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Salute mentale

La vita piena e le aree di vuoto

di Giorgio Majorino
7 Dicembre 2020

Nella grande progressione della costruzione della vita delle persone, ci sono, a volte, dei vuoti, delle cadute di quella che sentiamo come pienezza dell’esistenza. Se volessimo giocare un po’ con la “scientificità”(oggi, purtroppo, molto di moda) potremmo tracciare una linea e metterci,a seconda del momento cronologico un punto Tn che indica ,banalmente la nostra età, ma non solo quella anagrafica ma anche quella dei contenuti psichici . Contenuti psichici che sono stati creati, si sono sviluppati, sono morti(o forse meglio dire sepolti), sono presenti e poi si riproiettano nella speranza e nella paura nel futuro. Ovviamente c’è chi teme che un discorso del genere pecchi troppo di soggettivismo individuale (nel fatidico ’68, questa era un’accusa piuttosto grave, ma si sa che le ubriacature sono un misto tra verità e farneticazioni).Però dobbiamo sottolineare che qualsiasi sia il complesso di variabili esterne, storiche, sociali, politiche ,economiche ecc. che hanno determinato e/o influenzato il nostro divenire psichico, vi è un nucleo di base, piuttosto coriaceo, e cioè quello del senso di se stessi, o della propria identità, che è talmente presente da comparire costantemente anche in quei frammenti deliranti che sono i sogni. E’ ovvio che questa pienezza emozionale e produttiva del tragitto dei nostri contenuti psichici c’è un alternarsi di eventi positivi e negativi (questi ultimi possono, per molti ,nei quali la negatività è preponderante, determinare l’infelicità di un’intera esistenza ). Ma un altro problema si insinua e non è certo positivo e neppure neutro. Vi sono in questo tragitto delle aree “vuote”, cioè una mancanza di contenuti, Insomma “la testa vuota”. Le nostre difese ,quando avvertiamo questo pericolo, lo etichettano come mancanza di interesse, noia, tristezza e magari, in modo più clinico, come depressione. Ma non c’è come dare il nome alle cose che non conosciamo, che rivela un tentativo di ricondurre a qualsiasi di noto e quindi gestirlo con gli specifici strumenti di neutralizzazione. Freud si era accorto che c’era qualcosa che non andava nel modello semplicistico che vedeva la repressione dell’impulso dell’Eros come la situazione che portava a infelicità ,e magari a sintomi nevrotici . Con una certa riluttanza e infatti fu molto ambiguo nei chiarimenti, parlò di un istinto o pulsione di Morte. cioè di una tendenza congenita a spegnere la nostra vita. Venne per lo più accusato di essere depresso per la morte di una sua figlia e per il massacro terribile che aveva vissuto nella Prima Guerra mondiale. Ma c’era qualcosa che lui avvertiva come dissolutorio. Analogo atteggiamento lo si intravvede nei movimenti esistenzialisti. Ma il tema venne ripreso in Inghilterra dalla scuola kleiniana è trovò sviluppo in uno psicoanalista vicino a tale scuola, anche se diversificato, Winnicott . Egli pone il problema della paura di un crollo psichico (fear of breakdown) come costante minaccia psichica sottesa e che quindi genera tutta una serie di reazioni, anche patologiche. Cioè sembra che sia una costante anche se ,in modo molto incerto. Winnicott, ne attribuisce lo sviluppo a situazioni traumatiche relative al rapporto precoce madre-bambino. Allora se cerchiamo di tenere in considerazione quelle che ho indicate come aree vuote della propria vita, queste potrebbero essere identificate in termini di “assaggi” di un breakdown della propria impalcatura psichica. E,in certe situazioni di grave psicosi o di regressione senile, appare un esplodere di questa lotta tra l’attrazione di quello che i Romani chiamavano “cupio dissolvi” e difese disordinate e inefficaci. E per rimanere nell’attualità, il nostro vissuto del Covid, c’entra con tutto questo?

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