La donzelletta vien dalla campagna

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7 Novembre 2023

La memoria. Un tempo la memoria era una cosa molto importante perché si tramandava di padre (o di madre) in figlio ed era necessaria per situare nel tempo e nello spazio un enorme bagaglio di esperienze che sarebbe servito a dare un senso ai sopravvissuti, creando una catena di ricordi che non si sarebbe mai estinta. E questo era fondamentale. E memoria significa tante cose contemporaneamente e tutte correlate.

Se un tempo si voleva annientare qualcuno bastava distruggerne la memoria. La damnatio memoriae era la cosa più terribile che potesse capitare a chiunque perché nessuno avrebbe avuto più notizie di chi era stata quella persona, che cosa aveva fatto, se cose buone o cose pessime, e l’oblio sarebbe sceso su colui o colei.

Si scalpellavano via i nomi dalle lapidi, si tagliavano le teste alle statue, se addirittura non si abbattevano, nei libri si cancellavano le tracce. Come se non fosse mai esistito. Oggi è impossibile perché il web, tentacolare creatura virtuale, conserva anche la minima goccia di pipì se la si sa cercare. E ci sono anche persone che cercano la propria damnatio memoriae sul web, il diritto all’oblio.

È uno dei tanti pericoli di questa modernità schizofrenica che da un lato cerca di accumulare il più possibile in archivi digitali, passibili di danni nel caso di eruzioni solari un po’ più fortine, come tutti i macchinari elettronici, e dall’altro avanza colla ormai dilagante “cancel culture”, attiva soprattutto negli sciagurati paesi anglosassoni, dove si vogliono giudicare personaggi che, comunque, hanno fatto la Storia, con criteri moderni, totalmente estranei al contesto in cui coloro operavano. Il rischio è che poi, appunto, se ne perda la memoria e non si sappia più perché una strada si chiami corso Cristoforo Colombo o un giardino Shakespeare Park. Sicuramente, nel frattempo, dopo aver abbattuto le statue e proibito i libri nelle scuole e nelle università avranno ribattezzato le strade e i parchi, perché la cancel culture anglosassone va a fondo. Poveri scemi.

Ma è vero, ci avviamo ormai a essere un’umanità con sempre meno memoria, come se il nostro cervello, di cui utilizziamo solo il 10%, almeno secondo ciò che dicono gli scienziati, dovesse scoppiare per accumulare troppe informazioni.

Non so se a scuola, ormai, si usi ancora far imparare le poesie o brani di romanzi a memoria. Quando si era piccoli un po’ lo si detestava anche perché c’era sempre quello che era più dotato che imparava subito e l’altro più tardo che o balbettava o non riusciva a ritenere le parole in ordine, per i motivi più vari che potevano essere dislessie, o vista carente, o un rapporto colla lingua alterato perché in casa si parlava solo dialetto, o tante altre ragioni a cui un tempo non si dava troppa importanza: uno era asino e basta. Se non sapevi a memoria la donzelletta vien dalla campagna o addio monti sorgenti dall’acque, recitati a pappagallo, erano brutti voti che fioccavano e incidevano sul rendimento.

Però, c’era un’enorme utilità in tutto questo. Col tempo ci si accorge di tante cose che sembrano inutili perché ai bambini non vengono spiegate, o non è stato fatto nella maniera giusta. Vengono imposte e basta. Fin dalle elementari la poesia a memoria da recitare a casa ai nonni o ai genitori era un must per mostrare ai parenti quanto bravo eri. Anche se magari di quel brano non te ne fregava proprio niente. Se, invece si fosse insegnato non solo a impararle a memoria ma anche a recitarle, nei limiti del possibile per un bambino, forse qualcosa in più si sarebbe ottenuta. Mancava la dimensione ludica.

Io ricordo che avevo una propensione a ricordare le canzoni dello Zecchino d’oro perché associavo le parole alla musica e questo mi aiutava. Ma, spesso, anche se la musica c’era, alcune parole erano diverse, adattate, per assonanza. Un po’ come succede con certe arie d’opera come “Il balen del suo sorriso” dal Trovatore, dove a un certo punto il baritono canta “Ah, l’amore, l’amore ond’ardo”. Chi ascolta, soprattutto se non conosce il libretto o ha scarsa dimestichezza colla poesia capisce e ripete “L’amore è un dardo”, perché è più logico, si adatta a una lectio facilior e l’amore può essere un dardo scoccato da Cupido. Come quella squinternata che cantava in un talent show “Ken lee” per “can’t live” (Without you) e che è un successone su youtube. E anche le Canzoni stonate, con parole sempre un po’ sbagliate, di Gianni Morandi.

Perché è importante che la memoria venga incoraggiata fin da quando si è bambini? Magari a scuola, dove ormai si passa più tempo (o si dovrebbe) che in famiglia. E perché è importante svilupparla costantemente senza mai cedere alla pigrizia? Perché la memoria è una delle poche cose che può salvarci dalle difficoltà e può mostrarci una via di fuga.

Oggi viene sottovalutata perché la tecnologia, con smartphone costantemente accesi tutta la giornata, tenuti in mano mentre si cammina per strada, urtando la gente che cammina in senso inverso, in autobus, mentre si guida, anche in bicicletta (pericolosissimo), mentre si sta in palestra, mentre si è a teatro o al cinema, o al ristorante, anziché mangiare, o a tavola in famiglia o con amici (maleducatissimo), ha sostituito la memoria cerebrale. Oltre che, appunto, la buona educazione. Deleghiamo la macchina che, tramite wikipedia o altre fonti ci rivela ciò che stavamo cercando. E non ricordiamo che magari la notizia che cerchiamo sta in un libro che abbiamo a casa. Anche i libri, ormai, almeno quelli che contengono materiale di valore, come pensieri, nozioni, idee, sono merce rarissima da trovare in una casa media moderna. Si trova più facilmente l’autobiografia di un tronista che La coscienza di Zeno. I danni che può fare la mancanza di una memoria esercitata sono enormi, ma non sono mai abbastanza valutati.

Oggi tutti corrono dal neurologo per esorcizzare lo spettro dell’Alzheimer senza rendersi conto che molti di loro l’Alzheimer lo hanno coltivato fin dall’infanzia non esercitando l’apprendimento e la memoria.

Dicono che gli italiani siano un popolo senza memoria. A giudicare da chi eleggono sembrerebbe proprio di sì. Anche se è incoraggiante vedere una abbastanza larga fetta di popolazione che non vota, probabilmente perché si ricorda molto bene chi siano i candidati e quale sia la loro storia e, naturalmente, si rifiuta di votarli come farebbe qualsiasi persona assennata. Se ci si ricorda che Salvini ha detto determinate cose sui meridionali, per anni, cantando in cori da osteria che i napoletani puzzavano, andare a votarlo, soprattutto per i meridionali, significa proprio avere il cervello e la memoria in pappa. E, utilizzando la memoria (e la logica applicata alla memoria), ci si renderebbe conto che da un soggetto così, che memoria ne ha assai poca, o, almeno, mostra di averne poca, non potrà mai avvenire alcun progresso, in nessuna delle sue proposte. Basti pensare a quando sparava a zero sul Ponte sullo Stretto che ora sembra essere diventato lo scopo della sua vita. Come ci si può fidare ancora di persone così e anche di quelli che lo circondano e lo acclamano? Vuol dire che chi lo acclama ha ancora meno memoria di lui e bisogna temere i senza memoria. Ma gli esempi, riguardo alla politica, sarebbero fin troppi e troppo facili, da tutte le parti, perché le sollecitazioni sono continue e sempre più intense.

La memoria risulta utile quando ci si deve preparare a ristrettezze economiche derivanti da una situazione internazionale che non dipende dalla nostra volontà, per esempio. Io ricordo com’erano molte delle nostre case cinquanta e più anni fa. Ricordo che non esisteva il riscaldamento, una delle tante comodità che non c’erano. E d’inverno, anche se stai sulla costa tirrenica in Sicilia, nelle case la temperatura era di 12° o 13° C. E quello è freddo, soprattutto se è anche umido. E ti coprivi, non c’era altra possibilità. E ancora non c’era il gas di città ma la bombola, cosa che c’è ancora nelle periferie di molti piccoli centri. Quando viene fatto apparire lo spauracchio del gas che viene a mancare, chi non ha memoria di questo si sente perduto. Io invece ricordo che ce la si poteva fare, come ce la facevamo, e in casa eravamo in sette, con due nonni che sono morti ultranovantenni, sopravvivendo anche alla seconda guerra mondiale.

Certo, le comodità che ci sono oggi alleviano parecchi problemi, ma un pizzico di memoria male non fa anche perché permette di relativizzare la realtà e può suggerire soluzioni.

La memoria è qualcosa di enormemente vasto ed è ciò che ci contraddistingue da molti altri animali che memoria ne hanno meno di noi o è differenziata rispetto alla nostra. Alcuni animali hanno una memoria olfattiva, per esempio, assai più sviluppata della nostra. Quella visiva aiuta molto, certamente, a riconoscere un pericolo o un’insidia. Quella sonora è certamente la più articolata, perché attraverso un suono (anche le parole sono suoni) noi ricolleghiamo una serie di eventi, un racconto, una situazione, e ricostruiamo le nostre sensazioni, spesso nell’arco di un baleno, perché il nostro cervello, quando funziona, è miracoloso.

Gli ultimi sacerdoti della memoria sono gli attori e i cantanti. Lo sforzo mnemonico che fanno per imparare commedie, tragedie, opere, musical e saltare da un teatro all’altro per esibirsi ha qualcosa di magico. Chi ci pensa a tutto il lavoro costante che ci sta dietro?

L’idea me l’ha fatta venire ieri pomeriggio, a Geo, Vanessa Scalera, che portava in giro per i luoghi della sua infanzia, in Puglia, Fiamma Satta, in sedia a rotelle per sclerosi multipla. E il percorso della memoria di Vanessa, una delle attrici più strepitose del momento, è denso, fitto e appassionante.

A un certo punto Vanessa rivela i suoi metodi per memorizzare migliaia e migliaia di parole. Lei se le scrive e le ripete. E poi lascia sul set delle agende, dei post-it, dei pizzini dove magari c’è la parola chiave che apre le saracinesche della memoria e le fornisce le frasi giuste. Altri invece, raccontava, hanno una facilità di memorizzazione più naturale, beati loro.

Un tempo, nei teatri, esisteva la figura del maestro rammentatore, fondamentale.

Io ricordo che per un’opera del Settecento per cui mi avevano chiamato all’ultimo momento pretesi un rammentatore perché il ruolo era articolatissimo con recitativi interminabili in napoletano antico e lo dovetti imparare in quindici giorni per poi andare in scena. La società che organizzava l’opera era un po’ schifiltosa però poi si convinse e senza quell’aiuto io non sarei riuscito a memorizzare in breve tempo chilometri di recitativi, arie e concertati. Oggi si tende a eliminare il rammentatore perché la buca coperta dal velluto rosso risulta antiestetica nelle visioni dei registi, i padroni dello spettacolo, gli assoluti narcisisti, ormai più dei direttori d’orchestra o dei cantanti. Ma ciò che può succedere in palcoscenico, un partner che si vede per la prima volta, arrivato all’ultimo momento per una sostituzione, un abito che si impiglia, un oggetto che non si trova, una luce che non si accende, uno strumento che non entra in orchestra e che era il segnale per l’attacco, può far distrarre chi canta o recita e può scatenarsi il panico per l’artista. Il maestro rammentatore serviva a evitare il più possibile gli imprevisti.

Ricordo un’altra volta in un’operetta, a Palermo, mi pare la Vedova Allegra, dove l’attrice comica, un’artista famosissima e bravissima in età avanzata, si perse e balbettò qualche parola. Eravamo in sette che pendevamo dalle sue labbra per la battuta e la battuta non arrivava. Anche il maestro rammentatore si perse, cercando sui suoi fogli la battuta senza trovarla e cercando di darci le nostre battute. Ma il palcoscenico trova le sue soluzioni. Cominciammo a balbettare tutti quanti, facendo dei versi esilaranti e poi uscimmo tutti dal palco, come se fosse tutto calcolato. Il pubblico rise a crepapelle pensando fosse compreso nel testo. Il maestro direttore, tutto sudato, attaccò poi la musica del numero successivo. La tragedia ebbe un risvolto trionfalmente comico. Ma è il pericolo costante a cui ci sottopone la memoria.

A scuola, la donzelletta vien dalla campagna è assolutamente necessaria anche oggi, a parte l’enorme valore intrinseco della poesia, e ribadisco che tutte le poesie andrebbero studiate a memoria, perdendoci tempo, che poi non è mai tempo perso perché, a distanza di anni, quel lavoro metodico ritorna sempre utile. Così come bisognerebbe tornare a scrivere a mano e non con programmi di videoscrittura e basta. Certo, il computer aiuta e velocizza, ma velocizza anche la perdita della memoria. Pochi ritengono le cose che scrivono o che, più facilmente, copiano e incollano sul monitor, senza un passaggio riflessivo e senza aver scritto a mano, cancellato, riscritto. Invece, la scrittura, che diventa un atto creativo a partire dalla calligrafia, ossia di qualcosa che appartiene allo scrivente e che diventerà parte dell’espressione della sua personalità, aiuta anche a sviluppare la memoria e a ordinare il pensiero nello spazio e nel tempo, configurando l’ambiente intorno a propria misura.

Soprattutto, la scrittura a mano su carta acuisce la percezione delle tre dimensioni, mentre quella al monitor ne fornisce solamente due, cosa che per un bambino in formazione è assolutamente importante.

Osservando i giovani, che non sanno nemmeno più orientarsi e che non conoscono la posizione dei luoghi perché tanto ormai ci sono le mappe di Google che ti portano dove vuoi tu, mi accorgo di questa mancanza di coscienza dello spazio e del tempo. La dimensione totalmente artificiale in cui vivono è quella del monitor e, quel che è peggio, riproducono le immagini coi colori saturi del monitor, non esistono le sfumature. Se la batteria è scarica o non c’è campo è il terrore.

La memoria investe anche la pubblica amministrazione. Le recenti alluvioni in Romagna e in Toscana sono il frutto della mancanza di memoria di cos’erano quei territori prima dell’urbanizzazione selvaggia di quelle pianure e quindi di uno sfruttamento del territorio che mai e poi mai avrebbe dovuto conoscere un tale tipo di “sviluppo”.

Gli amministratori, che non hanno memoria storica delle alluvioni precedenti e meno che mai conoscono le peculiarità dei territori, hanno dato il loro beneplacito per la desertificazione cementizia di aree vastissime dove il suolo è stato completamente impermeabilizzato ed è diventato una pista privilegiata di scorrimento per le acque meteoriche. Tanto poi si dà la colpa al cambiamento climatico, un’entità astratta, molto comodo. Memento. Memoria.

In tutte queste riforme scolastiche del menga che ci hanno proposto le varie Moratti, Gelmini, Fedeli eccetera non ho mai letto qualcosa che riguardasse l’attenzione necessaria allo sviluppo della memoria e le tecniche di base e non c’era nulla nemmeno sulla scrittura a mano. Nulla. Chiedere ai genitori di far imparare a memoria delle poesie è peggio che andar di notte: i moderni genitori vengono, per lo più, proprio da una scuola che ha abdicato le sue funzioni di istruzione e sviluppo della personalità dei giovani.

Ciò che mi aspetto è, purtroppo, una valanga di smemorati che dimentica tutto da un giorno all’altro. Con danni per tutti.

 

TAG: Famiglia, insegnamento, memoria, poesie, Riforme scolastiche, salvini, scrittura, scuola, teatro, tecnologia, Vanessa Scalera
CAT: scuola, società

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