
Teatro
Se il codice della cultura è il dialogo
Codex Festival 2025: un festival multidisciplinare a Noto nel Sud-est della Sicilia. Intervista al direttore artistico Salvatore Tringali
Noto. Raccontare un festival culturale oggi in Italia significa innanzitutto capire, e quindi raccontare correttamente, quale sia il rapporto che questo tipo di manifestazione intrattiene con la città o il territorio in cui nasce. Con l’espressione “festival culturale” si vuol significare un festival teatrale, musicale, cinematografico, librario e si può tranquillamente metterci un “eccetera” perché negli ultimi tempi l’Italia si è riempita di questo tipo di manifestazioni legate ad ogni attività e a ogni campo dello scibile, dalla filosofia alla fotografia, dall’economia al pensiero scientifico. Iniziative più o meno solide o più o meno fragili, se non fatue, ma che nascono quasi sempre da un’esigenza sana e da una attività progettuale condivisibile: riempire di cultura contemporanea la bellezza (storico-artistica o naturalistica) dei luoghi e farlo, innanzitutto, per i cittadini, per il loro benessere, per la loro felicità, escludendo qualsiasi inerzia folkloristica e finalità turistica o di corto respiro politico. Osserviamo questa volta Codex il festival multidisciplinare (teatro contemporaneo, danza, musica, circo contemporaneo) che si svolge da ben tredici a Noto, bellissima cittadina barocca nel lontano Sud est della Sicilia. Tredici anni sono tanta roba se una manifestazione vuole sviluppare una propria fisionomia e quelli di Codex – un team di una decina di persone – ci hanno provato, e continuano a farlo, con tutte le loro forze. Ne abbiamo parlato con Salvatore Tringali (attore e regista teatrale) che di questa manifestazione è dagli inizi direttore artistico e animatore appassionato e ostinato.
C’è un filo conduttore che lega le scelte artistiche che ha compiuto nel programmare e costruire il Codex Festival di quest’anno?
«La programmazione di Codex festival 2025 non ha una tematica che fa da filo conduttore unitario, ma le scelte hanno come punto di partenza la volontà di mettere in dialogo singoli artisti o compagnie di respiro nazionale e internazionale con artisti che vivono e operano in Sicilia. Questo è un focus che da sempre contraddistingue il nostro agire. Come spesso accade a chi fa teatro, anche nella costruzione di uno spettacolo, una volta che l’opera viene alla luce la si guarda dal di fuori a bocce ferme ed ecco che emergono delle tematiche che magari prima sembravano sopite, implicite o poco focalizzate nella volontà dell’autore. Io credo che la medesima cosa accade nella programmazione di un festival o di una stagione teatrale. Anche in questa edizione sono apparsi dei temi comuni, delle istanze condivise dagli artisti ospiti e dal pubblico. Se dovessi fare una panoramica emergono chiaramente delle tematiche condivise. Nella sessione di agosto non posso non vedere l’affiorare della memoria condivisa e dei rapporti familiari, pensando ad Ashes dei Muta Imago. L’amicizia, il nichilismo e il malessere giovanile in Gente Spaesata, dalla giovanissima compagnia Colline Far di Sofia Russotto e Michele Eburnea. Nella sessione di settembre la libertà è stata declinata con sensibilità diverse da Rosy Bonfiglio e dalla compagnia Ultimi Fuochi Teatro. Libertà intesa come ricerca interiore, tensione tra ciò che lasciamo e ciò che portiamo con noi, o come libertà di vivere e agire uno spazio, così come l’hanno intesa Riccardo Leotta e Marta Greco, autori di Intriga. E tante altre tematiche nuove vedremo in questo nuovo weekend di ottobre».
Tre grandi segmenti: un in agosto, uno in settembre, uno in ottobre. Perché questa scelta?
«Semplicemente perché da quest’anno Codex Festival è stato riconosciuto dal Ministero della Cultura e finanziato anche con i fondi del FNSV ex FUS (Fondo Unico dello Spettacolo), all’interno dell’articolo 16 Festival di Teatro “Prima Istanza”. Questo riconoscimento molto ambito, per noi motivo di grande orgoglio perché dopo 13 anni conferma la bontà e riconosce un lavoro portato avanti con costanza e abnegazione. Ecco, questo riconoscimento ci ha indotti ad aumentare la quantità della proposta artistica in programma. Il decreto richiede un minimo di 12 spettacoli con il coinvolgimento di almeno 5 singoli artisti o compagnie. Numeri che abbiamo ritenuto essere poco sostenibili in un arco di tempo troppo breve, in un territorio di provincia come è il nostro, nonostante la vocazione turistica di cui oggi gode la città di Noto. Tutto ciò ci ha portato a decidere di programmare in tre fine settimana, suddivisi nei mesi di agosto, settembre e ottobre, cercando anche di diversificare il pubblico a cui ci rivolgiamo. Agosto ha visto la presenza di un pubblico più eterogeneo, mentre settembre ci ha consentito di puntare più sulla città e i suoi abitanti, ottobre infine ci ha spinto a immaginare anche una proposta che parlasse alle scuole e alle università».
Siete alla tredicesima edizione; come è cambiato l’atteggiamento della città di Noto e del pubblico nei confronti di questa manifestazione?
«L’atteggiamento del nostro pubblico non è mai cambiato. Anzi ci sono costanti che lo contraddistinguono in maniera netta e continuativa negli anni. Ovvero la volontà di esserci, la scelta di venire a vedere qualcosa che a tratti si presenta insolito. Il pubblico che frequenta il nostro festival ci ha sempre riconosciuto l’audacia di una proposta di grande qualità, la cura nella scelta degli artisti, la volontà di esplorare territori non consueti. Noi dal canto nostro ammiriamo molto questa consapevolezza e siamo molto fieri del nostro pubblico. Non abbiamo e non ambiamo ai grandi numeri, la nostra è una piccola comunità che ogni anno si ritrova e si rinnova ad ogni edizione dove si riconosce e ci riconosce».
A chi si rivolge oggi Codex? Ha immaginato un pubblico particolare?
«Come detto in precedenza, il nostro pubblico è formato dai cittadini di Noto e del suo territorio. Vista la peculiarità della nostra programmazione e la poca offerta che si fa di essa in Sicilia, chi ama questo tipo di teatro quando può viene a trovarci anche dalle città limitrofe. Abbiamo chiaramente un’attenzione rivolta a chi visita la città, anche se da un lato con il teatro paghiamo lo scotto della lingua, mi riferisco chiaramente ai turisti non italiani che in città sono molto presenti, ma da questo punto di vista cerchiamo di recuperare programmando la danza, la musica le istallazioni e la performance, eventi molto apprezzati dagli stranieri che in alcuni casi vivono anche in città. In fine, ma non da ultimo, da sempre abbiamo una grande attenzione verso il pubblico giovane, quello delle scuole e delle università e dunque sempre più spesso immaginiamo percorsi dedicati a loro. Non parliamo solo di spettacoli, anche, ma di incontri con gli artisti, workshop e collaborazioni laboratoriali con il nostro staff».
Da qualche anno ponete una forte attenzione al filone tematico della rigenerazione urbana. Avete avuto dei riscontri positivi su questo filone di ricerca? Riscontri di attenzione e di incoraggiamento da parte della città, delle amministrazioni e del territorio circostante?
«Sì, da qualche anno a questa parte portiamo avanti un progetto di rigenerazione urbana a base culturale, che vede al centro di esso un’area della città ben precisa. Parliamo degli Ex magazzini della stazione ferroviaria di Noto. Un luogo sottoutilizzato, abbastanza periferico e abbandonato, ma per noi prezioso e altamente simbolico, per diversi motivi. Uno, perché è fuori dal miglio d’oro rappresentato dal corso centrale della città barocca. Due, perché rappresenta un punto di arrivo e partenza, anche solo simbolico. Tre, perché è un luogo che fa da cerniera tra la comunità cosiddetta di “Netini” e quella dei “Caminanti”. Due comunità che da sempre convivono, ma sono divise da un muro invalicabile di diffidenza, pregiudizi e incomunicabiltà. Ecco, crediamo che il nostro progetto cultura diffusa e di riqualificazione urbana possa essere un primo passo verso una difficilissima integrazione e verso la riduzione di un gap intergenerazionale. Crediamo fortemente che dare vita ad un luogo dove la comunità si può ritrovare e potrà dialogare con artisti in residenza, partecipando al rito dello spettacolo dal vivo, sarà una grande opportunità di crescita. In questi anni abbiamo ricevuto molti feedback incoraggianti da parte dei cittadini, degli abitanti del quartiere, delle istituzioni che governato la città ma anche dagli artisti e operatori culturali con cui siamo in dialogo».
Crediti fotografici di: Roberta Vindigni, Katania Studio.
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