Ambiente
Nucleare? Nì, grazie
Il 12 e 13 giugno del 2011 con 27 milioni di voti, gli elettori si espressero per fermare i piani nucleari del governo, bocciando per la seconda volta il nucleare nel nostro Paese. Non era la prima volta perché già nel 1987 c’era stato un referendum con il medesimo risultato. La scelta fatta dieci anni fa si è rivelata non solo giusta, ma anche lungimirante. In quel periodo in Europa erano in costruzione due reattori EPR, del medesimo tipo che avremmo dovuto costruire in Italia che, di fatto, sono ancora in costruzione e a costi esorbitanti. Per produrre elettricità, infatti, oggi l’eolico e il fotovoltaico sono molto più competitivi del nucleare. E con batterie industriali, sempre più efficienti ed economiche, oggi è possibile accumulare l’energia in eccesso per quando serve e anche alimentare le automobili, la cui tecnologia di realizzazione è sempre più proiettate verso il “100% electric”. Risulta inoltre evidente che l’energia nucleare non può essere un’opzione contro l’emergenza climatica anche perché sarebbe necessario costruire centinaia di nuove centrali e servirebbero decenni. Non si tratta, parlando del nucleare, neppure un’energia pulita, perché è necessario considerare l’intero ciclo e le scorie possono restare pericolose per centinaia di migliaia di anni.
Ecco perché oggi possiamo celebrare quel voto di dieci anni fa con cui gli italiani hanno archiviato nei libri di storia una tecnologia obsoleta e, soprattutto, pericolosa. Ma i tempi cambiano e, come si suole dire in questo caso, i nostalgici sono dietro l’angolo e sono sempre pronti a mettere in discussione tutto compreso quanto espresso dal popolo italiano. Il dibattito tra favorevoli e contrari si è riacceso, dopo la Francia e la Germania, anche in Italia, stimolato dai frequenti riferimenti diretti del ministro della “Transizione ecologica” Roberto Cingolani, che all’energia dell’atomo “di nuova generazione”, pur nel rispetto del referendum, non ha mai chiuso le porte. Cardine portante dei favorevoli al nucleare oggi sono le cosiddette centrali di IV° generazione. Oltre alla voce del ministro, però, autorevoli esperti hanno fatto sentire le ragioni dell’analisi scientifica che, come spesso accade, contrasta quella populista e economico-finanziaria. Si tratta, nello specifico di Gianni Silvestrini, un passato da ricercatore e da direttore generale al ministero dell’Ambiente, oggi direttore scientifico del Kyoto Club, di QualEnergia, presidente onorario del Coordinamento FREE (Coordinamento Fonti Rinnovabili ed Efficienza Energetica) e di Exalto, e di Angelo Tartaglia, ingegnere nucleare e professore emerito di Fisica presso il Dipartimento di Scienza Applicata e Tecnologia del Politecnico di Torino.
Nel corso di un’intervista rilasciata a “Economia Circolare” lo scorso 15 dicembre, l’ingegner Silvestrini a proposito all’utilizzo degli “Small modular reactors”, ha dichiarato che «Naturalmente non si possono fare stime, perché dobbiamo vederne alcuni in funzione. Resta il fatto che, senza una grande capacità produttiva, gli SMR non possono ottenere le riduzioni teoriche dei costi necessarie a compensare la mancanza di economie di scala. Ma senza la riduzione dei costi, non ci sarà il gran numero di commesse per stimolare gli investimenti necessari per impostare la filiera. Sono stati fatti diversi annunci, ma difficilmente si vedrà una centrale in funzione in questo decennio (a parte la centrale russa galleggiante Akademik Lomonosov). Sul fronte delle scorie, vengono dichiarati minori rischi, ma c’è chi teme, se questi impianti dovessero diffondersi, essendo di piccola scala 2-300 MW, rischi di proliferazione di materiali radioattivi utilizzabili per armi atomiche» e che, a proposito delle centrali di IV° generazione « Ne parleremo quando saranno testati e si potranno valutare prestazioni e costi».
A proposito, invece, del fatto che la nuova generazione del nucleare avrà bisogno di meno risorse idriche e che sarà più compatibile con un territorio a rischio sismico e idrogeologico, nella medesima intervista, l’ingegner Silòvestrini dichiara che «Ovviamente, essendo un reattore nucleare, occorrerebbe un’attenta analisi dei territori per trovare un sito adatto. Operazione non semplice, anche dal punto di vista del consenso sociale. Questo decennio sarà, in tutto il mondo, il decennio delle rinnovabili, come dimostrano i programmi di molti paesi ma soprattutto l’evoluzione del mercato. Secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia nei prossimi cinque anni il 95% della nuova potenza elettrica nel mondo sarà verde. Se anche i nuovi reattori all’inizio del prossimo decennio dimostrassero affidabilità, dovrebbero competere con le rinnovabili che generano a prezzi bassissimi, anche considerando i costi degli accumuli. Too late».
Finora, e questo è un fatto, la discussione italiana sul deposito delle scorie nucleari non ha visto una sola Amministrazione Comunale che si sia dichiarata disponibile e anche questo è sicuramente un elemento di cui tener conto in vista di un possibile ritorno al nucleare visto che, continua l’ingegner Silvestrini, «dopo vent’anni dalla costituzione di Sogin (la società dello Stato italiano responsabile dello smantellamento degli impianti nucleari italiani e della gestione e messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi prodotti dalle attività industriali, di ricerca e di medicina nucleare, ndr), non si ha ancora idea di dove localizzare il deposito di scorie, e per iniziare a smantellare le centrali sono stati già spesi 4,2 miliardi di €. E questo è un grosso problema. Ma ci fa capire come l’eventuale localizzazione di un nuovo reattore non sarebbe una passeggiata» e dichiara «Insomma, quello dello smaltimento delle scorie sarà un bel rompicapo per i paesi che hanno fatto questa scelta».
Sempre l’ingegner Silvestrini sfata uno degli ulteriori slogan che accompagnano positivamente il ritorno al nucleare anche in Italia, quello relativo all’occupazione e a tal proposito dichiara «Intanto chiariamo che parliamo degli occupati anche nel settore militare. In un discorso del dicembre 2020 Macron è stato chiaro: “Senza nucleare civile, non ci sarebbe la potenza atomica e senza la potenza militare atomica non ci sarebbe il nucleare civile”. Questa commistione tra nucleare civile e nucleare, del resto, non riguarda solo la Francia, ma anche il Regno Unito, la Russia, gli Stati Uniti, la Cina, l’India, il Pakistan, Israele e la Corea del Nord. Del resto, la forte presenza del nucleare ha limitato in Francia il contributo delle rinnovabili che hanno raggiunto solo il 23,4% nel 2020. E va ricordato che Areva, società francese costruttrice di reattori, a seguito del fortissimo incremento dei costi e dell’incredibile slittamento dei tempi di realizzazione delle centrali di Olkiluoto e Flammanville, è stata prossima al fallimento. Sul fronte delle rinnovabili ci sono 1,5 milioni posti di lavoro in Europa. Al 2030 si prevede un forte aumento degli occupati verdi, con 740.000 occupati solo nel solare».
Angelo Tartaglia, in una recente intervista a “Il Fatto Quotidiano”, dichiara che «quella dell’atomo non è energia “pulita e sicura”, come dicono i sostenitori della “quarta generazione” e neppure è inesauribile». «Al momento non c’è soluzione al problema delle scorie, i costi sono altissimi, la sicurezza è un’illusione» dichiara sempre l’ingegner Tartaglia e a proposito dei minireattori di cui parla il ministro della “Transizione ecologica” e delle centrali di VI° generazione dichiara «Non si capisce se Roberto Cingolani fa lo scienziato o il paladino di un modello di economia. Questi nuovi minireattori sarebbero da fare, non ci sono. La quarta generazione di nucleare non c’è. Abbiamo un’emergenza climatica che ci chiede di dimezzare le emissioni di Co2 entro dieci anni. Non so come il nucleare possa rappresentare uno strumento utile, se richiede decenni per sviluppare le nuove tipologie» e che «la principale caratteristica dei reattori di quarta generazione è quella di non esistere. Si tratta di progetti, di varie tipologie, in cui si penserebbe di mettere in atto determinati accorgimenti per renderli più sicuri. Ma sempre di fissione si parla, nessuno dei problemi di cui abbiamo parlato scompare, oltre al fatto che i reattori veloci hanno più problemi di controllo e sicurezza. Immaginiamo una rete di piccoli reattori che serve a coprire i fabbisogni di energia dell’Italia. Servono un centro di produzione del combustibile e impianti per arricchire l’uranio, per i reattori oggi economicamente più facili da realizzare. Se si utilizzasse l’uranio naturale, invece, occorrerebbero più acqua pesante e impianti per ricavarla dal mare, mentre l’uranio (che non è una risorsa illimitata) va tirato fuori dalle miniere. E bisognerebbe conoscere le condizioni di lavoro nei luoghi dove si estrae questo materiale debolmente radioattivo, magari anche sfruttando i bambini. Un’alternativa è il torio, altro isotopo radioattivo naturale, ma che richiede reattori veloci più difficili da controllare. E poi c’è il plutonio che, però, serve a fare le bombe. Andrebbe poi attivata una rete di trasporti di sostanze radioattive per portare le barre di combustibile al reattore e quello esaurito nei centri dove possa essere riprocessato (a meno che non resti in tanti piccoli depositi, vicino a tante piccole centrali) per poi riportarlo indietro. Solo che anche le reti di trasporto si guastano e sono a rischio di incidenti. Immaginiamo un incidente durante il trasporto di scorie nucleari. Follia».
Ma non dobbiamo, noi, dimenticare che l’energia è una risorsa vitale e che va utilizzata a partire da fonti di lunga durata, sole, maree, eolico, geotermia. Ci sarebbe quindi bisogno di puntare sulla stabilizzazione dei volumi di energia e sulla riduzione dei consumi, anche perché, è ampiamente dimostrato che qualunque altra soluzione porterà a esaurire il serbatoio del pianeta con inevitabili impatti sulle condizioni di vita dell’intera umanità e delle generazioni future. Ma l’Italia ama smentirsi quindi “Nucleare? Ni, grazie”.
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