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Relazioni

Si possono ricucire i legami familiari spezzati?

di Chiara Perrucci
13 Novembre 2021

La famiglia e i suoi infiniti grovigli da sciogliere…e riannodare

 

A chi di noi non è capitato di serbare nel cuore un dolore privo di nome. O meglio, un dolore provato solo nel pronunciare quel nome in particolare. Un dolore che non abbiamo permesso a nessuno di sondare, se non addirittura, stanare. E così, anche quest’anno, con le festività natalizie che si apprestano ad arrivare, addobbo perfetto per scambiarsi auguri di circostanza, ci ritroveremo ad allontanare il pensiero di quella macchia che, in una vecchia foto di famiglia (perfetta), rischia di risultare come un’ imperdonabile sbavatura. Rapporti interrotti, magari anche bruscamente, con fratelli che vivono lontano; genitori con cui cui si è eliminata la comunicazione perché non ce le hanno mandate a dire. Parenti con i quali il legame è stato reciso, spezzato in un punto che ci appare impossibile da riannodare. Probabilmente, molto spesso perché non riusciamo a scrostare dai nostri occhi quella polvere, o quella sottile pellicola, invasiva come  poche altre cose al mondo, che è l’orgoglio, e che ci impedisce di far emergere il nostro Io più vero ed imperfetto, perché vulnerabile. E allora, i nostri conoscenti o chi frequentiamo di solito, dai colleghi agli amici, per non metterci in una posizione scomoda, evitano anche di parlarne ormai. Una richiesta accolta che ci illude, momentaneamente, di riuscire a cancellare con un colpo di spugna le amarezze legate a quel nome, o forse a quel ruolo. Forse è proprio il ruolo che abbiamo deciso di rinnegare, di rifiutare e che ci è stato, a nostra volta, ritorto contro come un asfissiante legaccio, che si regge su chi sviluppa il senso di colpa più logorante. Bene, il fenomeno sociale che si preannuncia come destinato a dilagare, specialmente sui social network, viene definito “Estraneamento” e consisterebbe nel prendere le distanze dalla propria famiglia di appartenenza, o comunque da un legame parentale (e aggiungo affettivo), fino a raggiungere la condizione di considerarsi totalmente estranei a quella persona, finché  morte non ci zittisca per sempre, come accade purtroppo troppe volte. Chi ha sperimentato quella sorta di silenzio punitivo, frutto di un legame reciso, conosce perfettamente anche la destabilizzante solitudine che si prova nel non poterlo condividere con nessuno o quasi, quantomeno per gli stati d’animo che si alternano e ci attraversano nel profondo.  Diviene infatti, troppo presente il timore di essere giudicati  o eccessivamente duri o, al contrario, clamorosamente deboli e non padroni di sé stessi. Chi sostiene che la famiglia sia il luogo dei sentimenti tiepidi, pilotabili e anche mistificabili, dice il falso. Ma prima di tutto si racconta una bugia allo specchio. Nell’alveo familiare si consumano, da tempi immemori, come lo stesso mondo greco ci narra attraverso le tragedie, passioni accecanti e pericolosamente distruttive, se non si ha il coraggio di decifrarle e chiamarle per nome. Ne sono intrise le pagine dei giornali, nostro malgrado, e nel leggerle, rimaniamo sempre sgomenti, considerandole come lontane da noi anni luce. Non si può negare quello che muove le fila di una famiglia, che non è solo lo stesso sangue che scorre nelle vene, ma si classifica nelle miriadi di accezioni che contempla il sentimento più grande di tutti: L’Amore.

L’amore parossistico, che quando straripa  senza essere educato almeno alla mitezza di rispettare il sentire altrui, diviene prigione, catena, persino morte. Può accadere perfino che, proprio dove l’amore è stato eccessivo e disordinato, o assente e desiderato, la rabbia ed il risentimento, suggeriscano di imboccare la strada meno dolorosa, quella che stordisce e ordina la fuga, al posto di una misera vendetta. Quindi fuggire assume la forma dell’autodifesa per sopravvivere ad un lutto emotivo assai complicato da elaborare. Salvo poi ritrovarsi alla ricerca di nuovi punti cardinali, per ridisegnare la mappa della propria navigazione, capace di attribuirci una nuova identità, orfana di legami con il passato, ma che si trascina appresso lembi di pelle lacerata e mai davvero rimarginata. La solitudine esclusiva che ci colpisce quando un rapporto affettivo si interrompe improvvisamente, è condizione assai comune, pur credendosi i soli al mondo, schiacciati da un fardello livoroso che ci costringe a sopportare un passato le cui spine le sentiamo ancora conficcate nel cuore e nella nostra mente. Ma le rotture familiari non guardano in faccia a nessuno. Le cronache rosa sono piene di scandali reali, di dinastie blasonate, in cui si è consumato un astioso divorzio, finito poi in tribunale, con estenuanti contese ereditarie per la spartizione patrimoniale. Ed anche la dottrina cristiana non ammette sconti, rendendoci testimonianza di un esempio lampante di pene familiari, attraverso la parabola del Figlio Prodigo, ma dimostrandoci anche che il ricongiungimento può essere possibile, solo e soltanto in leggerezza, inteso nell’accezione calviniana del termine, che è il contrario della superficialità. Anzi, presuppone una disposizione d’animo, capace di riannodare i fili, non dall’origine, ma ripartendo da quello e per quello che si è diventati. Accantonando le molteplici aspettative che ci hanno portato a fuggire e aprendo il cuore, se si è convinti di non voler perdere una relazione, un affetto e una persona in particolare, che rappresenta comunque un universo irripetibile. Se vi è stato un processo di maturazione reciproco, se ci si è spogliati nel tempo di necessario distacco, dell’ottuso orgoglio, lente di ingrandimento di tutte le ingiustizie personali subite, se si è disposti a perdonare per ricominciare a costruire, allora è sempre il momento giusto. Ma se si crede di poter riallacciare una relazione tentando a tutti i costi di trasformare l’altro per incastrarlo a forza a noi, e non provare ad accogliere le sue debolezze e fragilità, ma anche virtù, è preferibile rimanere lontani, conservando i ricordi e nutrendo ugualmente sentimenti di affetto (non estirpabili facilmente) nel silenzio del proprio cuore. Perfino chi nasce senza una famiglia, avrà comunque un ruolo parentale nel puzzle immaginario di qualcun altro. Si è comunque figli di qualcuno, madri o padri di qualcuno, fratelli o sorelle, nonni, cugini, ecc. Ogni ruolo parentale è difficile da interpretare, allo stesso identico modo. Ed onorarlo è ancora più complicato, perché quando veniamo alla luce, in dotazione non ci è dato alcun breviario comportamentale. Ma così come osserviamo da piccoli, proviamo a farci accettare e ad accettare quel grande agglomerato di dinamiche umane che accadono, anche indipendentemente nostra volontà, nelle nostre famiglie di appartenenza. Mai più calzante fu la crudezza pirandelliana, riadattata  per descrivere quello che ognuno di noi può ritrovarsi ad essere all’interno del film della nostra vita di relazione parentale…“Uno, nessuno e centomila”, includendo le infinite sfumature che colorano il nostro cuore quando si sente legato a qualcuno, che ci conosce ben oltre un nome ed un cognome, a maggior ragione se, con alcune di queste persone, abbiamo condiviso il nostro viaggio sulla Terra o parte di esso. E a poco serve, giudicare e giudicarsi per ciò che si prova, tanto ognuno di noi è vittima e carnefice allo stesso tempo, avendo la capitale della propria mente, al centro del cuore, con il quale siamo nati e che ci tiene in vita, facendoci soffrire e gioire come nient’altro è in grado di fare.

#società Famiglia Mondo relazioni
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