Torni la scuola, tornino i corpi
La scuola è corpi, odori, timori, polvere di gesso sulle mani, silenzio quando il professore guarda il registro e speri non chiami il tuo nome. E’ guardare negli occhi la compagna che ti sorride e tu arrossisci, è abbassare lo sguardo quando il prof ti scruta e vorresti nasconderti perché non hai studiato. E’ le scuse che inventi, i compiti che copi, le battute e i gossip sui professori. E’ l’odore della classe, il ticchettio delle mani sulla fòrmica verde dei banchi in cui sono incisi nomi di altri studenti prima di te, e se metti una mano sotto la sedia trovi qualche gomma appiccicata ormai indurita. La scuola è il suono della campanella, sei te che ti vergogni di uscire durante la ricreazione per non vedere gli occhi della ragazza che non sai ancora di amare, o dei ragazzi che senti più belli di te e perciò ti vergogni, o del bullo che ti fa la posta. La scuola è professori magnifici che entrano con in mano il Corriere della sera, e ti squadernano il senso del mondo, ma anche cinquantenni sfatti con gli occhiali e la pelata a mezzaluna che ti fanno tremare con la minaccia di una interrogazione per la quale non sarai mai preparato . Perché la matematica, per esempio, proprio non ti passa.
La scuola è l’ammirazione e lo scazzo, la frustrazione e l’entusiasmo. E’ la primavera nel sangue e il tremore cupo che ti fa grattare la pelle a febbraio. E’ il panino mangiato in corridoio. E’ l’incanto del marzo e la voglia di non andarci quando non ti va.
La scuola è il santo corpo del bidello, il santo suono della campanella, il santo odore di sigaretta che esce dai bagni. La scuola è la nota che prendi perché rispondi alla prof che disistimi perché non sa nulla e tu credi di meritarti di più. La scuola è una stanza illuminata da luci al neon, calda d’estate e fredda d’inverno. E tu che sincronizzi con il tuo amico il tempo in cui , il pomeriggio, ti sei masturbato, quasi fosse una iniziazione comune.
Tutto ciò e altro ancora, la lentezza, l’ansia, la gioia, la gita, la carezza, l’erezione che provi quando lei si avvicina a te e senti il profumo del camino acceso di Bassiano sul suo maglione ruvido, e lo strusciare del suo corpo sul tuo pene. La scuola è pomeriggi paralizzati a studiare versioni di greco e latino, e tu che devi leggere Goldoni ma ti fai emozionare da un libro di Beppe Fenoglio. La scuola è il sogno di essere come quel tuo insegnante che adori, e il giuramento che non sarai mai come quello sfigato noioso e con le solite giacche carta da zucchero che ci prova con la ventenne bionda di quinta.
La scuola è il mio liceo prefabbricato, imbrattato fuori, sempre lo stesso da trent’anni, dove ancora il cuore mi batte quando ci passo. E’ tutto questo, e molto altro ancora, e come si fa a surrogare con la fronte dinanzi a uno schermo di computer, dove duri fatica a dire buongiorno, dove invece dei volti, degli occhi, dei sorrisi, dei respiri, vedi solo sigle contornate da camei colorati – AM, DS, C, GY – e ascolti le voci meccaniche da computer?
Perché il virus ci hai tolto l’incanto e la paura, la nostalgia e l’ansia, la carta dei libri e la danza dell’immaginazione, e ci ha indotti in uno stress carico di noia ed eczemi, bisogno di darsi malati, di fuggire, di bere, di riprendere a fumare.
Torni la scuola, tornino i volti, tornino i corpi.
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