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Bioetica

Basta puttanofobia. Diventiamo sex-positive

di Chiara Zanini
17 Dicembre 2020

Dal 2003 ogni 17 dicembre è la Giornata internazionale contro la violenza sulle/i sexworker. Un’idea di Annie Sprinkle, sex worker, e di Robyn Few, attivista, diventata un appuntamento in tutto il mondo per trattare un tema che passa quasi sempre sotto silenzio, perché un po’ come la violenza sulle donne in genere è vista da molti come un fatto difficilmente controvertibile. In Italia la Giornata non ha avuto ad oggi molta fortuna, perché l’obiettivo – prestare ascolto alle/ai sex workers, soprattutto – è poco sentito. Quando si tratta di minoranze siamo odiatori perfetti, e quando si parla di sex work ci si riferisce quasi sempre solo alla prostituzione, per di più nascondendo o imponendo un giudizio. La si collega di default a tratta e sfruttamento, senza nominare la possibilità che sia una scelta, o addirittura negando convintamente questa stessa possibilità. È esistito un Osservatorio sulla prostituzione e sui fenomeni delittuosi ad essa connessi, come se la prostituzione fosse sempre un crimine, alimentando così una confusione che rimarrà in circolo a molti, operatori sociali e volontari compresi. Lo sfruttamento esiste eccome, e non si tratta solo di mafie di altri paesi, anche se si attacca sempre quella nigeriana. La mafia, del resto, l’abbiamo inventata noi e sappiamo anche declinare lo sfruttamento in tantissime varianti che non vengono però prese in esame allo stesso modo. A Roma è attiva da meno di un mese un’unità di strada dedicata alla prostituzione minorile maschile, mentre il fenomeno delle coetanee protagoniste dei fatti di cronaca al quartiere Parioli ha dato lo spunto per la serie tv Baby, prodotta da Netflix in Italia: evidentemente le puttane giovani sono più appetibili per il mercato dell’audiovisivo, esattamente come per gli altri mercati. Quando si tratta di persone consenzienti, invece, il lavoro sessuale è in buona parte negoziazione. Questo è più facile da capire quando si tratta di videochiamate erotiche o di masturbazione in diretta, ma se non si hanno paraocchi lo si potrà accettare pure negli altri casi. Sono sempre di più, ad esempio, studentesse e studenti che si pagano le tasse, l’università o altro attraverso varie forme di sex work, proprio perché rifiutano il caporalato e la cosiddetta gig economy. Una scelta, quindi, di dignità, autodeterminata e di rispetto verso se stessi.

Robyn Few era un’attivista e purtroppo è morta nel 2012, mentre Annie Sprinkle oggi è una sessuologa, una speaker e molto altro. Ha scritto il Manifesto ecosessuale con Beth Stephens, sua moglie, ecoartista. L’iniziativa lanciata nel 2003 ha ancora un significato profondo perché la violenza contro le/i sex worker non è mai cessata, e la stessa Sprinkle nei suoi interventi ricorda come le lavoratrici del sesso vengano stuprate, umiliate, derubate, insultate, colpite dalla violenza di stato e uccise in quanto tali, semplicemente perché esiste una sorta di immunità nei confronti di chi si accanisce contro di loro. Innanzitutto l’apparato statale, che non riconosce l’attività come lavoro, favorendo il ricatto. E poi perché non ammette forme di previdenza sociale, non garantisce il diritto alla salute, al punto che alcune regioni hanno tagliato i fondi per l’assistenza alle vittime di tratta. Non promuove la formazione del personale sanitario in materia, non ostacola le fobie legate al sesso. Non frena nemmeno i crimini d’odio compiuti dalle terf e dalle swerf, ossia le sedicenti femministe che disprezzano innanzitutto le persone transgender, non binarie e le sex workers, spacciando per “radicale” il loro giudizio sul sex work e venendo ugualmente – a volte proprio per questo – invitate ad intervenire a convegni o a scrivere sui quotidiani, come ad esempio Marina Terragni. Con la loro sessuofobia trovano facilmente sodali e contribuiscono ad un quadro quasi completo dell’Italia di oggi, in gran parte razzista, sessista e classista. Qualcosa però si sta muovendo, e tra le azioni messe in campo nel corso del primo lockdown c’è Nessuna da sola, una campagna basata sul mutualismo a sostegno delle/dei sex workers che per via delle restrizioni perdono tutto o gran parte del proprio guadagno. Basterebbe essere sex-positive per capire che la puttanofobia non è d’aiuto a nessuna/o.

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