Quale Memoria
Il suddito ideale del regime totalitario non è il nazista convinto o il comunista convinto, ma l’individuo per il quale la distinzione fra realtà e finzione, fra vero e falso non esiste più.
Così Hannah Arendt, in una delle sue riflessioni più celebri e menzionate, spiega la dinamica sottile ed invisibile che ritroviamo poi alle origini della banalità del male: la mancanza di una dimensione profonda che possa soddisfare la natura del pensiero umano, incline a scavare nelle cose per soddisfare la sete di senso. “Il male è banale” perché ha una vastissima capacità di estensione superficiale: lo si potrebbe immaginare come un velo leggero, oscuro e traslucido attraverso cui la luce filtra ma non può farlo del tutto, rendendo così molto meno chiare le cose che ricopre seppur parzialmente visibili.
Oggi l’incapacità di distinzione tra vero e falso costituisce la pietra angolare del dibattito sull’informazione, che nell’era digitale è diventata linfa liquida capace di strutturare non solo opinioni pubbliche, ma veri e propri sistemi morali e architetture di pensiero con fondamenta o molto solide o molto labili in base alla capacità di selezionare ed utilizzare materiale di qualità.
La domanda che sorge lecita oggi, quindi, è quale memoria verrà portata avanti sulla Shoa: le generazioni future saranno sempre più lontane da azioni inconcepibili per il loro tempo, non vi saranno più superstiti che hanno vissuto quelle atrocità sulla propria pelle a raccontare e contrastare i revisionismi storici che cavalcano quel velo traslucido, e le fonti documentaristiche saranno sempre più sottoposte ad una scelta di consultazione mediatica personale (Giornata della Memoria o meno, se non mi va di vedere l’ennesimo documentario, film o intervista sull’argomento, cambio canale o mi dedico ad altro).
La risposta a questo quesito, dopo le analisi di Hannah Arendt e gli esperimenti di Todd Strasser, potrebbe avercela data la lezione di Diego Baroncini.
Diego è un giovanissimo insegnante di scuole medie con una solida cultura classica alle spalle, attualmente in cattedra a Ravenna: ha iniziato la settimana entrando in classe e dicendo: “Chi non è di Ravenna si tolga occhiali e scarpe“. Le ragazze si leghino i capelli come se non li avessero, studenti ravennati vicino al termo, non ravennati vicino agli spifferi d’aria delle finestre. Orologi, gioielli, cinture, tutto sul tavolo.
Ovviamente per i ragazzi tutto suona come uno scherzo surreale, eppure quello scherzo va avanti abbastanza a lungo per portare gli studenti non ravennati a dichiarare di non sentirsi più loro stessi, e i ravennati ad avvertire un profondo, tacito ed immobile disagio nel vedere i loro stessi compagni ghettizzati pubblicamente. Ma nessuno fa niente. Quando il docente chiede agli studenti ravennati perché pur ritenendo quel tipo di trattamento ingiusto nessuno si sia opposto, la risposta resta tristemente la stessa che diede Eichmann quasi sessant’anni fa: “Abbiamo solo eseguito gli ordini” / “Perché lei è il professore”.
È molto probabile che nel corso degli anni questi ragazzi dimenticheranno le date di deportazione, i numeri di morti e i nomi dei campi di concentramento, forse vedranno solo uno o due documentari in tutta la vita sulla questione, uno dei quali perché obbligati a partecipare al cineforum della scuola, ma certamente ricorderanno molto bene come si sono sentiti e sapranno per certo, anche se con sfumature più tenui (come è giusto che sia), come si siano sentite intimamente milioni di persone uguali a loro quasi ottant’anni fa.
La memoria è un una selezione emotiva: quando non lo è, è solo un fatto freddo, archivistico. Per questo siamo in grado di ricordare ciò che possiamo ricollegare ad una sensazione vissuta in prima persona mentre ci è facile dimenticare la lista della spesa compilata cinque minuti prima.
Quale Memoria, quindi, può aiutare le generazioni future a non sviluppare indifferenza verso il passato, porre attenzione verso il presente, e salvare il futuro da simili eventi che potrebbero ripetersi proprio come la risposta di Eichmann?
La chiave potrebbe essere nel creare percorsi di conoscenza che siano in grado di attivare un’empatia autentica, capaci di potenziare informazioni teoriche che altrimenti inciderebbero solo a metà sulla nostra capacità di elaborare la vita.
Quale Memoria è nostro dovere preservare e trasmettere a chi verrà dopo di noi e vivrà tutto come un enorme racconto? L’unica Memoria che ha senso trasmettere: ricordarci che siamo umani ed esseri umani, e cercare di comportarci di conseguenza riconoscendo ciò che umano non è: l’inclinazione al superficiale, la banalità del male.
Un commento
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Se non si individuano (e ricordano) le cause, i problemi si ripropongono:
occorre sempre ricordare che è stato il cristianesimo a gettare le fondamenta dell’antisemitismo, e che questo continua ancor oggi a discriminare i gay, così come fa l’islam (ed anche le donne, specialmente quelle che abortiscono, chi chiede eutanasia, et cetera).
Una Europa di pace è innanzitutto un’Europa laica, nelle cui scuole si insegni il rispetto della diversità, non la superstizione religiosa (che si pratica in privato e nei numerosissimi luoghi di culto)