Francesca di mammadimerda: la pausa estiva genera disuguaglianze sociali
In Italia, il sistema scolastico, ha la pausa estiva più lunga d’Europa, 14 settimane. Come noi solo Lettonia e Malta. La scelta risale ai tempi dell’800 con la riforma agraria, per permettere ai ragazzi di aiutare i genitori a raccogliere il grano nei campi. Una misura di conciliazione che però non si è evoluta al passo delle esigenze delle famiglie, che si trovano sempre più in difficoltà nei mesi estivi, con la gestione dei figli. E la questione non è solo economica, mandare uno o più figli ai vari centri estivi non è una spesa indifferente, ma c’è anche un problema di disuguaglianza e di perdita di competenze cognitive e relazionali.
“Una pausa estiva così lunga si trasforma di fatto in un enorme moltiplicatore di disuguaglianze: non tutti i bambini e le bambine hanno, infatti, la possibilità di partecipare ad attività ricreative e di socializzazione al contrario di altri che durante la pausa praticano sport, coding,(programmazione informatica ndr) imparano nuove lingue… Lo stesso si può dire delle vacanze, che non solo rappresentano un’occasione di svago, ma anche un’esperienza educativa a tutto tondo, e che nel nostro Paese quasi la metà delle famiglie con più di un figlio non può più permettersi. Durante l’anno scolastico, al contrario, studenti e studentesse possono attingere alle risorse che il “rubinetto” della scuola mette a disposizione, a prescindere dal loro contesto di provenienza. Ma quando la scuola chiude, al pomeriggio o in estate, le cose cambiano. Pensiamo solo al servizio mensa, fondamentale nel garantire un pasto completo e nutriente e nell’offrire occasioni di socialità. In Italia quasi 6 studenti su 10 (58%) delle scuole primarie statali non beneficiano di alcun servizio mensa (al Sud arriviamo a 8 su 10). Rimodulare il calendario scolastico è fondamentale per poter garantire a bambini e bambine le stesse opportunità ” Commenta Dina Taddia, Consigliera Delegata di WeWorld
WeWorld insieme a Mammadimerda lanciano “La nostra estate piena rasa” una petizione per ristudiare il calendario scolastico. A pochi giorni dal lancio della petizione che conta già 27.500 firme abbiamo contattato Francesca Fiore, fondatrice del blog mammedimerda per farci raccontare nel dettaglio i termini dell’iniziativa
Da dove nasce l’idea della petizione e come nasce la collaborazione con WeWorld?
Mammadimerda ha già affrontato in diverse occasioni il tema del cambiamento del calendario scolastico, che sappiamo benissimo si porta dietro un cambiamento globale dell’istituzione scolastica, però non è più un calendario che risponde alle esigenze di una società profondamente cambiata ed evoluta. È il secondo anno che collaboriamo con WeWorld, questo è il secondo step e non sarà l’ultimo, abbiamo intenzione di continuare con altre iniziative.
Soffermiamoci sulle richieste della petizione e cerchiamo di spiegare perché sono tutti punti fondamentali.
Proprio perchè è un cambiamento che tocca più sfere e riconosciamo implichi modifiche sostanziali in più settori, le richieste molteplici. Non chiediamo di cambiare il numero di giorni di frequenza, che in Italia sono 200, un primato europeo insieme alla Danimarca, ma chiediamo di spalmarli diversamente durante l’anno. In particolare chiediamo di tenere le scuole aperte con attività didattiche a giugno e settembre, come del resto accade già per gli asili nidi e di tenere gli edifici scolastici aperti e frequentabili, nel mese di luglio, pensando ad attività in collaborazione con le associazioni e le cooperative del Terzo Settore, permettendo agli studenti di fare esperienze di volontariato sociale. Insomma, quello che già avviene in molte scuole perché non è una novità assoluta: molti istituti comprensivi restano aperti con i fondi, il problema è che le attività proposte sono a pagamento per le famiglie e ormai abbiamo raggiunto cifre esorbitanti. Di media si spendono 150/200 euro a settimana, per figlio, per tenerli a scuola durante l’estate. Quello che chiediamo è che lo Stato se ne faccia carico. Non è solo una questione di dove collocare i figli, ma soprattutto pensiamo al concetto di equità sociale e di disuguaglianze che questo sistema attuale acuisce. I figli della classe abbiente d’estate fanno le vacanze studio all’estero, fanno la settimana in barca a vela, mentre i figli della classe meno abbiente passano le giornate se gli va bene con i nonni, altrimenti stanno da soli davanti alla tv o in strada. È auspicabile che ci sia una presa di responsabilità da parte dello Stato un po’ più forte.
Ci puoi raccontare qualche storia di famiglie in difficoltà, non necessariamente economica, ma per mancanza di supporto?
Qualunque famiglia che non abbia dei nonni, che sono diventati il Welfare di questo Paese, ma molto spesso anche loro lavorano fino a quasi 70 anni e a volte non sono ancora in pensione. Una mamma ci ha raccontato di aver deciso di non lavorare per i tre mesi estivi e rinunciare allo stipendio, perchè era per lei più conveniente piuttosto che mandare i 3 figli al centro estivo. Da tenere anche in considerazione, ed è il motivo per cui ci siamo fatte carico di questa istanza in maniera così forte, che per i bambini una pausa così lunga è deleteria per gli apprendimenti, senza contare che la didattica è anacronistica, perché non si può pensare che le scuole siano un posto dove i ragazzini subiscono la lezione frontale, come si faceva nell’800. Certo ripensare al calendario significa anche fare degli investimenti sugli edifici. Sai che su 10 istituti 5 non hanno nemmeno il certificato di agibilità? In Italia dobbiamo mettere le scuole come priorità. Altra questione è la disparità di genere. Su chi ricade la cura dei figli? Principalmente sulle donne, che però non sono più a casa, come negli anni 50, ma vanno a lavorare, come gli uomini e soprattutto noi genitori a casa, per quanto presenti, non possiamo garantire un contributo formativo, come quello che il nostro sistema scolastico è in grado di offrire. Non diamo per scontato che la cura dei genitori sia sempre migliore di quella della scuola.
Assolutamente, siamo completamente allineati e spero di dare un contributo alla petizione con questo articolo. Dall’altra parte, che parere hanno secondo te insegnanti e dirigenti scolastici?
Ci sono quelli che hanno capito la proposta, non solo per gli studenti ma anche per loro stessi, perché a giugno si arriva devastati in questo momento. Non bisogna però confondere la causa-effetto: ci sono insegnanti che dicono “arriviamo già stanchissimi a giugno, figuriamoci andare a scuola tutto il mese”. Si arriva stanchi a giugno perché da dicembre/gennaio non ci sono più pause fino a giugno. Se facessimo un calendario più rilassato, si arriverebbe meno stanchi alla fine dell’anno scolastico. Gli insegnanti hanno 5 settimane di ferie effettive e queste rimarrebbero, si tratterebbe di rimodulare tutta la struttura. Ci rendiamo conto che stiamo proponendo un cambiamento globale, non si può pensare a un cambiamento del calendario lasciando tutto com’è. Ci vuole un cambiamento verso il progresso e la contemporaneità.
Effettivamente significa rivedere un sistema pubblico. Stiamo parlando di tempi biblici ma è anche vero che se mai si comincia mai si arriva.
Certo e il problema è che siamo un Paese talmente statico che non c’è neanche più la capacità immaginifica di pensare ad un cambiamento così. Ci si ferma al primo gradino, non si riesce a fare questo processo di astrazione, è un Paese morente che non pensa al suo futuro. Non c’è nessun futuro se si continua così, tant’è che nessuno fa più figli, chiediamocelo il perché. Una persona minimamente empatica, oltre ai problemi lavorativi che ci sono, lo vede come stanno i suoi vicini che hanno figli e non sanno più dove sbattere la testa, quindi ti fai due conti.
E ti dai una risposta.
Magari dopo aver fatto un figlio non ne fai un altro, sopratutto in una società che ti tratta come se fosse una colpa avere un figlio. Quello che ci viene detto è “avete voluto dei figli? Ora ve li dovete curare, sono fatti vostri. Avete voluto la bicicletta, ora pedalate.” È vergognoso.
Cosa succede negli altri Paesi europei?
Tutti gli altri paesi, anche dove fa caldo, si sono evoluti. A me piace molto il calendario tedesco dove, ruotano tra le ragioni, variando i momenti di vacanza, un sistema che favorisce anche il turismo, perché così non si hanno picchi di altissima stagione e il flusso è costante tutto l’anno. Alternano 5 settimane di scuola e 1 di chiusura e in quella settimana ci sono associazioni del terzo settore che offrono delle proposte extra-curricolari agli studenti, così mentre i genitori sono al lavoro loro possono fare sport, teatro o volontariato. Questa è una proposta che potremmo semplicemente copiare, non serve neanche inventare. La Francia fa la stessa cosa, non ruotano così tanto ma fanno 5 o 6 settimane di scuola e poi fanno le ferie di primavera, d’autunno e hanno momenti di pausa. C’è un altro tema, che non è parte della campagna, ma che mi appassiona, ovvero i compiti a casa. Altra follia tutta italiana. in Inghilterra, per esempio, non vengono dati. È assurdo avere dei ritmi così serrati. Io mi chiedo, chi di noi lavora con questi ritmi? Nessuno. Posso capire d’estate perché se no gli apprendimenti muoiono, ma i weekend o un giorno per un altro no. Escono da scuola alle 14 o alle 16 e devono studiare. Va bene alle superiori, ma alle elementari per me è follia.
Tornando alla petizione una delle scuse più utilizzate per giustificare la lunga pausa estiva è il caldo.
Sì il caldo viene usato come scusa poi mandi i bambini al campo estivo a luglio e dove li fanno? A scuola. Quindi a pagamento non fa troppo caldo. Oltretutto dicono che al campo estivo giocano e non stanno seduti a fare lezione. Esatto, quindi smettiamo di stare seduti a fare lezione. Potrebbe essere un buon modo per fare altre cose. Bisogna evolvere, sia in termini di didattica sia di investimenti sugli edifici. Il cambiamento climatico comporterà periodi sempre più lunghi di caldo, cosa facciamo non andiamo a scuola per 6 mesi? Inoltre i bambini piccoli vanno al nido tutto giugno e settembre, perché non possono farlo anche i più grandi?
Nel 2023 avete lanciato una petizione per la costruzione di asilo nido con i fondi del PNRR e anche dopo il covid c’è stata la raccolta di firme per il superamento della disparità di genere, attraverso investimenti e welfare più equo. Come è andata in quelle occasioni?
Per i nidi c’è una vittoria parziale. Pare che rifacciano dei bandi e abbiano sbloccato dei fondi per arrivare a questo 30%, che era l’obiettivo che avremmo dovuto raggiungere entro il 2010, meglio tardi che mai. Quindi sembra che si siano smosse le acque e questo è molto positivo. A lato PNRR invece noi chiedevamo la luna, cioè che la metà dei fondi del ricoveri venissero investiti su politiche volte alla eliminazione della disparità di genere, chiaramente non l’abbiamo raggiunto però ci sono state delle parziali vittorie. Se non altro si è acceso un faro e almeno se ne parla. Penso per esempio alle aziende che sono obbligate ad avere un report di parità di genere.
Bisogna alzare l’asticella. Si parla di famiglia, di parità di genere ma non si arriva ad azioni concrete. Come mai secondo te?
Innanzitutto servono fondi per queste riforme. Secondo è necessario capire le cause vere. Se uno è intellettualmente onesto non può pensare che le cause della denatalità siano l’egoismo delle nuove generazioni e delle donne, ma le politiche sociali, il welfare e la sanità. Troppe cose non stanno funzionando a fronte di una tassazione altissima, quindi c’è un problema. Una volta individuate le vere cause si agisce, certo sono necessari tantissimi soldi e chiaramente è più comodo nascondere la polvere sotto al tappeto e dare la colpa ai giovani di oggi.
Vero, non basta dare premi per fare un bambino. Se guardiamo agli altri paesi, come per esempio la già citata Germania, hanno delle assistenze fino al 18esimo anno di età.
Non vogliamo dei bonus, vogliamo degli interventi strutturali per tutti. Noi pensavamo alla Spagna come un cugino sfigato, invece anche loro sono diventati un Paese all’avanguardia.
Una volta raggiunto il numero di firme, quali sono i prossimi step? C’è la volontà di incontrare il Ministro Valditara?
Sì, vogliamo raccogliere un bel po’ di firme e portare la petizione a Roma. Non solo a Valditara perché in realtà l’interlocutore di questa riforma è interministeriale, l’intervento è da fare a livello più ampio. Ad esempio gli interventi edilizi potrebbero essere sovvenzionati dai fondi che sono arrivati. Quando decidono che un tema è prioritario, magicamente i soldi si trovano. Devono cambiare mentalità e capire che la scuola è una priorità improcrastinabile se non vogliamo che i nostri figli vadano all’estero. Io sto provando a lottare per cambiare le cose, ma se la situazione resta così non posso dire a mia figlia di creare una famiglia in Italia, è troppo faticoso.
Foto di Diletta Radelli
Un commento
Devi fare per commentare, è semplice e veloce.
Occorre anche tenere conto che la cattodemenza in Parlamento da sempre favorisce la scuola (e sanità) privata, impoverendo la pubblica cui sottrae risorse per finanziare la privata, col solo obiettivo di favorire le scuole cattoliche.
A ciò si deve aggiungere la spesa enorme che sostiene la scuola pubblica da quando il governo Berlusconi nel 2009 circa fece assumere (senza concorso!) nella scuola pubblica 13.800 “insegnanti” di religione, che di fatto sono pura propaganda cattolica a spese dello stato laico.
Le risorse che recuperemmo togliendo l’ora di religione e il finanziamento della scuola privata renderebbe la scuola pubblica italiana una potenziale perla nel panorama mondiale, come accadde con il reparto di ricerca e sviluppo nelle aziende, che permette di vincere le sfide di lungo periodo delle aziende stesse, oltre a garantirne la sopravvivenza (quelle che tagliano i fondi ai reparti di ricerca e sviluppo semplicemente scompaiono nel lungo periodo)