Chi protesta contro la buona scuola attacca un uomo di paglia
Sì, perché, non essendoci nulla, come si può vedere per esempio qui e qui e qui, a parte l’assunzione di tanti precari e qualche dichiarazione condivisibile (merito, ruolo dei presidi e degli organi collegiali entrambi riaffermati, importanza degli studenti, impostazione basata sulle competenze ecc.) ma inefficace o generica, non ha alcun senso scioperare attaccando:
1) la supposta “aziendalizzazione” delle scuole;
2) la scuola “classista” che sarebbe prevista dalla riforma;
3) un presunto ruolo da preside “padrone”;
4) il ruolo dei privati che influenzerebbero la formazione in modo negativo.
Partiamo dall’ultimo punto: se i privati (aziende, il territorio ecc.), come ora fanno, finanziassero corsi o attività che il collegio docenti, il preside, il consiglio di istituto giudicano necessarie alla scuola ma non possono finanziare (per i noti motivi: tagli), stendiamo i tappeti rossi invece di demonizzarli. Magari accadesse. Perché rifiutare gli aiuti e poi chiederli allo Stato che è stato spremuto (da assistenzialismo elettorale e sperperi finiti in corruzione) fino a distruggerlo?
Sul primo punto, a parte il fatto che bisognerebbe ancora dimostrare che le aziende non funzionano bene e che non raggiungono i loro obiettivi, che sono, si spera per loro, il guadagno e non il fallimento, diciamo semplicemente che se una scuola dovesse venir valutata sulla base di ciò che insegna agli studenti sarebbe per lo più da dichiarare fallita. All’occasione si potrebbe riaprire una discussione su questo punto, ma, com’è noto sulla base delle valutazioni oggettive ed esterne INVALSI o OCSE-PISA, queste sì pensate contro la disuguaglianza e l’esclusione scolastica e non a caso rifiutate da molti degli scioperanti che di scuola ne vorrebbero una proprio cattiva (e in mano a loro), le valutazioni delle scuole italiane non sono, in linea generale, molto positive, a parte singole eccezioni o realtà regionali più d’eccellenza. Sarebbe come dire: valutare gli studenti (e i docenti) è classista, quindi tutti sullo stesso livello, cioè basso, e via andare. E nessuno ci venga a dire che noi non siamo i migliori docenti del mondo. Ma chi crede ancora alle favole?
Sul secondo punto, rispondiamo solo che la scuola, attualmente, è molto più classista di quanto possa prevedere la riforma, se definiamo il termine “classista” in modo rigoroso, e cioè se parliamo di esclusione (leggi: bocciatura) dei deboli, di chi ha bisogni educativi speciali e, per esempio, degli alunni stranieri (non proprio una minoranza, nella popolazione scolastica italiana), anche se si sta lavorando per diffondere competenze serie in tutti i docenti in servizio.
Sul terzo punto, l’unica cosa che si può contestare è la possibilità che avrebbe il preside di scegliere i docenti tramite la chiamata diretta (resterebbe da dimostrare che un preside competente non sia in grado di farlo e che chiamerebbe per forza parenti e amici e amici degli amici), ma attualmente può farlo, se mancano docenti in graduatoria. Questo limite resterebbe anche nella versione della buona scuola, e le chiamate sarebbero limitate alle materie introdotte previo accordo con gli organi collegiali, cioè consiglio di istituto (che riunisce rappresentanti dei docenti, dei genitori, degli studenti, amministrazione e presidenza) e collegio docenti. Se, invece, il problema è che il preside dovrebbe valutare i neo assunti, a parte il fatto che lo fa già ora, ricordiamo che è previsto un comitato di valutazione in maggioranza composto da docenti… semmai, il problema è proprio il contrario di quanto si dice.
Cosa manca, nella buona scuola? Un serio percorso di formazione per i docenti, che non nascono docenti ma devono imparare sia i contenuti da insegnare che i metodi. Ma su questo… silenzio assoluto. Che vada bene così?
Per concludere, chi sciopera, chi protesta, lo fa contro le sue allucinazioni, visto che nulla di quanto si sostiene è davvero realizzato nella riforma, che, anzi, fa poco o nulla di innovativo.
Ma allora perché le proteste? Ripetiamo: ciascuno qui combatte contro i suoi fantasmi, rievocando una lotta di classe che è scomparsa (ma ha avvelenato il linguaggio anche al di fuori dell’ambito d’uso marxista originario, con termini come “padrone”, “classismo”, “aziendalizzazione” ecc.), uno spregio del capitalismo e dell’impresa, nonché delle stesse istituzioni scolastiche che paradossalmente si sostiene di rappresentare “dal basso”.
E, forse, come sulla questione greca, in questi ultimi mesi si assiste a una lotta fratricida tra una sinistra di rivoluzionari fuori tempo massimo (e pasticcioni in tutti i campi, ahimé, anche in quello dei diritti al lavoro, su cui si sarebbe potuto dire tanto, mentre le protesta rallentano decine di migliaia di assunzioni di precari) e una sinistra riformista che non osa fino in fondo farlo, stretta tra la Scilla della rivoluzione (grillina o greca che dir si voglia) e il modello liberale abusato da movimenti populisti. Due estremismi che bloccano il paese e che, ancora, ideologizzano questioni che dovrebbero essere invece discusse senza pregiudizi, per rimettere in modo l’istruzione.
E invece no, le proteste di questi giorni sono la più bieca chiusura di fronte a necessità urgenti, il rifiuto per partito preso di aprire una discussione (tra l’altro, tale discussione, amplissima come mai prima d’ora, c’è già stata nella fase preparatoria). Il risultato, in definitiva, è la costruzione di un nemico che non esiste.
Ci resta una domanda: a chi giova? Non lo sappiamo, ma sappiamo a chi non giova: ai docenti, agli studenti, al nostro futuro.
3 Commenti
Devi fare per commentare, è semplice e veloce.
Allora, penso siano doverose un paio di precisazioni sulla Buona Scuola, perché pur non essendo rivoluzionaria (diciamocelo: la scuola ha bisogno di altro, non di una ridistribuzione di poteri minima) essa porta con sé degli aspetti negativi nel momento in cui la stessa viene applicata nel concreto. Cercherò di portare degli esempi più neutri possibili, in modo da farli risultare adatti al maggior numero possibile di situazioni.
Precisazione doverosa: per lo stesso motivo per cui sono favorevole al finanziamento esclusivamente pubblico (le tessere le tengo come discorso a parte) dei partiti (ovvero la loro indipendenza da logiche terze di finanziatori privati), sono favorevole al solo ed esclusivo finanziamento pubblico della scuola (perché i privati non versano direttamente questi finanziamenti allo stato con un unico fondo di perequazione che redistribuisce questi finanziamenti a pioggia sulle scuole), relegando quindi i privati ad un ruolo marginale o indiretto.
Altra precisazione: da uomo di sinistra devo far notare però l’alta adesione allo sciopero e di come essa sia stata palesemente ignorata e, talvolta, anche insultata.
Entrando nel merito:
in quasi ogni città sono presenti un liceo classico (che chiameremo Scuola A per comodità) ed un istituto professionale (che chiameremo, sempre per comodità, scuola B).
Ora, ragioniamo sulla composizione delle classi nelle due scuole: tendenzialmente nella scuola A saranno presenti i figli della classe dirigente o i figli di quella che potremmo definire come borghesia. Nella scuola B, come spesso accade, avremo i figli di quello che potremmo definire come proletariato.
Ora, sinceramente, dove pensa che ci saranno più finanziamenti privati (il fondo di perequazione del 20% è una cosa ridicola)?
Andiamo oltre e prendiamo l’insegnante X; l’insegnante X viene chiamato sia dal preside della scuola A che dal preside della scuola B.
Dove crede che andrà il docente? Nella scuola A che grazie ai finanziamenti privati può portare avanti una didattica innovativa e svariate attività curricolari, o nella scuola B dove senza fondi sarà pesantemente limitato?
In questi due modi si acutizza ancora di più la disparità sociale e il fenomeno classista nella scuola.
Voglio però essere onesto e, quindi, presuppongo che le aziende investiranno nell’istituto professionale per ovvio interesse. Ora, io non ho mai incontrato nessuno che facesse nulla per nulla, ma, al di là delle frasi fatte, analizziamo la situazione: un’azienda X investe 10000 euro in una scuola, ottenendo uno sgravio fiscale del 65% e poi richiede l’attivazione di un progetto di alternanza scuola/lavoro di 10000 euro. In questo modo l’azienda ha un rientro di 16500 euro (a fronte dei 10000 investiti) e una forza lavoro quasi gratuita e poco tutelata.
Ma perché il dirigente scolastico può decidere lui a chi affidare mquesti progetti? Semplice, perché detiene il potere diretto (ha un ruolo prioritario rispetto agli altri), ma anche quello indiretto. Infatti avrà un dato potere sui docenti all’interno del consiglio d’istituto e del collegio, sia per l’assegnazione del posto che per l’assegnazione del premio di merito.
Ora non penso sinceramente che Berlinguer, con il concetto di autonomia scolastica, intendesse una monarchia, piuttosto sarebbe stato interessante rafforzare il ruolo del CDI e delle sue componenti, in modo da avere una scuola effettivamente democratica.
Poi vabbè, ci sono i soliti sgravi fiscali alle paritarie che non riuscirò mai e poi mai ad accettare, soprattutto se lette in chiave costituzionale.
Ci sarebbe ancora molto da dire, ma preferisco non dilungarmi troppo.
Comunque ti consiglio la lettura di questo articolo che ho trovato molto interessante (pur rimanendo scettico sul contenuto):
– http://www.labottegadelbarbieri.org/questa-buona-scuola-sha-da-fare/
– http://www.treellle.org/files/lll/Memoria%20TreeLLLe%20per%20VII%20Commissione%20camera%20e%20senato%20su%20AC2994_9aprile2015.pdf
Gentile Andrea Caniato, contro-replico sinteticamente:
1) La costituzione vieta finanziamenti diretti alle scuole, non aiuti alle famiglie. Io posso preferire le scuole pubbliche, ma se esistono valide scuole private (quelle non valide le avrei chiuse da tempo… ci sarebbe molto da dire), devono poter essere frequentate da tutti, quindi o con borse di studio fornite dalle scuole grazie alle rette pagate dagli altri, o con sgravi. Essere contro per partito preso non aiuta nessuno. Tanto più che esistono scuole pubbliche persino troppo confessionali, se è per quello.
2) I finanziamenti arrivano sulla base dei progetti, e i progetti innovativi sono sia nei licei classici, linguistici, scientifici, sia nelle scuole tecniche o professionali. I privati che hanno finanziato i progetti del liceo scientifico dove lavoro e quelli che hanno finanziato progetti dell’istituto tecnico associato vanno ringraziati. Quando avremo smesso di sprecare soldi, mi aspetto che il governo torni a investire in istruzione (ma sulla base degli obiettivi).
3) Non è vero che nella scuola A sono presenti i figli del ceto dirigente e nella scuola B il proletariato.
4) Gli insegnanti sono meno prevedibili di quello che lei crede. Vada a vedere nelle scuole quanto si impegnano per il recupero dei deboli, sia al liceo che al tecnico.
5) Devo purtroppo constatare che l’immagine della scuola, ancora una volta, è costruita sulla base dell’appartenenza politica. Le polemiche di questo tipo, altrimenti, sarebbero superflue.
6) Allo sciopero (ne parla lei) che mirava a bloccare le attività vitali della scuola, danneggiando la pubblica istruzione e gli studenti, non certo il governo, Renzi o le scuole private, nella mia scuola pubblica hanno aderito 4 docenti su 120, di cui al massimo uno per classe (e noi, per correttezza, abbiamo rimandato gli scrutini, ma forse avremmo dovuto sostituirlo, visto che la motivazione fornita era: il mio sindacato…)
Cordiali saluti
Caro Andrea, leggo solo ora il suo commento.
Penso che i finanziamenti dell’industria vadano alla scuola B, dato che c’è una vigorosa richiesta di periti, mentre alla scuola A andranno piuttosto donazioni di qualche genere.
Il docente in materie tecniche o scientifiche vorrà andare alla scuola B perché insegnare matematica o fisica a dei poveri cocchi che galleggiano a fatica sopra Seneca o Euripide è quasi cattiveria.
Per il fatto della forza lavoro poco tutelata, chieda a un ex allievo del classico che fa il praticantato come avvocato: quello è un problema sociale, non della riforma della scuola.