Come la Norvegia ha sconfitto (per ora) il Covid-19

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22 Aprile 2020

scritto da Gabriele Catania e Benedicte Meydel.

 

Con 7.201 casi confermati e, grazie al cielo, appena 182 morti [dati 21 aprile], la Norvegia è uno dei paesi del mondo che hanno gestito meglio l’emergenza Covid-19. Il primo caso si è verificato alla fine di febbraio a Tromsø, nell’estremo nord del paese, ma l’infezione ha colpito soprattutto la Norvegia meridionale, dove si concentra gran parte della popolazione (in primis la capitale, Oslo).

La risposta delle autorità politiche e sanitarie norvegesi ha però impedito il peggio: già il 6 aprile il ministro della sanità Bent Høie, conservatore e molto popolare, poteva annunciare che l’epidemia era sotto controllo, e che l’R0 aveva raggiunto un rassicurante 0,7 (un dato che la Germania ha raggiunto solo pochi giorni fa).

Il successo norvegese è dovuto a vari fattori. Senz’altro ha contribuito il forte senso civico della maggioranza dei cittadini, che si sono attenuti alle indicazioni di medici e governi. Inoltre la Norvegia è meno densamente popolata dell’Italia: circa 14 abitanti per chilometro quadrato, contro i quasi 200 dell’Italia. La struttura demografica è diversa: nel paese nordico gli over65 sono poco più del 16% e gli under20 il 24%; in Italia gli over65 sono oltre il 22%, e appena il 18% gli under20.

Decisive poi le stringenti misure di lockdown imposte dal governo a partire dal 12 marzo, sul modello della Danimarca. Una scelta inedita, in uno dei paesi europei più attenti alle libertà dei suoi cittadini, ma necessaria a parere del primo ministro Erna Solberg. La Statsminister, che ha definito le misure «le più radicali mai prese in Norvegia in tempo di pace», è una conservatrice decisa; al potere dal 2013, non ha esitato (come la sua collega socialdemocratica Mette Frederiksen in Danimarca, del resto), a bloccare parzialmente i trasporti, a chiudere le scuole, i ristoranti, i bar e le palestre, e persino a dispiegare la Guardia nazionale (Heimevernet) alle frontiere.

Le misure venivano poi prolungate, facendo storcere più di qualche naso. Ma alla fine hanno ottenuto risultati. Rafforzando la fiducia dei norvegesi nei confronti del loro sistema politico. La posizione della Solberg, in particolare, si è molto rafforzata agli occhi degli elettori, e la signora è stata persino definita dall’autorevole commentatore Arne Strand “una sorta di madre della patria” (Landsmoderen): il Partito conservatore da lei guidato raccoglie oggi oltre il 27% delle intenzioni di voto, superando persino il Partito laburista, che raggranella a stento il 26% dei voti. «Io sono di sinistra, ma apprezzo la Solberg – dice un italiano residente a Oslo che preferisce rimanere anonima – La destra norvegese, a paragone di quella italiana, sembra fatta da statisti. E in generale la pubblica amministrazione norvegese batte quella italiana tre a zero».

Ora la Norvegia si accinge, lentamente, a tornare alla normalità. Gli asili-nido cominciano già a riaprire, le scuole materne riapriranno il 27 aprile. La cosa non stupisce, considerando non solo che i più piccoli non sono super-spreader (e che in Norvegia i nonni non svolgono quella funzione di welfare familiare che svolgono in Italia), ma l’attenzione che i norvegesi dedicano da sempre ai più piccoli. Basti pensare che il governo ha tenuto ben due conferenze stampa, a marzo e pochi giorni fa, dedicate ai più piccoli, con la Solberg, il ministro per l’infanzia e le famiglie, e il ministro per l’istruzione e l’integrazione, che hanno risposto alle domande di bimbi da ogni angolo della Norvegia. È stato creato anche un numero d’emergenza ad hoc, il 116111, per i bambini e gli adolescenti in difficoltà, e ai municipi è stato raccomandato di intensificare gli sforzi per salvaguardare i bambini vulnerabili.

Stanno ricominciando a lavorare anche i professionisti della salute (ad esempio gli psicologi), e per il 27 aprile (e, in alcuni casi, prima) potranno tornare al lavoro pure gli operatori di servizi rivolti alla cura della persona, come i parrucchieri, purché nel rispetto delle direttive prodotte dalle autorità sanitarie consultandosi con le rappresentanze di categoria. Ovviamente rimarranno molte restrizioni: per esempio resteranno chiusi gran parte dei caffè, dei ristoranti e dei pub, esclusi quelli che servono pietanze, in grado di assicurare una distanza di almeno due metri tra avventori e personale, e che rispettano i requisiti minimi indicati dalle autorità.

Ovviamente la Norvegia post-Covid-19 sarà diversa da quella di appena pochi mesi fa. Per esempio, norme come il distanziamento sociale rimarranno in vigore (almeno due metri, un metro nei negozi e nelle farmacie troppo piccole). Si dovranno evitare gli assembramenti di più di cinque persone, e i viaggi con i trasporti pubblici innecessari. Le piscine, i centri per il fitness e i parchi acquatici rimarranno chiusi.

Sino al 15 giugno è previsto il divieto di eventi sportivi e culturali non adeguabili ai requisiti minimi di lotta all’infezione. Ma a parere di Bjørn Guldvog, direttore generale del Direttorato norvegese per la salute e gli affari sociali, è improbabile che si potranno fare eventi prima della fine dell’anno; nella migliore delle ipotesi, a fine autunno. Anche i più piccoli dovranno fare qualche sacrificio: chi va all’asilo non sarà autorizzato a portare giocattoli da casa, ma in compenso si dovrà portare il pranzo.

Attenzione però a cantar vittoria troppo presto: il numero di persone ospedalizzate, negli ultimi giorni, è tornato lievemente a crescere. E le preoccupazioni per l’economia sono ogni giorno più forti. Settori come il turismo (strategico soprattutto nel nord del paese) e l’energia sono in difficoltà; la Norvegia non conosceva un simile livello di disoccupazione dai tempi bui della Seconda Guerra Mondiale.

Non solo. L’epidemia ha generato un forte stress tra i cittadini. Inasprendo le divisioni tra il sud e il nord del paese. Uno dei motivi del contendere è stata la passione tutta norvegese per la vacanza nella hytte, la baita immersa nella natura. Quando a metà marzo il governo della sempre pacata ma ferrea Solberg ha vietato ai cittadini di trascorrere la quarantena nelle hytter situate in un comune diverso da quello di residenza, per il paese è stato uno shock. Per i norvegesi è una tradizione consolidatissima trascorrere i weekend e le vacanze in una delle 430mila baite che punteggiano il paese: ad esempio nel periodo pasquale sono soliti concedersi lunghe sciate, e poi godersi il sole mangiando un’arancia o del cioccolato.

E come in Italia sindaci e governatori dei territori più turistici hanno cercato di frenare l’arrivo dei vacanzieri dalle ricche città del nord, così in Norvegia hanno fatto le autorità locali dei territori con più hytter; per esempio ad Hemsedal (che sta alla Norvegia un po’ come Bormio all’Italia) hanno addirittura cercato di bloccare le autostrade alla polizia locale, in modo da impedire il passaggio a tutti esclusi i residenti.

La preoccupazione dei piccoli centri era comprensibile, del resto. Il paese è molto più lungo che largo, e nella Norvegia settentrionale c’è una densità abitativa paragonabile a quella della Mongolia. Rispetto a grandi città del sud come Oslo o Bergen, i paesi e le cittadine del nord possono contare su strutture sanitarie più piccole, e con personale ridotto e meno attrezzato; per esempio per portare un paziente affetto da Covid-19 dalle isole Lofoten all’ospedale di Bodø si impiegavano, a causa delle misure precauzionali richieste, ben dieci ore.

Ma pure in Norvegia, come in Italia, l’epidemia faceva divampare le polemiche. I giornali del nord accusavano i meridionali di essere “egoistici”, “stupidi” e “disumani” per la loro smania di passare le vacanze in baita. I norvegesi del sud, ovviamente, non la prendevano molto bene. Lise Johansen, 42 anni, vive a venti minuti fuori da Oslo, e non ama che qualcuno le dica come trascorrere le sue vacanze. «Naturalmente mi ha fatto un po’ arrabbiare non poter andare nella mia hytte. Non è che pianificassimo di entrare in contatto con qualcuno. Siamo capaci di badare a noi stessi, e siamo in buona salute».

Rolf Arnt Lian è un lavoratore sanitario in pensione. 67 anni, è nato a Narvik, nel nord, ma ora vive a sud, e non ha avuto alcun problema a non poter visitare la sua baita nella regione natia per Pasqua. A suo parere la quarantena molto severa imposta al nord a chi veniva dalle aree più colpiti del sud era «davvero ragionevole». Perché «la gente vuole sicurezza». Specie nelle aree più remote, dove raggiungere un ospedale in auto può richiedere ore (meteo permettendo).

Elin (il nome è di fantasia) è un’infermiera della Norvegia settentrionale. A suo dire le regole più severe di quarantena adottate lì tendevano quasi a generare una falsa sicurezza «erodendo la responsabilità personale.A scapito del mantenimento della giusta distanza, sia da parte dei pazienti sia da parte del personale sanitario. Ho visto dottori stringersi la mano».

Dal 20 aprile in Norvegia non è più un reato dormire nelle proprie hytter (anche se rimane una buona idea non farlo, come ha notato proprio oggi in conferenza stampa il ministro Høie). Ma è improbabile che i norvegesi del sud possono essere accolti dai loro concittadini del nord a braccia aperte. Certe ferite richiederanno un po’ di tempo per guarire.

 

Immagine in copertina, tratta da Pixabay.

TAG: coronavirus, COVID-19, Norvegia, Oslo, paesi nordici, Scandinavia
CAT: salute e benessere, società

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