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La prima pagina de La Stampa, che invoca la liberazione di Cecilia Sala

Partiti e politici

Il sequestro di Cecilia Sala, le polemichette di bottega e il vero grande dilemma su principi e scelte

di Jacopo Tondelli

Per liberare Cecilia Sala, giornalista italiana detenuta ingiustamente, bisogna trattare con l’Iran, grande nemico dei nostri migliori alleati e delle donne iraniane. E concedere molto di più di quello che si sarebbe mai disposti ad ammettere. È giusto farlo, e anche dirselo.

29 Dicembre 2024

La notizia di questi giorni è l’arresto, che meglio sarebbe chiamare sequestro, della giornalista Cecilia Sala. Ne sappiamo poco, ed è uno di quei casi che ci ricorda – ma non dovremmo dimenticarcene mai, noi che ci campiamo – che le parole vanno pesate, contate e dosate, anche e soprattutto perchè per la sua liberazione serve una trattativa con l’Iran. Cecilia Sala è stata arrestata in Iran il 19 dicembre scorso, il giorno prima del volo di linea che doveva riportarla in Italia. Le ragioni ufficiali dell’arresto sono ancora ignote, e sarebbe motivato solo da generici “comportamenti illegali”. Una detenzione improvvisa e non supportata da accuse formali è ovviamente incompatibile con il diritto alla difesa, e cioè con le regole minime di uno stato di diritto, che l’Iran del resto non è, essendo una feroce dittatura di matrice islamista scita a fondamento teocratico. Prende corpo in fretta l’ipotesi che Sala sia stata arrestata non in ragione del suo lavoro, ma della sua nazionalità, quella italiana. A confermarlo a Repubblica è addirittura il dipartimento di Stato americano, che collega esplicitamente il fatto all’arresto di Mohammed Abedini, avvenuto in Italia su richiesta della giustizia statunitense il 16 dicembre scorso, ribadendo le gravi accuse formulate nei confronti del cittadino iraniano. Il quale, tramite il suo avvocato italiano, si dichiara estraneo al traffico di droni che servirebbero al regime iraniano per atti di terrorismo anche contro le basi americane.

Ora ci sono i giudici della Corte di Appello di Milano, compretente per territorio essendo abedini stato arrestato a Malpensa, che devono decidere dell’estradizione di Abedini, e che hanno in mano il destino incrociato di due esseri umani e di un intero groviglio di diplomazie. La sua funzione impone obiettività e totale indipendenza dalla politica, tema non nuovo per il dibattito italiano. Pertaltro, il procedimento per l’estradizione prevede che l’ultima parola spetti comunque al ministero della giustizia, che difficilmente muoverà qualunque passo senza che a indicargli la strada sia Giorgia Meloni in persona . Parliamo di quel Carlo Nordio che dalla maggioranza è incaricato di fare da simbolo e da realizzatore di una riforma della magistratura che ai magistrati non piace per niente. Una decisione che portasse all’estradizione potrebbe complicare e non di poco la soluzione rapida e positiva del caso. Da un lato le ragioni delle richieste di un alleato pesante, subito prima dell’ormai prossimo ritorno alla Casa Bianca di Donald Trump, grande alleato politico del governo di Giorgia Meloni, che vede in Abedini il fornitore di droni-killer a un governo di assassini. Se le accuse mosse dagli Usa sono vere, parliamo di un uomo pericoloso e di un nemico giurato dei tanto sbandierati valori dell’Occidente. Di un uomo la cui libertà e attività è un problema per le donne iraniane, per le truppe occidentali, e per Israele e i sauditi. Dall’altro lato, c’è il diritto alla libertà di una giovane giornalista, nostra concittadina, detenuta senza alcun motivo nelle carceri di un paese che non rispetta nessun principio di legalità. Il dilemma, evidente, è in fondo lo stesso che si pone ogni volta che un’organizzazione considerata terroristica priva una persona innocente della libertà per poi chiedere, a chi ha il potere, di decidere non sulla base dei suoi principi, ma dei fini necessari a liberarsi dal ricatto, accettandolo. Nella storia del nostro paese, e non solo, è già successo, di essere attraversati da un dibattito come questo. È quello che è stato reso esplicito da un articolo pubblicato oggi dal quotidiano Il Domani, dal significativo titolo: Sala-Abedini, Iran e Italia trattano. La carta del “no” all’estradizione. Proprio a causa dell’arresto di Abedini sarebbe stata fermata e arrestata ingiustamente Sala, al di là delle retoriche un po’ autocompiaciute di noi giornalisti che hanno puntato tutto sulla voglia – arcinota – dell’Iran di limitare la libertà di espressione, che tuttavia non è la ragione specifica di questo arresto ingiusto e immotivato.  Un no all’estradizione, giocato sull’asse magistratura-politica, semplificherebbe la trattativa. Se a dire no fossero i giudici, toglierebbero sicuramente d’impiccio il governo, che di quel diniego – ai sensi della legge – potrebbe solo prendere atto.

A fronte di questo complicatissimo e delicatissimo groviglio di questioni personali, di comprensibili ansie, di tensioni politiche ed etiche, sarebbe giusto fermarsi tutti, e non coltivare le proprie tristi audience. Sarebbe bene evitare, da destra, di accusare la sinistra di simpatizzare per Hamas che dai pasdaran iraniani è sostenuta e finanziata, o riesumare tweet di dieci anni fa nei quali Cecilia Sala polemizzava sul caso dei marò (che comunque, a differenza sua, non erano esattamente imputato “di niente”). Sarebbe bene, da sinistra, evitare di rinfacciare la differenza di trattamento riservata a suo tempo a Julienne Assange. Abbiamo letto tutto questo, anche di peggio. Sarebbe bene, invece, fermarsi tutti un attimo e ricordarci che, quando in tempo di pace si declamano ferrei principi di rigore, questi potranno essere messi alla prova in momenti di paura e angoscia. Nel mio piccolo e personalissimo pantheon delle guide, ci sono i nomi di quanti, spesso contro il parere maggioritario del loro tempo, ritengono che salvare vita e libertà degli innocenti sia sempre un dovere, che consentono di trattare con tutti, anche col diavolo. Vale oggi per Cecilia Sala, che la notorietà come arma a doppio taglio dalla sua parte ma anche dalla parte dei suoi rapitori, purtroppo; e vale sempre per le vittime di ingiustizie analoghe che molto spesso dimentichiamo, perchè non sono nostri concittadini.
A Cecilia, e a tutte loro, non resta che augurare una fine d’anno che avvicini a grandi passi anche la fine di un incubo.

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