Memoria e Futuro
Vip e politica, la storia infinita
Era il 1991 quando Rino Formica, socialista dalla lingua tagliente e lo sguardo fin troppo lucido, coniò una delle espressioni più profetiche della Prima Repubblica: “corte di nani e ballerine”. Osservando l’ultima Assemblea Nazionale del PSI – e sottolineiamo “ultima” – vedeva sfilare Sandra Milo, Gerry Scotti, Vittorio Gassman, Giorgio Strehler, Lina Wertmüller, Ornella Vanoni, Marina Ripa di Meana e persino Nicola Trussardi. Un casting da Cinecittà.
Formica – che oggi, a 98 anni appena compiuti, continua a osservare lucido le vicende italiane – forse intuiva qualcosa: quando un partito ha bisogno di così tanto lustrino esterno, sta coprendo crepe profonde nelle fondamenta. Aveva ragione da vendere. Quella frase fu pronunciata solo tre mesi prima che scoppiasse Tangentopoli con l’arresto di Mario Chiesa il 17 febbraio 1992. Il resto è storia: Craxi travolto, il PSI spazzato via, la Prima Repubblica crollata mentre i “nani e le ballerine” si dileguavano in silenzio.
Poi, la storia fa un salto di trentaquattro anni e atterra dritta ad Atreju 2025, la festa nazionale di Fratelli d’Italia, che dal 6 al 14 dicembre trasforma i giardini di Castel Sant’Angelo in una convention all’americana, “sotto il cielo” di Roma, come direbbe Enrico Mentana che ogni due per tre nei suoi interventi al tg della sera usa l’espressione “sotto il cielo della politica”.
Carlo Conti, Mara Venier, Raoul Bova, Ezio Greggio, Ilaria D’Amico, Buffon, De Giorgi, Velasco. Tutti lì, immortalati in selfie sorridenti. Un parterre degno degli Oscar italiani, i Telegatti, quando andavano di moda e rappresentavano il momento clou della televisione italiana.
Ora, mettiamo subito le mani avanti: questo parallelo storico non è un auspicio sulle fortune politiche di Fratelli d’Italia, primo partito italiano. Assolutamente no. È una constatazione inevitabile, visto anche come molti esponenti del partito riempiano quotidianamente i social di selfie autocelebrativi, post trionfalistici e stories gloriose che sembrano eccessive per il momento che il Paese sta attraversando.
Ma il vero segnale del definitivo sdoganamento di Fratelli d’Italia non sono stati gli attori o gli sportivi. Il segnale più potente è arrivato dalla presenza massiccia di giornalisti: 77, di cui 24 direttori delle più diverse testate. Sul palco hanno sfilato e sfileranno Enrico Mentana (che intervisterà Ignazio La Russa, per la sezione “vecchie glorie”), Marco Travaglio (che intervisterà Guido Crosetto, per un bel dialogo alla “bagna cauda”), Bruno Vespa, Luciano Fontana del Corriere, Maurizio Molinari, Andrea Malaguti della Stampa. Un elenco che sembra quello degli iscritti all’Ordine dei Giornalisti, sezione “coloro che contano”.
Quando un partito attrae non solo lo spettacolo ma anche l’informazione in questa misura, significa che ha raggiunto un’egemonia culturale e mediatica che va oltre il consenso elettorale. È il momento in cui smetti di essere “quelli controversi”, gli “underdog” e diventi “quelli al potere con cui bisogna dialogare”.
Ma forse c’è anche un’altra chiave di lettura, meno cinica e più pragmatica: e se tutto questo affollarsi ad Atreju fosse un sintomo della ricerca di protezione in una fase difficile per il mondo della cultura italiana? Quando i finanziamenti scarseggiano, quando il cinema italiano fatica, quando la televisione è in crisi, quando la carta stampata arranca ed è in una fase in cui le acquisizioni ostili si sprecano, forse presentarsi alla festa del potere non è solo opportunismo ma anche strategia di sopravvivenza. Una sorta di pellegrinaggio necessario in tempi di vacche magre, dove chi governa ha le chiavi della cassaforte e chi lavora nella cultura deve bussare alla porta giusta.
Atreju, che oggi attira il gotha dello spettacolo e dell’informazione, ha origini ben diverse. Come ci tiene a ricordare ad ogni piè sospinto Fabio Rampelli, vicepresidente della Camera, è figlia dei Campi Hobbit del Fronte della Gioventù del MSI, organizzati tra il 1977 e il 1981. Rampelli stesso, che con Meloni ideò Atreju nel 1998, viene da quella gavetta. Un filo che lega le radure missine degli anni Settanta a Castel Sant’Angelo trasformato in set per influencer della politica e giornalisti in cerca di visibilità.
Come sappiamo bene dalla pubblicistica, il nome della festa viene da “La Storia Infinita” di Michael Ende. Ed è un peccato che gli eredi dello scrittore tedesco abbiano preso pubblicamente le distanze, definendo l’uso “illegittimo” e “inappropriato”. Ende era di sinistra, vicino alla socialdemocrazia e ai Verdi. Si rivolterebbe nella tomba, hanno dichiarato. Ma in politica i nomi hanno potere magico, e le origini letterarie diventano dettagli secondari.
Ed eccoci al paradosso: dopo tre anni di governo non si dovrebbe ancora festeggiare secondo la “norma d’azione” originaria di Atreju. Ma chi se ne importa quando c’è da riempire i social di contenuti trionfalistici e quando persino i giornalisti si mettono in coda per salire sul palco?
Il parallelo con le cose dette da Formica nel 1991 è inquietante: quando la forma sostituisce la sostanza, quando i selfie sostituiscono le risposte, quando le pagine social dei politici sembrano quelle di influencer in perenne autocelebrazione, e quando i giornalisti che dovrebbero mantenere distanza critica diventano parte dello show, qualcosa non torna. Non in un Paese che affronta difficoltà economiche e sociali che meriterebbero meno foto sorridenti e più concretezza. Non in un Paese dove il giornalismo dovrebbe fare domande scomode, non moderare eventi celebrativi.
Formica aveva visto i “nani e le ballerine” come il segnale di un partito che aveva perso la bussola. Tre mesi dopo iniziava Tangentopoli. Un anno dopo Craxi riceveva il primo avviso di garanzia. Il PSI spariva.
Oggi vediamo una processione di vip, selfie autocelebrativi e soprattutto 77 giornalisti – 24 direttori – che partecipano alla festa del partito di maggioranza. Non è un auspicio di sventure. È la storia che ci ricorda, con ciclicità crudele, che quando la politica diventa show, i politici star di Instagram, e i giornalisti comprimari dello spettacolo, forse bisognerebbe fermarsi: stiamo governando e informando o facendo tutti casting?
Formica, a 98 anni, osserva ancora lucido. Chissà cosa pensa vedendo questa nuova “corte” a Castel Sant’Angelo. Probabilmente la stessa cosa del 1991, con l’aggravante che stavolta anche coloro che dovrebbero raccontare criticamente il potere ne sono diventati parte.
La “corte di nani e ballerine” si è trasformata nella corsa dei vip e dei giornalisti ad Atreju. Stessi meccanismi, stessa ricerca di legittimazione, stesso rischio. E, siamo certi, stessa velocità di uscita dal palco, qualora dovesse cambiare l’aria.
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