Letteratura
Festival della Letteratura Mediterranea di Lucera: parola alla direttrice artistica
Annalisa Mentana racconta il tema scelto per questa edizione e come è stato accolto dal pubblico
Grande successo di pubblico a Lucera per la XVIII edizione del Festival della Letteratura Mediterranea, conclusosi il 21 settembre scorso. L’evento finale, “La cura dello sguardo”, ha visto protagonista il giornalista Domenico Iannacone in un’intensa conversazione scenica. Il festival si è svolto dal 18 al 21 settembre, con un prologo il 4 a Biccari, riportando vita culturale in città dopo 5 anni della sua assenza. Il tema di questa edizione, “La fatica di restare”, ha unito pensiero, emozione e impegno civile. Organizzato da APS Mediterraneo è Cultura, la manifestazione ha rafforzato il ruolo di Lucera nel contesto culturale pugliese inserendosi all’interno del programma di Lucera 2025 – Capitale Cultura Puglia. La direttrice artistica Annalisa Mentana, racconta gli obiettivi raggiunti e le prospettive future in questa intervista.
Dopo cinque anni di silenzio, il Festival è tornato con un’edizione molto partecipata e ricca di contenuti. Che cosa ha significato per te riportare in vita questo progetto culturale?
Fin dalla sua nascita, nel lontano 2003, il Festival della Letteratura Mediterranea ha sempre goduto di uno straordinario affetto e di una grande partecipazione, soprattutto da parte della Comunità di Lucera. Io stessa, che in quegli anni ero poco più che un’adolescente, serbo bellissimi ricordi di piazze gremite intorno ad autori che parlavano lingue così diversa dalla mia. Riportare in vita il Festival ha quindi per me significato mettermi al servizio di quei ricordi per generarne di nuovi altrettanto (si spera!) indelebili, assecondare un desiderio collettivo di tornare nelle piazze a parlare insieme di quello che più ci sta a cuore.
Il tema scelto, “La fatica di restare”, ha attraversato ogni momento del festival. Da dove nasce questa scelta e che tipo di risposte ha raccolto da parte del pubblico?
Il tema del festival nasce innanzitutto da riflessioni molto personali, credo condivise con tutta la mia generazione: quella di coloro i quali, nati negli anni ‘80, vivono e operano in territori che vengono definiti “marginali” e a rischio spopolamento. Poi ci siamo accorti di come il concetto di “fatica di restare”, inteso come tentativo di costruire giorno dopo giorno, un orizzonte di speranza, dignità e felicità senza cedere allo sradicamento e alla rassegnazione, in realtà fosse non solo intergenerazionale ma applicabile anche ad altri scenari, in primis quello del conflitto a Gaza. Il tema ha stimolato un bel dibattito, non solo tra gli ospiti, ma anche tra il nostro pubblico: tra sostenitori de “la fatica di restare” e de “la fatica di partire” siamo giunti alla conclusione – per dirla con Pavese – di come in generale il vivere sia un mestiere e che come tale, a prescindere dalle proprie scelte individuali, occorra sempre impegno e responsabilità.
Il Festival ha saputo coinvolgere un pubblico trasversale, dalle scuole primarie agli esperti di geopolitica, passando per scrittori e artisti. Quanto è stato importante costruire una proposta capace di parlare a più generazioni?
Il nostro festival ha da sempre avuto l’ambizione di rivolgersi all’intera Comunità di Lucera (e non solo), dunque ad un pubblico eterogeneo sia dal punto di vista anagrafico sia sul fronte degli interessi e degli ambiti di competenza. Abbiamo provato a conferire a tutti gli incontri un carattere divulgativo, inteso positivamente come tentativo di rendere accessibili e comprensibili concetti e contenuti anche piuttosto complessi, se non ostici. L’obiettivo è stato quello di fornire a tutti, anche ai piccoli alunni delle scuole, una “cassetta degli attrezzi”: quegli strumenti interpretativi utili perché ognuno potesse elaborare un proprio pensiero critico sui temi dibattuti durante le nostre giornate.
Tra teatro civile, laboratori creativi, talk e letteratura, la programmazione è stata molto articolata. Qual è stato, secondo te, il momento più emblematico di questa edizione?
Non posso dire che ci sia stato un momento più rilevante o significativo di un altro. Abbiamo provato a costruire una programmazione che si tenesse coerentemente su due binari: da un lato la riflessione sul Mediterraneo sul fronte identitario e geopolitico, dall’altro – stringendo il focus – il tema di questa edizione. Ogni appuntamento, dal mio punto di vista, doveva essere funzionale e imprescindibile a questo discorso. Abbiamo lavorato molto in questo senso e spero che questo sia emerso. Dovendo però scegliere uno dei momenti per me più commoventi e significativi di queste giornate, non posso non citare il laboratorio “Cartoline da una restanza”.
“Cartoline da una restanza” è stato uno dei progetti più originali di questa edizione, coinvolgendo i più piccoli in un percorso di riflessione sul territorio. Che valore ha, secondo te, lavorare con l’infanzia in un festival di letteratura?
“Cartoline da una restanza”, pensato insieme al prof di Feo dell’Accademia di Belle Arti di Bari è stato – per parafrasare Maria Lai – un “gioco molto serio” che ha coinvolto in contemporanea circa 220 bambini delle Scuole Primarie e, in generale, tutta la Comunità Scolastica della nostra città. Lavorare con l’infanzia, oltre che un’occasione per meravigliarsi costantemente della profondità del mondo interiore dei nostri bambini, è per me una forma di investimento sulle future generazioni non solo di lettori, ma anche di amministratori e, perché no, di futuri direttori artistici del Festival della Letteratura Mediterranea!
L’identità mediterranea è un filo conduttore costante del Festival. In che modo questo sguardo sul Mediterraneo continua a rivelarsi fertile e attuale nel contesto culturale contemporaneo?
Da ben diciotto edizioni il Festival si interroga su cosa sia l’identità mediterranea e di conseguenza sul fatto se si possa affermare o meno che esista una letteratura del Mediterraneo. Forse siamo giunti alla conclusione che la chiave di lettura di tutto questo stia nel prendere atto della sostanziale eterogeneità – culturale, ideologica, religiosa, geopolitica – dei paesi che si affacciano sul Mare Nostrum. Un mare che, da almeno 3000 anni, è al centro di attraversamenti, rivoluzioni e conflitti e che, dal mio molto modesto parere, è ben lontano dal poter perdere la sua centralità e attualità sia sullo scacchiere della geopolitica, sia sul fronte culturale e antropologico.
Guardando al futuro, quali sono le tue ambizioni per il Festival? C’è già una direzione in cui immagina si possa sviluppare la prossima edizione?
Il desiderio è che, nel corso di tutto l’anno, si possano svolgere attività e iniziative che ci accompagnino alla prossima edizione del Festival, come punto di approdo di un discorso più ampio che desideriamo costruire con i soci dell’APS Mediterraneo è Cultura, ma non solo. Tra i nostri obiettivi vi è quello di coinvolgere in maniera sempre più significativa gli studenti di tutti gli Istituti di Lucera, le aree periferiche, le comunità di stranieri che sono presenti nella nostra città. Per questo abbiamo bisogno del supporto, delle proposte e della partecipazione di tutti: soci, Istituzioni e privati cittadini.
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