Memoria e Futuro

Vacanze dal Natale

di Marco Di Salvo 2 Dicembre 2025

Viviamo, lo sappiamo bene, nell’epoca dell’anticipazione compulsiva. Film che escono in “anteprima” almeno una settimana prima dell’uscita ufficiale, libri presentati mesi prima che arrivino in libreria, anniversari celebrati con un anno di anticipo. L’ultimo caso emblematico è quello de “La Grazia”, il nuovo film di Paolo Sorrentino con Toni Servillo: uscita prevista per il 15 gennaio 2025, ma anteprime programmate dal 25 dicembre al primo gennaio. E non anteprime serali, come accaduto per il precedente “Parthenope”, ma proiezioni rigorosamente mattutine durante le feste natalizie. Perché vedere un film il giorno della sua uscita è ormai obsoleto: bisogna vederlo settimane prima, possibilmente la mattina di Natale, quando dovresti essere ancora in pigiama con la famiglia.

A proposito del Natale, campione indiscusso di questa corsa in avanti: panettoni nei supermercati già a ottobre, luminarie che si accendono a fine novembre quando ancora dobbiamo digerire Halloween, alberi addobbati che spuntano nelle vetrine prima ancora che cadano le foglie autunnali. È come se avessimo perso la capacità di aspettare, di lasciare che le cose maturino nel loro tempo. Tutto deve accadere prima, sempre prima, in una frenesia che ci fa arrivare esausti proprio nel momento in cui dovremmo goderci ciò che abbiamo tanto anticipato.

A contribuire a questa frenesia ci sono anche le piattaforme streaming, che hanno trasformato le festività in veri e propri eventi programmati. Netflix, Prime Video e simili bombardano gli utenti con film horror per tutto ottobre, creando una “stagione di Halloween” che dura un mese intero. Poi, senza soluzione di continuità, a metà novembre parte la cascata di film natalizi: commedie romantiche ambientate tra neve e lucine, storie di riscatto sotto l’albero, famiglie riunite davanti al camino. Il calendario delle piattaforme impone le festività settimane prima che arrivino davvero, costruendo un’ansia da consumo che si autoalimenta.

In Italia, questa mania ha trovato terreno fertile. Se tradizionalmente l’8 dicembre con l’Immacolata Concezione segnava l’inizio del periodo natalizio, oggi quella data è diventata un ricordo sbiadito. Le luminarie compaiono già a Halloween, il Black Friday americano si è insinuato prepotentemente nel calendario, i supermercati traboccano di decorazioni quando fuori fa ancora caldo. E quando finalmente arriva il 6 gennaio con l’Epifania, ecco che tutto viene smontato in fretta per fare spazio a San Valentino e poi alla Pasqua, le cui uova spuntano nei negozi già il 26 dicembre. Un ciclo perpetuo di anticipazione e abbandono che non concede tregua.

Il fenomeno non è nuovo né esclusivamente italiano. Già nel 1947 un lettore americano protestava contro le decorazioni natalizie esposte con un mese e mezzo di anticipo. Ma è nel Belpaese che questa tendenza globale, chiamata dagli americani “Christmas creep”, ha assunto contorni particolarmente interessanti, trasformandosi in una vera battaglia tra comuni a colpi di chilometri di luci, sponsor privati e bilanci sempre più gonfiati.

Sul tema, la competizione tra amministrazioni locali, che avrebbero ben altro a cui pensare, ha raggiunto livelli sorprendenti. Napoli ha stanziato 4,8 milioni di euro per oltre centocinquanta chilometri di luci, trasformando la città in un’attrazione turistica. Ma proprio in questi giorni di dicembre, mentre le luminarie brillano, la città vive un paradosso che fa riflettere: le strade sono congestionate, i vicoli pieni all’inverosimile fanno il giro del web, eppure le strutture ricettive registrano prenotazioni insolitamente basse. Un turismo “mordi e fuggi” che lascia traffico e caos ma non economia reale, come denunciano gli operatori del settore. La città viene consumata in poche ore, visitata ma non vissuta, fotografata ma non capita.

Sul Lago di Garda, Peschiera ha investito centosettantamila euro, con un incremento di circa cinquantamila rispetto all’anno precedente. A Lazise sono state realizzate proiezioni mappate sugli edifici storici. Non si parla più di semplici addobbi, ma di videomapping, installazioni tridimensionali, scenografie tecnologiche degne di un parco a tema. Tutte le città italiane vogliono vincere la gara per essere nominata “città del Natale” (qualunque cosa questo significhi).

La logica è implacabile: se il comune vicino spende di più e attrae turisti, anche tu devi alzare la posta. Le località turistiche si sentono obbligate a investire sempre di più, perché il Natale è diventato una stagione turistica a pieno titolo. Chi non si adegua rischia di vedere i propri commercianti penalizzati, di perdere quella “atmosfera magica” che ormai i visitatori si aspettano. Si innesca così un circolo vizioso: più si investe, più la competizione sale, più diventa difficile distinguersi. Il risultato è un’escalation continua di spese e un’anticipazione sempre maggiore delle accensioni, con alcune città che ormai iniziano a novembre.

Ma chi paga tutto questo? Di fronte a bilanci comunali sempre più ristretti, le amministrazioni hanno dovuto inventarsi soluzioni creative. La risposta sono le sponsorizzazioni private. A Brindisi, ai circa settantaseimila euro comunali si aggiungono contributi di Edison, A2A e altre aziende del territorio. Lamezia Terme ha lanciato un bando per raccogliere fino a quarantamila euro attraverso cinque fasce di sponsorizzazione, con il Main Sponsor che contribuisce con almeno quindicimila euro. Bari cerca sponsor garantendo in cambio visibilità attraverso l’apposizione del logo aziendale sulle installazioni.

Questa soluzione trasforma le piazze italiane in spazi pubblicitari. Le luminarie diventano veicoli promozionali, il Natale un evento sponsorizzato da aziende energetiche, banche e catene commerciali. Non più solo una festa religiosa o una tradizione, ma un’opportunità di marketing dove ogni installazione deve essere “instagrammabile”, ogni proiezione deve diventare virale sui social. E naturalmente, più sponsor si cercano, più l’allestimento deve iniziare presto per massimizzare il ritorno sull’investimento.

Il risultato finale di questa corsa è spesso più caos che guadagno. Napoli in questi giorni ne è l’esempio perfetto: investimenti milionari in luminarie che attirano masse di turisti giornalieri, ma che generano congestione, difficoltà di circolazione e sovraffollamento senza tradursi in un reale beneficio economico per chi opera nella città.

I casi controversi non mancano. A Fiumicino, dopo un’inchiesta di Report su consulenze e appalti, la Guardia di Finanza ha aperto un’indagine che coinvolge tredici persone, tra cui il sindaco, per presunti appalti pilotati legati alle luminarie natalizie. Il comune aveva speso quattrocentomila euro nel 2024, il doppio dell’anno precedente con la stessa ditta aggiudicataria. Un esempio di come questa corsa possa portare anche a zone grigie amministrative, oltre che a spese sempre più difficili da giustificare.

Quando un comune investe centinaia di migliaia di euro per le luminarie mentre taglia i servizi sociali, quando le periferie restano al buio mentre il centro storico brilla, il contrasto diventa stridente. Oltre ai costi economici diretti, c’è un prezzo ambientale ed energetico che, anche con le luci a LED, resta significativo quando si parla di centocinquanta chilometri di installazioni.

E poi c’è il paradosso culturale. L’Italia, con la sua ricca tradizione natalizia che affonda le radici nel cristianesimo e nelle antiche celebrazioni romane come i Saturnalia, aveva un calendario festivo ben definito. L’8 dicembre segnava l’inizio, il 25 dicembre il culmine, il 6 gennaio la conclusione. Il presepe napoletano, la Befana, l’Immacolata: tradizioni centenarie che rischiano di essere sommerse da una globalizzazione festiva che appiattisce tutto su un unico, interminabile periodo commerciale che inizia sempre prima.

Questa corsa perpetua riflette qualcosa di più profondo nella società contemporanea. Non sappiamo più aspettare. Vogliamo tutto subito, anticipato, consumato rapidamente per passare alla prossima cosa. I film escono in streaming poche settimane dopo il cinema, le serie tv vengono rilasciate tutte insieme perché aspettare una settimana tra un episodio e l’altro è diventato intollerabile. Gli anniversari si celebrano con un anno di anticipo per non perdere l’occasione, i libri si presentano mesi prima dell’uscita per costruire l’hype. E il Natale, la festa per eccellenza dell’attesa e dell’avvento, è diventata l’emblema di questa incapacità di lasciare che le cose maturino nel loro tempo.

Forse la vera magia del Natale non sta nell’anticiparlo di tre mesi o nel vincere la gara per le luminarie più spettacolari. Non sta nel trasformare ogni piazza in uno studio fotografico per Instagram o nel vedere quanti sponsor si riescono a raccogliere. La vera magia stava nell’attesa. Nell’8 dicembre che segnava davvero l’inizio di qualcosa di speciale. Nel presepe fatto in famiglia, non nell’installazione da duecentomila euro sponsorizzata da un’azienda energetica. Nell’avvento come tempo di preparazione, non come occasione commerciale da massimizzare.

Non si tratta di tornare indietro o di rifiutare la modernità. Si tratta di chiederci se, in questa corsa perpetua da una festa all’altra, da un’anteprima all’altra, da un anniversario anticipato al successivo, stiamo davvero celebrando qualcosa o stiamo solo correndo. Perché il rischio, come scriveva quel lettore americano nel lontano 1947, è che quando arriva finalmente il momento della festa siamo così stanchi di tutta quella preparazione che l’atmosfera risulta spenta proprio quando dovrebbe brillare di più. E questo, in una gara contro il tempo che nessuno può vincere, è l’unico risultato garantito.

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