
Memoria e Futuro
Sindrome Kamala
E ora che la Flottilla Campolargo è stata respinta dal blocco navale meloniano in acque territoriali marchigiane, che ne sarà delle sorti progressive della coalizione di centrosinistra? E, soprattutto, si riuscirà ad evitare il rischio Kamala per Elly Schlein?
Per farlo, sarebbe innanzitutto necessario superare una sindrome di cui è vittima anche il Partito Democratico americano (a quasi un anno dalla sconfitta del novembre scorso ancora imballato e traumatizzato), quella del cosiddetto Demthink, come lo chiama con felice sintesi Nate Silver.
Quest’ultimo, celebre statistico e analista politico, ha coniato il termine “Demthink” per descrivere una particolare sindrome del Partito Democratico americano: la tendenza a vivere in una bolla ideologica, a sopravvalutare il consenso delle proprie posizioni e a perdere il contatto con segmenti cruciali dell’elettorato, particolarmente quello operaio e delle classi medie che una volta faceva il grosso del suo consenso. Una sindrome che, anche nel caso italiano, pare colpire anche i sondaggisti che per i democratici di ogni sponda dell’Atlantico svolgono le ricerche. Questo fenomeno offre una chiave di lettura illuminante anche per comprendere le difficoltà croniche del centrosinistra italiano.
Il “Demthink” si manifesta quando un partito progressista sostituisce l’ascolto della base popolare con il dibattito tra élite urbane, accademiche e mediatiche. I democratici americani hanno pagato questo scollamento con la perdita del “Rust Belt” nel 2016 e difficoltà persistenti nel riconquistare i lavoratori bianchi che storicamente costituivano la loro spina dorsale elettorale. La focalizzazione su temi identitari e culturali, pur legittimi, ha talvolta oscurato le questioni economiche concrete che preoccupano milioni di americani.
Il Partito Democratico italiano presenta analogie inquietanti, nonostante il cambio di guida promettesse il contrario un paio di anni fa. Sappiamo bene che dal crollo della Prima Repubblica, il centrosinistra ha attraversato una crisi di identità permanente, oscillando tra vocazione maggioritaria e frammentazione settaria. Come i democratici USA, anche il PD italiano appare spesso concentrato su battaglie culturali e diritti civili – sacrosanti, ma insufficienti – mentre fatica a elaborare una proposta economica credibile e popolare.
Il fenomeno della “ztl della politica” – l’accusa di essere un partito rinchiuso nei centri storici delle grandi città – è la versione italiana del “Demthink”. L’erosione di territori un tempo “rossi”, dall’Emilia alla Toscana, il crollo nei piccoli centri e nelle periferie, riproduce la geografia elettorale dei democratici italiani: forte (ancora) nelle metropoli cosmopolite, debole ovunque altrove, incapace di invertire la tendenza astensionistica della maggioranza dell’intero elettorato italiano.
Esistono però differenze cruciali. Il sistema bipolare americano costringe i democratici a fare i conti con la realtà elettorale: o si vince o si perde, senza scorciatoie. Il centrosinistra italiano ha invece spesso trovato rifugio in coalizioni eterogenee e governi tecnici, ritardando la resa dei conti con il proprio declino. Inoltre, la frammentazione del campo progressista italiano – con la presenza di Cinque Stelle, sinistra radicale, centristi vari – impedisce quella chiarezza di proposta che caratterizza, nel bene e nel male, i democratici americani.
La lezione che entrambi dovrebbero apprendere è semplice nella teoria, difficilissima nella pratica: riconnettere la politica progressista con i bisogni materiali delle classi lavoratrici e medie, senza rinunciare ai valori liberali e inclusivi, ma evitando che questi ultimi diventino l’unico linguaggio politico. Significa parlare di salari, sanità, istruzione e sicurezza sociale con la stessa passione riservata ai diritti civili. A parole la Schlein ci ha provato, ma non possiamo non sottolineare come l’eco delle sue parole si sia spesso infranto nel vuoto della concretezza delle proposte e della loro realizzabilità parlamentare. E a questo si è congiunto un affannarsi a tenere una postura da opposizione dura e pura che non aiuta il raggiungimento degli obiettivi prefissati.
Il “Demthink” americano è un monito: quando la sinistra smette di parlare al popolo e parla solo di sé stessa, apre praterie elettorali ai populismi. Negli USA come in Italia, il centrosinistra deve scegliere se rimanere un club di anime belle o tornare a essere un movimento di massa. La storia non concede tempo infinito per decidere. E le scadenze elettorali locali risuonano come i rintocchi che avvicinano Elly alla volata finale, quella che rischia di trasformarla definitivamente, in assenza di un cambio di strategia, nella Kamala Harris italiana.
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