E i bulli? In prigione!

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15 Gennaio 2023

Si infittiscono gli articoli della stampa italiana sul caso della professoressa Maria Luisa Finatti che, durante una lezione, è stata colpita due volte dai proiettili di gomma sparatigli da un allievo con una pistola ad aria compressa. La professoressa ha denunciato tutti e 24 gli alunni della classe al Tribunale dei Minori di Venezia con l’accusa di lesioni personali, oltraggio a pubblico ufficiale, diffamazione a mezzo social e atti persecutori.

Sono accuse di tipo penale, che si potrebbero (potenzialmente) concludere con una condanna alla reclusione non solo per l’autore della sparatoria di pallini che, anche se di plastica, avrebbero potuto far perdere la vista all’insegnante, ma anche per tutti i suoi compagni di classe. Nessuna scusa o giustificazione per il pistolero, ma la professoressa l’accumuna a quelli che hanno riso del gesto offensivo (e potenzialmente molto lesivo) nei suoi confronti. Tutti e 24 i ragazzi potrebbero quindi finire in galera, se solo non fossimo ma in Italia, ma per esempio negli Stati Uniti.

Negli USA hanno addirittura coniato un’espressione per definire questo fenomeno – School-to-prison pipeline  – descritto così da Wikipedia (non è una fonte oggettiva, ma quanto meno controllata dagli utenti del web di mezzo mondo): “Tendenza sproporzionata ad essere incarcerati che colpisce minori e giovani adulti provenienti da contesti svantaggiati e che finiscono in prigione a causa delle politiche scolastiche sempre più severe”.

Negli Stati Uniti le prigioni per i minorenni sono un business molto fiorente, quasi sempre nelle mani di privati, che non sono mai sazi di cercare giovani inmates sui cui lucrare. Lo stato ti dà 150 dollari al giorno per detenuto, tu ne spendi 50 per mantenerlo, lo fai anche lavorare a 3 dollari all’ora, e voilà, il gioco è fatto. Vanno bene anche i ragazzi di 14 anni per riempire le galere: pecunia non olet. Difficile poi risalire la strada dell’integrazione nella società produttiva se sei stato condannato per oltraggio a un insegnante, mentre facevi le scuole superiori, e ti sei fatto un paio d’anni di galera.

Lo dico onestamente: chi inneggia al gesto della valorosa insegnante che querela tutta la classe, nessuno escluso, per averla impallinata (ben due volte) si deve chiedere se vogliamo per davvero che quei ragazzi vengano condannati da un tribunale. Anche se in Italia finire in un carcere minorile è difficile, perché sono necessarie pene superiori ai nove anni, non possiamo dimenticare che siamo il paese di Cesare Beccaria, marchese di Gualdrasco e di Villareggio, illuminista, che ha scritto “Dei delitti e delle pene”. Le pene devono essere certe, proporzionate ai delitti commessi: “Il fine dunque non è altro che d’impedire il reo dal far nuovi danni ai suoi cittadini e di rimuovere gli altri dal farne uguali.

Vogliamo condannare al carcere i bulli che sparano pallini plastica a una professoressa, e vogliamo che a fargli compagnia ci siano i gregari, quelli che secondo gli studiosi del bullismo sono i ragazzi che non sanno opporsi al bullo, ma anzi lo seguono nel tentativo di piacere al gruppo?

La mia risposta è no. Perché altrimenti ci avvieremmo verso il modello americano della School-to-prison pipeline, che non sembra neanche così efficace nel contrastare il fenomeno degli School mass shooting, gli omicidi di massa commessi dagli studenti che negli Stati Uniti riescono facilmente a procurarsi armi da fuoco, non pistole a pallini.

Invocare la punizione – una condanna penale e quindi, in teoria, la galera – per i bulli significa rinunciare a un ruolo della scuola anche educativo, oltre che preventivo, in cui si insegna ai ragazzi a stare lontani dai bulli, a isolarli, a metterli da parte. Se invece i bulli verranno solo puniti (insieme ai gregari, senza nessuna distinzione), allora prepariamoci a pagare l’avvocato ai nostri figli, se solo finiscono nella classe sbagliata, con un bullo che la fa da padrone e un poliziotto pronto a mettergli le manette. Il passo successivo (sempre negli Stati Uniti) è infatti la presenza nelle scuole della School Police, che porta chi ha preso otto in condotta in un carcere minorile (privato) dove resterà un paio d’anni.

Fermiamoci prima, per favore, perché abbiamo visto che la Destra americana, campionessa di Law and Order, ha dato l’assalto a Capitol Hill. Mai fidarsi di chi inneggia all’ordine e al rispetto delle leggi, perché poi te li ritrovi (armati) in parlamento.

TAG: law and order, Maria Luisa Finatti, School-to-prison pipeline, scuola
CAT: scuola

Un commento

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  1. massimo-crispi 1 anno fa

    Vorrei chiederle, signora Baroncelli, come si sarebbe comportata con chiunque, giovane o maturo, che le avesse sparato senza motivo dei proiettili di plastica in uno o entrambi gli occhi, a scuola, a teatro, per la strada, ovunque.

    Le pene devono essere certe, proporzionate ai delitti commessi dice lei. E certo! Ma un atto gravissimo come quello che hanno commesso quei ragazzi, mentre l’insegnante rischiava la cecità, come dovrebbe essere punito?
    Lei è contro la punizione, questo mi sembra evidente, ma cosa propone in alternativa? La ramanzina per dei fatti così gravi? Il velemose bbene? il sette in condotta e basta?

    Passa sempre più l’idea che i ragazzi non devono essere stressati perché, poverini, so’ ragazzi e devono giocare. Ma lei non propone niente di concreto in alternativa all’insegnante che, ferita dalle pallottole di gomma, dopo averci ben riflettuto, ha denunciato i suoi allievi. E che doveva fare? Finte di niente, assecondando così quei comportamenti? Una ramanzina. guardate che così non si fa perché non sta bene?

    Non si preoccupi, i ragazzi sicuramente non verranno condannati, anche perché ci vorrebbero riformatori capienti che il Paese non possiede, ma avranno certamente uno choc, perché non se lo aspettavano, avranno pensato tanto nessuno ci farà niente perché siamo minorenni, perché questo è sempre il messaggio che passa, perché tanto i nostri genitori ci difenderanno sempre. Anziché prenderli a sberle, toglier loro i telefoni, vietar loro di uscire di casa e chiuderli in camera a studiare senza fiatare, passandogli solamente il pranzo e la cena sul vassoio per almeno due settimane. E se hanno bisogno di parlare parlino con uno psicologo, se i genitori non sono capaci, che faccia loro capire la gravità del gesto. E se non hanno studiato che ripetano l’anno, obbligatoriamente.
    E anche chi segue il bullo, il gregario, ci penserà due volte prima di prendere una posizione gregaria, forse, per capire che la gregarietà diventa complicità.

    Però lei questo non lo propone, lei dice solo che così si diventa come negli Stati Uniti. Noi scimmiottiamo gli Stati Uniti da decenni, ma abbiamo, per fortuna, una Costituzione diversa e una storia assai più articolata, con una società profondamente differente ma più coerente, rispetto alla loro, che pure è una società composita che comprende pezzi di mondo in disordine arrivati lì per caso.

    Poveri ragazzi, stressati dalla eccessiva permissività.

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