Ex ILVA, le incognite di un accordo generico

18 Dicembre 2020

Intervista con Bruno Manganaro, segretario generale FIOM Genova

Sull’accordo tra Governo e ArcelorMittal Conte ha trovato il modo di usare toni propagandistici – transizione verde, posti di lavoro salvi e un Governo che “corre e risolve dossier fermi da lustri”. Ma si parla di un atto pieno di incognite, almeno per le poche notizie trapelate finora. Ne parliamo col segretario della FIOM di Genova Bruno Manganaro.

“Un accordo di rilancio col pieno coinvolgimento pubblico. C’è un partner industriale che stava per andare via, ma sulla base della determinazione del Governo, del progetto espresso dal Governo e del coinvolgimento pubblico rimane e avvia con noi la transizione verde, preservando i livelli occupazionali e offrendo un futuro sicuramente diverso dal passato a quella comunità locale”. Così Conte una settimana fa, durante la presentazione dell’ultimo DPCM, approfittava della domanda di una giornalista sui ritardi del Governo in materia sanitaria per parlare dell’ILVA come esempio dei “dossier che si trascinano da lustri e che il Governo ha ereditato” e su cui “non è vero che è in ritardo, ma è vero che ha corso”.

L’idea di un passo avanti sulla strada della transizione verde, che in qualche maniera accontenta tutti, è stata rilanciata dai media con l’aggiunta di un ulteriore elemento, il ritorno all’intervento pubblico, quasi una nazionalizzazione. “ArcelorMittal perde la guida, lo Stato torna ai forni”, ha titolato Il Manifesto; per il Sole24Ore“Lo Stato rientra nell’acciaio” e il Messaggero parla addirittura di “Ritorno all’acciaio di Stato”, ma a un più attento esame delle poche notizie lasciate trapelare dal Governo su un accordo di cui il testo è ignoto persino ai sindacati, la situazione appare ben più contraddittoria. Lo ha evidenziato qualche giorno fa su Formiche111220 il professor Pirro, docente di storia dell’industria all’Università di Bari, e ci torniamo con Bruno Manganaro, segretario della FIOM genovese, che nell’intervista che segue conferma alcune delle perplessità espresse da Pirro. Cerchiamo innanzitutto di capire che cosa prevede l’accordo.

Nei giorni scorsi è andato finalmente in porto l’accordo tra il Governo e ArcelorMIttal sull’ILVA. Puoi spiegarci in breve in che cosa consiste?

Partiamo dal fatto che i contenuti dell’accordo non li conosciamo e che le uniche notizie sono quelle che abbiamo appreso dai giornali, quindi già possiamo dire che il Governo ha applicato un metodo balordo. Per il resto dalle notizie che siamo riusciti ad avere si intuisce che a gennaio 2021 il governo, attraverso Invitalia e con un esborso di 400milioni di euro, entrerà  al  50% in AmInvestCo previa autorizzazione dell’antitrust europeo e nel maggio 2022 Invitalia, versando ulteriori 680 milioni assumerà una quota del 60% della società, mentre Mittal scenderà al 40%. Ma, attenzione, significa che nella prima fase, almeno così capiamo, il Governo avrà il 50% del CdA, ma con solo il 40% delle azioni e questo già è singolare. Secondo alcuni giornali, apparentemente bene informati, la parità verrà gestita imponendo che le decisioni siano prese all’unanimità. Poi l’intera operazione è subordinata alla modifica dell’AIA, l’Autorizzazione Integrata Ambientale, necessaria per poter produrre otto milioni di tonnellate di acciaio, al dissequestro degli impianti a caldo da parte della magistratura di Taranto e all’assenza di misure restrittive, sempre da parte dei giudici, nei confronti di Mittal. Nessuno però è in grado di sapere cosa farà la procura di Taranto, tanto più con l’ostilità del sindaco e del presidente di regione verso il mantenimento dell’area a caldo, che di fatto significa essere favorevoli alla chiusura dello stabilimento. E in assenza di uno solo di questi elementi Mittal può recedere dal contratto senza penale. Insomma l’accordo concede una bella posizione di forza in favore di Mittal, che in questo modo può stare alla finestra per altri 18 mesi! Di fatto il Governo sarà schiacciato tra Mittal, Europa, magistratura ed enti locali.

Come si colloca questa vicenda nel mercato mondiale dell’acciaio? Il covid-19 ha influito anche su questo settore?

Il mercato dell’acciaio vede enormi processi di ristrutturazioni in atto in Europa e una riduzione della produzione in Italia, dove aumenta l’acquisto di prodotti all’estero. Il covid-19 pesa su tutta l’industria manifatturiera e quindi anche in questo settore, però l’ultimo periodo indica una ripartenza della domanda d’acciaio e la montagna di miliardi messi in moto dall’Europa avrà ricadute anche nella siderurgia.

Dal punto di vista dei lavoratori quali sono le conseguenze?

L’accordo Governo-Mittal non prevede il rientro dei 1.700 lavoratori che oggi sono dipendenti dell’ILVA Amministrazione Straordinaria e quindi li equipara a esuberi da ricollocare, dove non si sa! Il nuovo piano parla di 10.700 dipendenti nel 2025 e questo significa migliaia e migliaia di cassaintegrati fino a quella data. Si rischiano dai tre ai cinque anni di cassa integrazione, con un taglio dei salari che andrà ad aggiungersi a quello già subito in questi anni. Inoltre un progetto così pieno di incognite e rischi può riservare altre brutte sorprese.

Si registra una certa euforia intorno a questo accordo, visto da molto come una “nazionalizzazione” o comunque un ritorno all’intervento pubblico, ma il problema è: controllo pubblico per fare cosa?

Io non parlerei di nazionalizzazione, perché lo Stato entra con il 50%, ma chi governa sembra essere ancora Mittal, che manterrebbe l’amministratore delegato e ha le conoscenze tecniche per decidere. Inoltre Mittal con la separazione della sua società europea da quella italiana sarebbe contemporaneamente gestore e concorrente della società creata insieme al Governo italiano. Per governare un’azienda serve un progetto, un gruppo dirigente di fiducia e il potere nel consiglio di amministrazione, il governo non ha niente di tutto questo. Come dicevi poi la domanda è: tutta questa architettura societaria e giuridica serve a fare cosa? Si annunciano alcune linee guida, ad esempio la produzione di otto milioni di tonnellate di acciaio con due altoforni a partire dal 2025, grazie alla ristrutturazione del forno Afo5, il più grande, fermo da anni, più un forno elettrico da 2,5 milioni di tonnellate annue e due impianti di produzione del preridotto per abbattere le emissioni, situati fuori dal perimetro aziendale e che potrebbero rivolgersi anche ad altri clienti, ma di cui non è chiaro chi li gestirà  [il preridotto è materiale ferroso, che nei forni elettrici viene utilizzato in sostituzione del rottame di ferro a partire dal quale si produce l’acciaio]. Insomma un piano industriale ancora generico ma presentato come innovativo.

Quali sono le alternative? Federmanager di recente ha presentato un piano, voi a Genova avete fatto delle proposte.

L’alternativa potrebbe essere una vera nazionalizzazione, fatta utilizzando le enormi inadempienze contrattuali di Mittal, ma il governo è debole e inadempiente anche lui, quindi impotente! Federmanager si propone come il soggetto che ha le competenze e le mette ha disposizione del Governo per gestire questa transizione. Ha presentato un piano nazionale, ma che al momento in realtà riguarda solo Taranto e prevede investimenti per un miliardo in tre anni, con una prima fase in cui si produrrebbero 6 milioni di tonnellate con gli Afo4 e 5, a cui in una seconda fase si aggiungerebbe un forno elettrico da 2 milioni di tonnellate, che permetterebbe di accedere anche ai fondi europei per il Green new Deal. Ma il governo rischia di non capire e vedere. Per quanto riguarda Genova Federmanager nei giorni scorsi ha annunciato che presenterà un piano specifico e staremo a sentire. Come FIOM genovese chiediamo investimenti anche sull’impianto di Cornigliano, in particolare sulla banda stagnata chiediamo di ammodernare l’attuale linea di produzione, magari ipotizzandone anche un’altra, poi di far ripartire la linea di verniciatura per i prodotti del settore elettrodomestici e un laminatoio che permetterebbe di lavorare le bramme di acciaio [semilavorati che si lavorano a caldo per farne delle lamiere]. Insomma di avere anche un’autonomia di fronte a possibili difficoltà di essere alimentati da Taranto. Non sarà semplice, ma abbiamo dimostrato anche di recente  che lottando con coraggio e determinazione qualcosa si ottiene.

L’intervista è tratta dalla newsletter di PuntoCritico.info del 15 dicembre

TAG: acciaio, ArcelorMIttal, Bruno Manganaro, fiom, ilva, Mittal, taranto
CAT: Sindacati

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