Cosa vi siete persi

Tehran, oltre il bianco e nero

di Marco Di Salvo 27 Settembre 2025

Spesso, bombardati come siamo da consigli e indicazioni di visione ci perdiamo nel (presunto) mare magnum di offerta televisiva che ci circonda. 57 channels and nothing on cantava più di trent’anni fa Bruce Springsteen. Ora ci sono anche i servizi streaming ma la situazione non è migliorata. A fermarsi in superficie, le storie tendono ad assomigliarsi un po’ tutte, in questo influenzate dagli orientamenti governati dagli algoritmi. Per questo bisogna andare a scavare negli enormi archivi digitali e si riescono a trovare cose che meritano la nostra attenzione.

Viviamo in un mondo caratterizzato da crisi geopolitiche, tensioni sociali e mutamenti culturali, in cui la tendenza dominante sembra quella di ridurre la realtà a una semplificazione binaria, buoni o cattivi, amici o nemici, giusti o sbagliati. È una logica fatta di schieramenti netti, che sta dominando la comunicazione politica, mediatica e sociale, ma che ignora la complessità che invece contraddistingue profondamente la realtà. Quasi paradossalmente ci viene in aiuto una serie TV israeliana Tehran, giunta alla sua terza stagione, che ci ricorda quanto questo approccio sia limitante, offrendo una narrazione stratificata e articolata, capace di esplorare le sfumature dietro i conflitti.

Tehran segue la protagonista Tamar, un’agente hacker del Mossad, immersa in una missione segreta nella capitale iraniana. Al centro della serie non c’è solo lo scontro tra due stati nemici, ma un intreccio di scelte personali, dilemmi morali, tradimenti e alleanze impreviste. I protagonisti non sono semplicemente eroi o antagonisti; ognuno incarna molteplici realtà, sospeso tra fedeltà e ambiguità, riflettendo un mondo in cui la verità è sfuggente e complessa. La serie riesce così a raccontare una realtà geopolitica intricata senza abbassare il livello a una narrazione manichea, offrendo al pubblico uno sguardo più ricco e realistico.

Questo tipo di racconto, tuttavia, sembra essere un’eccezione piuttosto che la regola nel panorama mediatico attuale, dove invece prevalgono messaggi polarizzanti e contrapposizioni nette. Questa semplificazione, se da un lato favorisce la comunicazione rapida e la creazione di consenso nelle cosiddette “bolle”, dall’altro impoverisce il dibattito pubblico, impedendo la comprensione delle molteplici cause e conseguenze degli eventi. Le posizioni diventano rigide, le sfumature svaniscono e si perde la capacità di dialogo e confronto costruttivo.

La rinuncia a comprendere la complessità influisce profondamente anche sulla politica e sull’analisi internazionale: la realtà del Medio Oriente, così come il conflitto israelo-iraniano raccontato da Tehran, è un mosaico di storie, interessi, culture e tensioni che difficilmente si riducono a semplici categorie. Rendersi conto di questa complessità è fondamentale per evitare giudizi affrettati, pregiudizi e la costruzione di narrazioni distorte, che possono alimentare solo odio e divisioni.

Tehran, nel confermare e approfondire questa visione (grazie anche all’introduzione di un personaggio davvero complesso nelle intenzioni e nelle azioni interpretato da Hugh Laurie) nella sua terza stagione, diventa dunque uno specchio di una realtà che chiede di essere osservata senza pregiudizi e con una lente capace di cogliere le contraddizioni. La serie invita a riflettere su come la realtà sia fatta di ambiguità e incertezze, elementi che non devono spaventare ma stimolare a un approccio più aperto e profondo. La serie israeliana non è solo un thriller spionistico avvincente, ma un monito contro la tentazione della semplificazione estrema. Nel momento in cui la società sembra sempre più divisa, è essenziale recuperare la capacità di accogliere la complessità, riconoscendo che dietro ogni schieramento ci sono storie complesse e sfaccettate.

In un mondo che sembra voler decidere tutto in bianco o nero, la serie Teheran mostra invece un orizzonte sfumato e articolato, difficile da accettare perché mette in discussione l’idea stessa di schieramenti rigidi. Curiosamente, la terza stagione, già disponibile in Israele e attesa su Apple TV+ globalmente, ancora non è accessibile in Italia. Questo ritardo appare quasi un segno dei tempi: forse la complessità raccontata da Teheran è ancora troppo scomoda per un pubblico che viene sempre di più abituato a scegliersi un campo netto. La sfida resta dunque aperta: riusciremo a far spazio a narrazioni complesse, dove il confine tra giusto e sbagliato non è mai netto, o continueremo a evitare il confronto con la realtà, per tenere tutto nel recinto rassicurante degli schieramenti preconfezionati?

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