Innovazione

L’idraulico vince sempre

Quali lavori sopravvivranno nel regno dell’intelligenza artificiale? Presentazione di un libro sull’argomento.

8 Giugno 2025

Ieri ho assistito, a Una marina di libri, ingorda kermesse-expo palermitana di eventi letterari, alla presentazione di un libro di Tony Siino, “Intelligenza artificiale, i lavori che non spariranno”, edito da Edizioni Sindacali, che aveva come tema i lavori che sopravvivranno nell’era dell’intelligenza artificiale.

La presentazione era moderata dal giornalista Roberto Chifari.

Il moderatore ha fatto subito notare che, seguendo ciò che scrive Siino, le professioni che si salveranno saranno gli idraulici e gli artigiani, mestieri che evidentemente manco un’intelligenza artificiale avanzata può raggiungere. Il tubo o il sifone otturato lo cambierà sempre l’uomo e l’AI starà a guardare. Quelli che probabilmente spariranno saranno i traduttori e i redattori perché tanto ormai l’AI avrebbe dimostrato quant’è più rapida a fare le traduzioni. Ma poi, nell’esaltazione di questo mezzo che avanza come uno tsunami e senza che nessuno lo possa fermare, l’atteggiamento era quello di adattarsi e di integrarsi, perché uno dei pregi di tutta la storia è che coll’AI oggi si salvano molte vite. Un atteggiamento parecchio ottimista. Tipico della gioventù o della generazione della maggior parte dei relatori. Non quello di lottare per un’AI migliore e non invadente, un’AI più volta a servire l’uomo, no, adattarsi a ciò che verrà. Senza capire, o senza mostrare di averlo compreso, che ciò che verrà è determinato da forti atti di volontà.

Tutti i partecipanti alla presentazione hanno detto la loro, dal loro punto di vista. L’unica donna tra i cinque, Giusi Messina credo si chiami, che è una “innovation manager”, ha ammesso che l’obsolescenza è talmente rapida che anche dopo un’ora che lei ha spiegato alcune cose in uno stage su come funziona l’AI, le medesime possono diventare già obsolete, perché l’AI ha tempi di apprendimento rapidissimi e l’uomo non può starci dietro, coi suoi limiti. Rendendo quindi inutile il lavoro dell’uomo che non potrà mai mettersi al passo, ne concludo io.

L’autore ha pure spiegato come sia importante non spaventarsi e andare avanti. E, addirittura come fosse necessario un insegnamento e una pratica coll’AI già in tenerissima età. Poi c’è stata una tirata sulle fake news, a volte generate anche da un’AI mal istruita.

Ma si è anche messo in evidenza come l’uomo comune abbia sempre delle resistenze verso le nuove invenzioni, come ad esempio le resistenze iniziali verso il calcolatore (anche noto come computer, in italiano), che quelle persone, tra i trenta e i quarant’anni, ricordavano da bambini. E qualcuno, credo lo stesso moderatore, ha fatto l’esempio di come questa tendenza sia antica come l’uomo, citando Socrate che racconta il mito di Thot, ingegnosa divinità che inventava tante cose, tra cui i caratteri e la scrittura, e della presentazione che ne fa a Thamos, faraone egiziano. Thamos sminuiva l’entusiasmo di Thot, dicendo che la scrittura, che era una techne, quindi un’arte, avrebbe portato danni enormi a chi la usava perché, scrivendo, gli uomini avrebbero dimenticato la vera sapienza che, come Socrate sosteneva, si sarebbe dovuta tramandare solo oralmente.

Come tutti sapranno, e chi non lo sa se lo vada a leggere, non è Socrate che ha detto veramente questo ma è Platone, nel suo Fedro, che fa dire queste cose a Socrate, un suo personaggio. Ma la citazione fatta nel simposio palermitano non ha previsto l’autore del dialogo. E, ad ogni modo, non c’entra molto coll’atteggiamento da tenere nei confronti dell’AI.

Perché sarebbe stato importante dire che l’autore, in verità, era Platone? Perché Platone mostra l’atteggiamento che bisogna avere, da scrittore e da lettore, nei confronti della scrittura, ossia usarla in maniera consapevole. La scrittura rende più semplice l’hypòmnesis, cioè la conservazione e la divulgazione del sapere perché, nel dialogo platonico, il discorso di Lisia può essere compreso anche non essendo presenti e perché Fedro non ha avuto ancora il tempo di impararlo a memoria per poi poterlo trasmettere oralmente. Che poi ci sarebbe anche da obiettare su codesta presunta trasmissione orale mnemonica, potendo essere i ricordi anche fallaci.

Ma le considerazioni sulla citazione platonica (sebbene non accreditata come platonica) sembravano un po’ buttate lì come sfoggio abortito di erudizione.

Insomma, tutta una serie d’interventi per cui l’AI veniva fuori come vincitrice assoluta.

Possiamo immaginare però, proprio alla luce di come Platone intenda l’uso della techne, come l’AI proposta ai bambini, che non hanno ancora una chiara visione critica del mondo, ai cui misteri si affacciano con paura o entusiasmo, un’AI iperrapida possa creare dei problemi. E la formazione degli insegnanti, che dovrebbero spiegare e far capire l’AI a quei bambini, dove la mettiamo? E l’obsolescenza? Se si insegna qualcosa a dei bambini e quel qualcosa già dopo un giorno risulta superato, che cosa resterà dell’insegnamento a quelle povere creature? Non è dato sapere. Anche perché, per essere elaborato, per un programma di studi e metterlo in atto servono anni e abbiamo visto che gli anni per l’evoluzione dell’AI sono ere geologiche. Cosa si insegna quindi ai ragazzini se già è tutto obsoleto? Si vedono solo le prospettive “positive”, si vogliono vedere solo quelle, ossia una generazione ideale che poi si formerà.

Mi pare che nessuno di quei cinque fosse realmente al corrente dello stato brado dei giovani e dei giovanissimi e di come non siano in grado di comprendere un periodo di una principale e un grado di subordinazione. Figurarsi l’AI. Utopia. I più furbi useranno l’AI per delinquere, probabilmente, per far soldi, per danneggiare altri, perché è un mezzo che, senza una coscienza etica, si presta facilmente all’inganno. Senza capire nemmeno una beneamata né a cosa potrebbero accedere. Intelligenza all’età della pietra con uno strumento del futuro. Ditemi voi cui prodest.

Per esempio, viene buttata lì, come sconfitta dall’incipiente AI, la professione del traduttore, senza analizzare cosa significhi il lavoro di traduzione. Un traduttore deve conoscere la lingua di partenza e la lingua d’arrivo, con tutte le sfumature di argot e storiche che una lingua può avere, pena una cattiva traduzione. Ora, nessuna AI, nemmeno la più perfetta sarà in grado di comprendere le mille sfumature che una frase può avere in un determinato contesto e in una determinata lingua, con rimandi culturali che, se per l’autore sono chiari, e magari, anche se non è detto che lo sia, per il lettore che conosce quel contesto culturale, per un’AI, pur sterminato deposito di parole, sono appunto, solo elenchi verbali da assemblare con senso compiuto. Forse può funzionare per le traduzioni tecniche, asettiche, che si nutrono di mera terminologia. Ma prova a tradurre un testo letterario di Alberto Arbasino o di Italo Calvino, dove i rimandi culturali sono talmente ramificati e sottintesi che anche il traduttore deve avere un bagaglio culturale immenso, almeno quasi quanto quegli autori, per affrontare i loro lavori. Che mi rappresenterebbe una traduzione del Cavaliere inesistente o di Supereliogabalo fatta dall’AI? A parte che, secondo me, se si facesse fare l’editing della Recherche di Proust a un’AI, colei ti stroncherebbe interi paragrafi magari motivandolo con appunti come “troppo cervellotico, snellire”. Peggio mi sento per delle poesie ricche di rimandi e di simboli, come quelle di Paul Celan o Stefan George: provate a far tradurre all’AI Il libro dei giardini pensili di George, e poi ne riparliamo. Tutte le metafore e le similitudini sottintese nei versi, che parlano di un cammino iniziatico attraverso passione amorosa dei corpi trasfigurato nell’esplorazione di un giardino, coi suoi fiori, le sue piante, i suoi boschetti e i suoi recinti proibiti, vaglielo a far tradurre a un’AI che manco sa chi è lei stessa. Viene da chiedersi come mai il mestiere di traduttore venga messo in pericolo dall’AI, secondo il libro di Siino. Vuol dire una cosa sola, che nessuno, nel consesso di “sapienti” alla presentazione del libro, avesse le idee chiare su cos’è il lavoro di traduttore e quanto già fosse considerato poco importante dalla maggior parte degli editori che vogliono vendere carta e carta ma senza fermarsi a riflettere quanto sia importante una vera traduzione, fatta bene, ben prima di ChatGPT.

E lì sono sopraggiunte anche considerazioni, da parte di Giovan Battista Dagnino, che occupa notevoli ruoli all’Università LUMSA Roma e Palermo, che riguardano strategie digitali, su come la fantascienza avesse previsto tutto questo, da Verne a Asimov a Dick. E quindi di considerare ormai la fantascienza sempre meno fanta. Un po’ superficiale, diciamolo. La fiction è fiction, possono esserci spunti interessanti ma gli scrittori, che sono artisti, parlano per metafore, similitudini, metonimie, simboli. Nessuno sembra considerare questo piccolo particolare.

La letteratura, essendo un’arte, usa il linguaggio per descrivere situazioni varie travestendole, mostrando un mondo diverso dalla realtà, che potrebbe essere anche reale ma non lo è, è sempre un’invenzione. L’allegoria dantesca della Divina Commedia, solo per fare un esempio celebre, la cui editio princeps risale al 1472, credo che risulterebbe assai sminuita se tradotta da un’AI, soprattutto se disinformata.

Dopo l’esibizione dei “sapienti” era previsto l’intervento del pubblico. E lì il primo a intervenire sono stato io. Ahi.

Ho subito fatto notare come non sia stato affrontato il tema del pericolo che può rappresentare l’AI nelle mani sbagliate, di come loro avessero parlato di AI essendo comunque persone con una certa capacità critica (mi chiedo adesso se l’avessero veramente) e quindi una consapevolezza, cercando di distinguere le fake news. Perché le fake news posso essere anche generate da un’AI mal istruita, in quanto le nozioni che l’AI divora ogni giorno sono prese dalla rete, acriticamente. L’AI non ha una coscienza, è solo come un dizionario dove si trovano le parole e il meccanismo assembla secondo modelli che ha appreso frequentando la rete ma nessuno potrebbe spiegare all’AI, che è un’entità senza coscienza, almeno finora, che esiste un’etica, che esistono considerazioni utili e dannose, come per ogni cosa. E chi controlla le fake news dell’AI una volta che l’AI è andata avanti esponenzialmente, rimacinando le fake news e allargandole? Chi la ferma? L’AI è imparziale e nessuno di quel gruppo ha messo in evidenza i pericoli di un’imparzialità incosciente dove, per esempio, se un ponte sullo stretto viene giudicato positivamente perché unirebbe Calabria e Sicilia, favorendo le comunicazioni, non verrebbero prese in considerazione le opinioni e le prove avverse, magari oscurate da un potere per il quale quelle posizioni sono scomode. Se i dati sono stati manipolati l’AI non avrà accesso alle statistiche vere e quindi offrirà una risposta che più fake non si può. L’esempio potrebbe essere replicato in ogni campo, per esempio quello giudiziario, dove l’intervento dei giudici è fondamentale, nel bene e nel male. L’AI sarebbe imparziale e giudicherebbe in base alle leggi, senza interpretarle, quindi senza il filtro della razionalità e delle attenuanti e di un quadro chiaro della situazione, che potrebbe apparire anche in seguito, magari con indagini più accurate o con prove trovate posteriormente e con un ingegno umano che mette in correlazione altre cose. L’AI che ne sa?

Questo nel mio intervento non l’ho detto perché il tempo era ridottissimo.

Ma in quel tempo limitato ho fatto notare come non fosse stato affrontato il tema dell’energia e di quanto energivora fosse l’AI. Ho ricordato come a Memphis, negli USA, dov’è la sede di produzione più importante di Elon Musk, un privato psicotico che, in combutta con Trump, vuole rivoluzionare il mondo colle sue idee strampalate, per alimentare la fame di energia della sua AI, ci sia bisogno sempre crescente di carburante. Uno dei carburanti scelti è il gas metano che comporta estrazioni e combustioni. Il risultato è che l’inquinamento a Memphis ha raggiunto livelli considerevoli e che molta gente in più muore per malattie correlate. Questo apre la discussione dell’AI nelle mani dei privati che adesso ricattano anche la NASA e le agenzie spaziali che di Musk non vogliono sentire parlare, perché si è delegato il potere a un privato troppo potente e troppo volubile.

Il moderatore ha fatto l’esempio di come non possiamo fare a meno dell’AI oggi. Pensiamo di spegnere il telefono, il computer e di disconnetterci dal mondo. Può funzionare per un giorno, magari due, ma già al terzo diamo segni di disorientamento. Soprattutto se si è giovani e si è cresciuti con quel metodo comunicativo che sono i social. Questo però è un atto personale e volontario.

Ma, ho fatto notare nel mio intervento, se qualcuno decidesse al posto nostro di spegnere l’elettricità e quindi di azzerare il circuito d’informazioni che l’elettricità permette? Chi ha fondato il suo sapere unicamente sulla consultazione all’AI resterebbe fuori dai giochi. No Martini No Party. Più nessun accesso alla banca dati. E, se non si sono studiate e imparate cerce cose e si hanno dei libri in formato cartaceo che ce le ricordano, resta il vuoto. E il ragionamento si apre per tutto ciò che dovrebbe essere pubblico ed è stato volutamente privatizzato. Pericolosissimo. Pensate anche all’AI, cosa potrebbe diventare nelle mani di oligarchi squilibrati e drogati tali e quali a Elon Musk, che crede di essere al di sopra di tutti. Tutto ciò si estende a quell’oligarchia che ha potere negli stati canaglia, ivi inclusi Israele, Iran, Russia, USA e la lista non finirebbe più.

Le magnifiche sorti e progressive lasciano vittime incolpevoli sul campo, ma ci si vuol fregiare del fatto che l’AI salvi la vita di bambini attraverso l’intervento di un chirurgo che operi tramite AI, la quale sembrerebbe aver fatto diagnosi più precise di un qualsiasi medico. Ma anche questa è una generalizzazione assai superficiale, perché ci sono medici che hanno studiato bene, hanno fatto ricerca e pratica e quindi sono più bravi di quelli che hanno studiato solamente su un monitor, senza neanche avere una preparazione culturale di base adeguata, quindi senza avere avuto una scuola primaria e secondaria di livello, e medici che hanno studiato male, come spesso accade al comune uomo della strada che si affida all’ASP. I cui medici, come ho avuto modo di rendermi conto recentemente per fatti personali e familiari, e mi riferisco all’ASP di Palermo, sono spesso assolutamente indegni di esercitare questa professione. Ci saranno, però, o almeno lo spero, tra questi medici, alcune eccellenze, che purtroppo io non ho incontrato nel momento del bisogno. I medici asini però sono messi nei posti dirigenziali e a stento sanno usare il computer. Comunque, questa è una considerazione che scrivo qui, non faceva parte del mio intervento. E, last but not least, non si enumerano i bambini che morirebbero nel cercare di estendere la potenza dell’AI, coi suoi consumi energetici che inevitabilmente si traducono in consumo di suolo. Ipocrisia.

L’AI, alla fine, essendo una techne, ha bisogno di consapevolezza, come suggeriva Platone, è solo uno strumento. Ma credo che nemmeno quei cinque, secondo la mia opinione, avessero una reale consapevolezza di cosa significa la parola “consapevolezza” e di tutti i pro e i contro che l’AI comporta. Una riflessione un po’ più seria di quel simposio d’un’ora s’imporrebbe. Soprattutto ciò che ha colpito me e una parte del pubblico era quest’ottimismo ostentato, irriflessivo.

Una piccola spigolatura. Nel libro di Siino c’è, annunciato in copertina come se fosse un valore aggiunto, la postfazione dell’attuale Ministra del Lavoro, Marina Elvira Calderone, sulla cui laurea in Economia all’università privata Link Campus di Roma si è molto discusso (pare che abbia sostenuto ben cinque esami di domenica e alcuni in un solo giorno, alquanto sospetto). Già una postfazione di una così, secondo me e forse non solo secondo me, più che un valore aggiunto è un deprezzamento. Non leggerò il libro di Siino perché dalla presentazione che ne è stata fatta, così ottimistica e positivista, non ne sono per niente invogliato e, soprattutto, visto che la manager Giusi Messina ha ammesso che a causa della parabola intrapresa dall’AI tutto diventa obsoleto nel giro di nanosecondi, figuriamoci un libro sui lavori che l’AI lascerà ai poveri mortali, libro che sarà stato generato dopo studi e riflessioni nel corso degli anni e che avrà avuto una stesura, un editing, una stampa, mesi preziosi in cui nel frattempo l’AI ha compiuto passi da gigante, surclassando autore e libro. Obsoleto. E poi, diciamocela tutta, un libro colla postfazione di una ministra così discussa non m’invita per nulla, anzi, mi repelle, e se avesse voluto essere un endorsement, mi sa che è stato proprio calcolato male. Che brutti tempi.

 

 

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