Teatro
Teatro, Fabre e Servillo a Milano; a Lugano Rifici rilegge Cechov
MILANO _ Il ritorno di Jan Fabre. E dove se non al Teatro Out Off, meta abituale del regista belga che ha un rapporto speciale con il deux ex machina dello spazio di via Mac Mahon? Il rientro meneghino, a distanza di un anno, celebra il lungo sodalizio battezzando ad hoc la rassegna che si terrà dal 3 al 30 ottobre presentando, oltre a diverse riprese, anche due prime mondiali. “Jan Fabre e Mino Bertoldo: 40 anni di poesia della resistenza”. Questo è il titolo scelto per testimoniare una lunga amicizia passata indenne anche nel periodo più buio della carriera di questo artista accusato in una lettera di sessismo e abuso di potere da parte di un gruppo di performers (in otto firmarono integralmente e dodici in modo anonimo). Nel foglio si accusava Fabre, anche di aver molestato sessualmente una performer. Al termine di tre anni di indagini l’artista venne condannato, nell’aprile del 2022, a 18 mesi di reclusione con la condizionale. Condannato per un bacio “alla francese” a una delle accusatrici non consenziente e per le umiliazioni subite da alcuni artisti sottopostisi a servizi fotografici di nudo. Fabre ha sempre rifiutato ogni addebito.
L’amicizia tra il coreografo e artista visivo e Mino Bertoldo risale agli albori del percorso dell’artista belga: i sue si conobbero infatti nel 1985 nella rassegna “Sussurri o grida”, allestita dallo stesso Bertoldo. In cui Fabre mise in scena il folgorante “Il potere della follia teatrale”. Vennero poi altri momenti di collaborazione: nel 1987 Bertoldo ospitò il belga nello spazio Krizia (Out Off a quei tempi non aveva una sede stabile) e fino alla presenza nel 2004 per inaugurare con “The Crying body” lo spazio di via Mac Mahon. Due anni fa, 2023, la prima nazionale di “Peak Mytikas (On the top of Mount Olympus)” lunga ben otto ore. Lo scorso anno Fabre portò cinque nuove produzioni della compagnia Troubleyn, diretta da lui stesso, tra cui due prime mondiali (“Io sono un errore” con Irene Urciuoli e “I’m sorry” con StellaHöttler).
Questa volta l’artista belga sarà di scena all’Out Off di Milano con sei spettacoli di cui due prime mondiali che aprono la rassegna a lui dedicata: “La poésie de la résistance” (3, 4 e 8 ottobre) con Annabelle Chambon e Cédric Charron e “Una tribù, ecco quello che sono” con Irene Urciuoli (10, 11 e 22 ottobre).
Il primo spettacolo, con la drammaturgia di Miet Martens, si ispira al pamphlet “Indignez-vous” di Stéphane Hessel e alla poesia ”Liberté” di Paul Eluard e intende celebrare la forza dell’arte, della poesia e della resistenza contro l’oppressione. “L’opera è ricca di simbolismi e ripetizioni. I performer vengono “giustiziati” più e più volte da revolver, fucili, mitragliatrici, ma si rialzano, trasformando la violenza in movimento e poesia. Motivo ricorrente durante lo spettacolo è l’atto di tatuare un nome sul loro corpo, presentato come una tela vivente, uno strumento di sfida che pensa e sente. Dai piedi alla lingua, dal cuore al cervello, ogni parte porta l’impronta dell’amore, della memoria e della lotta. Il nome inciso è sempre lo stesso: Libertà” e fa proprio appunto il pensiero di Hessel: “Créer, c’est résister. Résister c’est créer”. Nelle musiche anche le improvvisazioni al corno di Gustav Koenigs.
E’ invece ispirato alla poetica di Antonin Artaud, autore del manifesto del Teatro della crudeltà e dell’opera “Il teatro e il suo doppio” lo spettacolo successivo “Una tribù, ecco quello che sono”, sempre con la drammaturgia di Martens (di scena in prima mondiale il 10 e l’11 ottobre e in replica il 22 ottobre). Fabre in particolare fa riferimento all’esperienza di Artaud tra il popolo degli indios alla ricerca di rituali che potessero risvegliare il divino.
“Mi spoglio del mio corpo fino all’osso”. Così scrive Fabre per il quale l’umanità “è spiritualmente incapace di affrontare la natura e soffre di una profonda insoddisfazione spirituale. Da qui il desiderio di tornare a uno stato primordiale. Parlare di vita per Fabre significa anche parlare di morte e il linguaggio deve tornare a essere un grido, anche alla morte. Il cambiamento allora avverrà attraverso incontri che curano le ferite del nostro cuore”.
Torna in scena (il 14 e 15 ottobre) “Il re del plagio”, testo di Fabre, regia, drammaturgia e interpretazione di Roberto Trifirò. Al centro del testo di Fabre una riflessione sull’autenticità dell’arte. In questo caso l’artista belga individua nel “re del plagio” l’artista ciarlatano “che difende l’imitazione come strumento di bellezza e di fragilità per creare arte e, allo stesso tempo, per plasmare la propria identità artistica”. Il re del plagio è quindi “un angelo che vuole diventare uomo, che vuole rinunciare alla sua immortalità ed essere ascoltato da un tribunale composto da “scimmie chiacchierine” – perché è così che vede gli umani- per giustificarsi, difendersi ed essere ammesso nell’olimpo dell’umanità”.
Altro ritorno quello dello spettacolo di danza e teatro “I believe in the legend of love”, testo, scenografia, film e regia di Jan Fabre con la performer croata Ivana Jozic (17 e 18 ottobre). Lo spettacolo è ispirato alla canzone “Ode to Billy Joe” di Bobbie Gentry ed è scritto nella forma di una lettera di un uomo alla sua amata, è “un’opera personale sull’amare e sul lasciar andare. Lo spettacolo sottolinea il diritto di disporre della propria vita e, in particolare, della propria morte”.
Un manifesto che è una professione di fede. E’ “Io sono un errore (I am a mistake”, regia e stato di Jan Fabre, drammaturgia di Miet Martens scritto nel 1988 (di scena il 24 e 25 ottobre). Il testo è dedicato al cineasta s Luis Buñuel e allo scrittore e regista Antonin Artaud. “Io sono un errore” perché “plasmo la mia vita e il mio lavoro in modo organico, secondo il mio giudizio, senza preoccuparmi di ciò che si dovrebbe fare o dire”. Il sound design è a cura di Alma Auer.
Il festival dedicato a Fabre si chiude con “Giornale notturno (1978-2012)” (di scena il 29 e 30 ottobre). Testo di Jan Fabre con Caroline Migli Bateson, dramaturg Edoardo Calegari, entrambi autori anche della mise en espace. Durante la notte, leggendo i suoi diari l’artista di rivede attraverso i ricordi che si mischiano come carte di un mazzo da gioco. “Il susseguirsi delle giornate scritte e ricordate nel diario prende un suo senso logico; discutendo con sé stesso e con la luna, passo dopo passo l’artista si trasforma, si “spella fino all’anima” e compie una metamorfosi fino a trovare, dentro di sé, una donna, una crisalide che all’arrivo dell’alba si trasforma in un insetto e al sorgere del sole si trasfigura in un’opera d’arte viva, un cervo d’oro. Nello spettacolo vengono affrontati anche gli ultimi diari pubblicati da Fabre, mai presentati prima in scena”.
Grande ritorno anche quello dell’attore Toni Servillo che, dopo una lunga e fortunata tournée in Italia e Spagna, approda al Piccolo Teatro Strehler di Milano, dal 1 al 5 ottobre, con “Tre modi per non morire, Baudelaire, Dante, i Greci” a partire dai testi di Giuseppe Montesano.
Nello spettacolo con Servillo, in una sola serata, “Baudelaire racconta come la bellezza combatta contro la depressione e l’ingiustizia, Dante illustra in che modo la poesia si trasformi in romanzo e salvezza, i Greci testimoniano come poesia e filosofia possano accendere una visione in grado di immaginare il futuro”. Il viaggio teatrale proposto dall’attore recentemente premiato con la Coppa Volpi al Festival del Cinema di Venezia è “un itinerario nella poesia, un percorso che si pone come antidoto alla paralisi del pensiero, alla non-vita che tenta di ingoiarci. Versi, parole, frammenti dai testi originali si intrecciano alle considerazioni attraverso le quali autore e interprete invitano a una comune riflessione, tra passato e presente”. Così riflette l’autore di “Tre modi per non morire” Giuseppe Montesano :«Cos’altro sono la letteratura e il teatro se non un dialogo vissuto in una comunità di amici che chiedono di condividere emozione e verità?». E così aggiunge Servillo: «In un momento storico in cui ci sentiamo inquieti, impoveriti, spaventati, disidratati, vessati, bisogna chiedersi che cosa rimane dell’arte come elemento vero di cultura, non solo informazione, non solo passatempo, ma qualcosa di essenziale che circola come il sangue nelle vene».
Nella Sala Teatro di Lugano ha appena debuttato la nuova produzione “Dittico della bufera” che riunisce idealmente due testi di Anton Cechov, “Tre sorelle” e “Il gabbiano” con la regia di Carmelo Rifici che così torna a quelle che sono le tappe fondanti del suo percorso registico. La produzione è frutto di un intenso lavoro pedagogico con una ventina di attori under 35 diplomatisi alla Scuola Luca Ronconi del Piccolo Teatro di Milano.
La prima a debuttare è “Tre sorelle”. Nelle note di regia Carmelo Rifici ricorda le vicissitudini delle sorelle Olga, Masa e Irina, nobili russe che vivono in una piccola città di provincia sognando di tornare a Mosca. Attorno a loro ruotano amori e delusioni mentre il tempo scorre e la speranza si affievolisce. “….tutto, allora, dai più piccoli moti del cuore all’ultima sillaba pronunciata, diventa una lucida e autentica rappresentazione dell’umano. La lotta contro il tempo è per loro un fatto vitale, eppure c’è un’ironia beffarda, paradossale nel loro disperato dibattersi. Ma -si interroga il regista -come si declina quel tentativo, negli attori che devono interpretarli? In che modo riverbera l’umano desiderio di uscire a ogni costo, e definitivamente, dal dominio della dimenticanza?”
Oggi sarà la volta de “Il gabbiano”. In questa nuova produzione l’opera è stata riscritta dall’attrice e drammaturga Livia Rossi che lo rilegge alla luce della storia recente “mettendolo in dialogo con gli scritti di Anna Politkovskaja e Svetlana Aleksjievič, entrambe profondamente coinvolte nella narrazione della guerra e con “Evgenij Onegin” di Puškin, opera fondante della grande letteratura russa ottocentesca”. “Tre sorelle” sarà di scena anche il 4 e il 5 ottobre alle 14,30, mentre “Il gabbiano” andrà in scena nelle stesse giornate ma alle 19,30. Quest’ultima maratona avverrà nell’ambito del Fit, Festival Internazionale del Teatro. Dopo il debutto di Lugano, lo spettacolo andrà in scena al Teatro Litta di Milano dal 6 all’11 novembre (prima italiana), che è coproduttore con Manifatture Teatrali Milanesi, per replicare al Teatro Due Parma dal 14 al 16 novembre. Nel “Dittico della bufera” accanto a Carmelo Rifici anche Tindaro Granata nel lavoro di curatela dell’intero progetto, Daniele Spanò per le scene, Giulia Pastore, per le luci, Brian Burgan e Federica Furlani per il suono.
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