’era già, era lì, uno spazio immenso, già pronto.

Andare ad abitare nel cubo nero, poi, secondo me fa venire gli incubi! E, diciamolo, la vista è veramente molesta, mal si adatta alle prospettive classiche dei palazzi intorno, è un’emergenza architettonica troppo invadente. Per Firenze, poi, dove la bellezza sembra cristallizzata.

Ecco, un altro punto, la cristallizzazione della bellezza, che spesso è proprio un problema per l’inserimento di qualsiasi cosa. Questo tempo fermato non dev’essere certamente un ostacolo al progresso (quello vero) e, se andiamo ad analizzare le presenze geometriche, in città, scopriamo che la città è costellata di cubi.

Cominciamo dal Palazzo Vecchio, è un cubone merlato con una torre, merlata pur’essa, solo che ci abbiamo fatto l’abitudine e non lo vediamo come cubo ma come simbolo di Firenze. E questo succede da secoli. E vogliamo mettere Palazzo Medici Riccardi o Palazzo Strozzi? Sono cubi pure quelli, perforati, certo, da ampie finestre, e hanno pure il bugnato, va bene, che conferisce al cubo una sua certa eleganza, a chi piace il genere. A me il bugnato risulta pesantuccio; Palazzo Pitti, poi, dopo l’allargamento, ha una facciata veramente brutta; forse, se fosse rimasta come l’originale, almeno a giudicare dalle antiche stampe e pitture, sarebbe stata più digeribile.

A parte i palazzi Corsini e qualcun altro, di architetture barocche, un po’ più movimentate, a Firenze ce n’è pochine, in pratica è una serie di cubi, pure Orsammichele, non scordiamocelo, è un cubo. Un po’ più bello, però, del cubo nero.

Cos’è allora che fa di quel cubo nero l’ecomostro di turno? Il nuovo Teatro Comunale, poco lontano, oltre i viali, accanto alle Cascine è lì, altro cubo, ma è isolato, può piacere o non piacere ma sta in un contesto diverso. Mentre il cubo nero che pare la Kaaba al posto del precedente teatro è come aver messo il nero di seppia nel risotto alla milanese. Voi lo mangereste mai? Ma lo servireste mai, soprattutto?

Probabilmente il rendering nei plastici che gli architetti sogliono fare era un po’ diverso o faceva un’altra impressione. Magari l’ha ospitato nel suo studio anche Bruno Vespa che ha una vera passione per i plastici. Non c’era la visione da Oltrarno che sciocca, nel plastico, e che si può ben vedere qui sotto.

Il cubo nero di Firenze

Ma ampliamo il discorso. Cos’è oggi Firenze, qual è il senso della città?

Qui, come pure in altre città italiane, come Venezia o Siena o San Gimignano, e molte altre, si è messa a reddito la Storia, facendo diventare i centri urbani dei parchi di divertimenti per turisti di qualsiasi tipo. Difficilmente la gente comune ci può vivere, intanto perché la fruizione da cittadino è completamente diversa da quella del turista da luna park, non ci sono più gli esercizi commerciali che garantivano una vita normale agli abitanti, ci sono solo negozi di stracci (perché stracci sono le magliette o i boxer coi genitali del David, fatte in Oriente, ma stracci sono anche i capi griffati) e fast food o trattorie dove non esiste più neanche ciò che è tipico ma solo dei cibi che possano andar bene per qualsiasi palato, a prezzi che fanno cadere la mascella per lo stupore.

Una volta snaturato il centro cosa volete che diventi? Un divertimentificio, è l’unica cosa che resta.

È impossibile una “riqualificazione”, che tu vuoi riqualificare, è perso ormai.

Il cubo nero incombente dall’alto ci ricorda che chi amministra la città, sovrintendenza compresa, è inadeguato a mantenere perfino una riqualificazione, perché la visione di quel cubo è veramente molesta. Chi lo ha visto, chi lo ha approvato? Chi lo ha solamente concepito un orrore così?

L’architettura contemporanea può essere disturbante, lo sappiamo, soprattutto se inserita in un contesto antico, dove, bene o male, c’è un’unità stilistica con cui si può essere più o meno d’accordo. I futuristi avrebbero abbattuto tutto, per loro i musei erano la morte. Eppure la Piramide di vetro del Louvre, pur impattante col resto, non molesta e, anzi, si carica di tanti significati, perfino Dan Brown nel Codice Da Vinci ci elabora sopra.

E sono proprio i musei che attirano masse enormi di turisti, consapevoli e non, a Firenze, il suo destino è ormai segnato.

Una riqualificazione come quella del cubo nero è una masturbazione dell’architetto o degli architetti che hanno voluto eternare la propria incapacità, forse non rendendosene nemmeno conto.

Il nuovo tribunale, nei pressi di Novoli, per esempio, a parte gli spazi inutili interni, dove uno cammina inutilmente in corridoi vuoti prima di raggiungere una stanza, sembra la bozza di progetto di Antonio Sant’Elia messo in lavatrice e poi steso ad asciugare, con tutte le pieghe. Diciamo anche che Sant’Elia è morto nel 1919.

Piuttosto, una cosa a cui si deve pensare è che questa del cubo nero è una delle tante alienazioni di proprietà del Comune, che ha riguardato anche altri enormi spazi cittadini. E, quest’alienazione di beni pubblici, non è stata fatta per creare case popolari e quindi cercare di riqualificare realmente il centro, riportandoci le persone, le persone normali, quelle senza un alto reddito. No, la gentrificazione di Firenze è andata in direzione opposta, si è facilitata l’emigrazione dei cittadini verso le periferie (dove adesso, dopo l’apertura del tram si sono “riqualificati” anche i prezzi degli affitti e delle vendite, quindi con ulteriori speculazioni) e verso i paesi satelliti, più verso il Valdarno che verso Prato o Empoli, dove ancora in qualche modo la speculazione vera non è giunta, ma ci arriverà perché la fame di overtourism è patologica. I poveri sono brutti, chi se ne frega dei poveri, il centro è nostro, è dei ricchi, e per questo possiamo farci ciò che vogliamo.

Il cubo nero è tutto questo, non è né arte né innovazione, è solo, unicamente, speculazione e sciatteria.

La “riqualificazione”, parolaccia in bocca a tutti gli amministratori, è la mistificazione che il linguaggio spesso mostra, usato da chi, nella favola del lupo e dell’agnello, gioca il ruolo del lupo. E questa riqualificazione si fonda, come spiegavo prima, sui cadaveri degli spazi ex-comunali, nella direzione ormai irreversibile del turismo come unica fonte di reddito per la città. Con servizi pessimi e precari, perché la manodopera richiesta per mandare avanti le strutture turistiche grandi e piccole, tutte private, è spesso di bassa qualità e pure in nero. Soprattutto nei luoghi destinati alla ristorazione, la qualità è molte volte bassa, tanto il turista è di passaggio, anche se non torna chi se ne frega, è una mucca da mungere, ma per i proprietari costa meno. Se si facesse un blitz al giorno si scoprirebbe un mondo sommerso senza fine.

In un contesto simile si può anche capire come un cubo nero sia stato possibile. Ciò non significa che sia una cosa buona e che il tipo di marketing di cui è oggetto Firenze sia quello giusto. Anni fa feci notare come Chiara Ferragni, accanto alla Venere del Botticelli, fosse un’icona assolutamente inutile e che, forse, più che di una testimonial di quella risma (le manovre pseudo benefiche del pandoro e dell’uovo pasquale hanno rivelato in seguito la vera natura della persona), più che di qualsiasi influencer, ci sarebbe bisogno di un’alfabetizzazione, sia della popolazione, sia del turista. Cosa difficilissima se non impossibile, il degrado si espande a vista d’occhio ed è lottare in un mare in tempesta. Firenze è un mercato, tutto è diventato mercato, non c’è più spazio per nient’altro. La fruizione turistica che esisteva due secoli fa è una romanticheria e, insieme alle canzoni di Odoardo Spadaro, sono stati gli ultimi epigoni: oggi si può solamente cantare La porti un milione a Firenze, mentre Il valzer della povera gente, ch’è fatto di niente, non si balla più sui lungarni periferici. Anche quelli sono di lusso, ormai.

Ma, come questa rubrica è un divertissement, la speranza di un cambiamento climatico della maniera di vivere il nostro Paese assume anch’essa le sembianze di un divertissement.

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