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I presentimenti di Flaiano sulla nostra condotta quisquiliante

di Oscar Nicodemo
28 Gennaio 2021

Ennio Flaiano ha lasciato questo mondo nel 1972, non senza aver dato prova di straordinarie intuizioni di ordine sociologico e mostrato una certa inquietudine per il modello di comunicazione che si prospettava. Già ai suoi tempi, infatti, cominciava a delinearsi una maniera abbastanza superficiale di fare informazione, che avrebbe progressivamente contaminato l’intonazione e i contenuti dell’intero mondo dell’infotainment, rendendolo vacuamente spettacolare e privandolo di forme esteticamente apprezzabili. Fra trent’anni – sosteneva il fine pensatore – l’Italia sarà come l’avrà fatta la televisione! E così è stato. A differenza di altri intellettuali, il giornalista e scrittore abruzzese di adozione romana preferiva sentenziare senza rinunciare alla leggerezza e al gusto ineffabile dell’ironia, sì da conferire al pensiero, giocosamente profetico, un effetto immediato da condividere spensieratamente, senza ricorrere a macchinose elucubrazioni o a speculazioni dialettiche di maniera. Questo scorcio caratteriale, magnificato dalla sua capacità narrativa, rivela l’umanità espansiva di un creativo come Flaiano: egli era un acuto osservatore che non si discostava, tuttavia, dalla semplicità della critica popolare, che per tradizione è diretta, affabile, chiara.

Oggi, si assiste, come immaginato dal sarcastico moralista “con i piedi fortemente poggiati sulle nuvole”, alla più sconveniente delle rappresentazioni mediatiche, in cui vi è riflesso gran parte del gusto italiano in fatto di costumanza sociale. A tenere banco, nelle varie e similari televisioni, a cui fanno da eco i social, sugli argomenti più attuali e sui risvolti della politica, sono persone che alterano la realtà per il semplice fatto di prenderne in considerazione gli eventi in relazione alla propria persona e non nella loro oggettività. Tanto per fare un esempio che avrebbe fatto venire il prurito al rimpianto autore de “La solitudine del satiro”, propongo un ideale mulinello di immagini, da scegliere a caso dal campionario dell’infiocchettato bidone che è diventata ormai la televisione, sempre più autoreferenziale e lontana dalle esigenze di un pubblico davvero intelligente, dove nessuno, ma proprio nessuno, osa rimproverare alla politica di perdere tempo a darsi un’organizzazione istituzionale, anziché spenderlo per porre rimedio ai problemi del paese. Si passi idealmente in rassegna le facce inespressive dei rappresentati della politica, ospiti dei talk, e quelle incipriate dei conduttori e delle conduttrici. Si osservi le loro bocche muoversi nel gioco delle parti, si presti attenzione al suono che ne viene fuori e ai contenuti che esprimono: in men che un attimo, prende forma un increscioso concetto di estetica del disgusto, ormai tipico dell’ informazione e dell’approfondimento politico. Nessuna ricerca del linguaggio e zero contenuti nuovi, in virtù dei quali operare per una comunicazione pertinente e confacente agli umori di una vasta platea.

Ad esempio, non si capisce per quale motivo i blogger, che negli Stati Uniti, ad eccezion fatta durante il governo di Trump, sono invitati ad accomodarsi in prima fila alle conferenze stampa della Casa Bianca, in Italia vengono tenuti fuori dal dibattito televisivo, dove potrebbero portare una ventata di freschezza. L’attualità rivela, come abbondantemente presagito da Flaiano, che il giornalismo a rimorchio della politica, tanto quello televisivo che quello su carta (quest’ultimo letto, e non sempre, solo dagli addetti ai lavori) è arrivato al punto più basso della sua storia, affossato sotto il peso insopportabile della solenne e strategica falsità, a cui una moltitudine di menti pigre e rassegnate si consegnano in ostaggio. La sfida dei consumatori di notizie di quest’epoca, così culturalmente e umanamente ridotta, consiste nel sottrarsi a questo processo osceno, dove tanta parte della comunicazione svolge un ruolo tossico che si ripercuote gravemente sulle relazioni sociali. Diversamente, della verità continueranno a esistere, nel nostro paese, infinite versioni. E non è detto che sappiamo scegliere quella meno pericolosa.

comunicazione giornalismo social televisione
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