Flavia Pennetta celebrata per al vittoria dello Us Open di Tennis, sconfiggendo l'amica e connazionale Roberta Vinci

Tennis

Dieci anni dopo Flavia Pennetta, l’Italia del tennis è cambiata, ma la politica no

Mentre Jannik Sinner, Lorenzo Musetti e Jasmine Paolini stanno cambiando la storia della racchetta azzurra, per i leader dei partiti il tempo sembra non passare mai

12 Settembre 2025

Dieci anni fa, Flavia Pennetta compiva un’impresa straordinaria vincendo lo Us Open di Tennis. Da allora molte cose sono cambiate, e la straordinaria età dell’oro del tennis azzurro ha portato il gioco sulla bocca di tutti, colmando il vuoto lasciato dal calcio, ai suoi standard più bassi di sempre. Questo ci consente di osservare il costume italiano da un inedito punto di vista e di riportare alla luce la celebre battuta di Nanni Moretti in “Ecce bombo”, che i boomer ancora si scambiano dandosi di gomito: “Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente?”.

Molti ricorderanno che all’ultimo torneo di Wimbledon vinto da Jannik Sinner, nessun rappresentante delle istituzioni era presente a festeggiare l’altoatesino, mentre l’avversario Carlos Alcaraz è stato consolato nientemeno che dal sovrano di Spagna Filippo VI, alla testa di una delegazione con il ministro dell’Interno Fernando Grande-Marlaska e l’ambasciatore iberico José Pascual Marco Martinez. Richiesto di fornire una spiegazione, il ministro dello Sport Andrea Abodi, incapace di accomodare in anticipo la propria agenda pur di fronte alla non remota possibilità che il n. 1 del mondo arrivasse in fondo ai Championships, ha pensato di cavarsela con un grande classico. Ha fatto appello al sentimentalismo italico e all’unica istituzione che tutti onoriamo, dichiarando che capita anche a un ministro di dover passare una giornata con la famiglia.

La capogruppo di Avs al Senato, Luana Zanella, e il responsabile Sport del Pd, Mauro Berruto, hanno parlato di “clamoroso autogol”, ma il più caustico è stato il leader di Italia Viva Matteo Renzi, che ha definito ridicolo il comportamento del ministro: «Abodi vuole restare a casa? Non vediamo l’ora di mandarcelo definitivamente insieme a tutto il Governo», ha concluso Renzi.

Che le parole più dure siano arrivate dal politico fiorentino non è sorprendente, considerato che proprio dieci anni fa fu bersaglio di una polemica analoga, ma di segno opposto. Occorre tornare a quell’edizione degli US Open e agli anni durante i quali furono le ragazze a tenere alto il vessillo del tennis italiano. Le protagoniste erano Francesca Schiavone (vincitrice del Roland Garros nel 2010 e finalista l’anno seguente) e Sara Errani (battuta da Marija Šarapova nella finale di Parigi nel 2012), che insieme a Roberta Vinci e Flavia Pennetta conquistarono pure quattro edizioni della Fed Cup fra il 2006 e il 2013. L’apice fu toccato proprio da queste ultime, che appunto nel 2015 disputarono a Flushing Meadow la prima finale Slam tutta italiana (anzi, tutta pugliese, considerato che la prima è di Taranto e la seconda di Brindisi): il 12 settembre, le due amiche e rivali, che avevano compiuto insieme la lunga ascesa dai tornei giovanili al circuito professionistico, si contesero il titolo degli US Open e Pennetta divenne la prima tennista del nostro paese, maschio o femmina, a intestarsi il major newyorkese con una netta vittoria per 7-6, 6-2. Pennetta aggiunse un altro colpo di scena, annunciando il ritiro nel rituale discorso durante la premiazione.

L’ex presidente del Consiglio Matteo Renzi assiste alla partita, insieme al presidente del CONI Giovanni Malagò e al presidente della FIT Angelo Binaghi

Ad assistere all’evento, sulle tribune dell’Arthur Ashe Stadium, comparve in extremis proprio l’allora presidente del Consiglio Renzi, lui sì, abilissimo ad aggiustare i propri impegni all’ultimo minuto, dato che nessuno poteva ragionevolmente aspettarsi due azzurre al rendez-vous conclusivo. Pennetta era appena accreditata della 26esima testa di serie e tutto quello che le si chiedeva era di onorare la semifinale raggiunta due anni prima, quando nei quarti aveva eliminato proprio Vinci prima di arrendersi alla bielorussa Azarenka, n. 2 mondiale. Non a caso, dovette spesso ricorrere al terzo set per farsi strada nel tabellone, fino a che fu opposta alla rumena Simona Halep. Contro la seconda favorita del seeding, la brindisina compì un autentico capolavoro. Con una tattica a tutto campo, disinnescò il gioco dell’avversaria al punto da ridicolizzare le sue conclamate doti difensive con un primo set da 6-1. Nel secondo dovette sopportarne la maggiore aggressività fino a rincorrere sull’1-3, ma di nuovo la ridusse all’impotenza con una serie di rovesci piatti, smorzate in contro-tempo e volée d’incontro che le valsero ben 5 giochi di fila e l’ingresso in finale, dove nessuno le attribuiva la benché minima chance contro Serena Williams.

L’americana era una donna in missione. Aveva già incamerato gli Australian Open, il Roland Garros e Wimbledon e fra lei e l’elusivo Grand Slam (la conquista di tutti i major nello stesso anno solare) si ergevano solo due underdog italiane: appunto Pennetta, già approdata in finale, e prima ancora Roberta Vinci, n. 43 del mondo, che non si era aggiudicata un solo set nei quattro precedenti e dunque vittima predestinata. L’avvio rispettò il pronostico e Williams travolse ogni resistenza con un comodo 6-2. Nella seconda frazione, però, qualcosa si incrinò nell’edificio mentale della n. 1 del mondo e Vinci si insinuò in quelle crepe fino a rivelarne la drammatica profondità: sovrastata dal peso della storia, Williams cominciò ad esitare, alimentando l’euforica rimonta dell’azzurra che mandò l’incontro al set decisivo con un convincente 6-4. Qui, la vicenda assunse i contorni dello psico-dramma. Con la palla del 3-0 sulla racchetta, il tennis di Williams andò in frantumi, i suoi piedi si pietrificarono e persino il colpo più banale divenne un’agonia: con un altro 6-4, Vinci produsse forse la più grande sorpresa della storia del gioco e nell’intervista a fine-partita, in un misto di umiltà, incredulità e ironia, arrivò a scusarsi con la rivale e il pubblico per l’inatteso risultato.

Roberta Vinci e Flavia Pennetta posano coi trofei dopo la finale

La finale terminò come già descritto e, per tornare alla premessa, divenne un caso politico proprio per l’improvvisata missione del presidente del Consiglio, che annullò la partecipazione alla “Fiera del Levante” di Bari, indispettendo non poco il compagno di partito e presidente della Puglia Michele Emiliano. Forza Italia accusò il premier per “l’ennesimo spot pubblicitario” a spese del contribuente, mentre il diversamente facondo Matteo Salvini proruppe in un poco originale “vaffa”. Il pentastellato Andrea Colletti presentò invece un esposto alla Corte dei Conti perché venisse accertata la legittimità dell’imputazione alle casse dello Stato delle spese della trasferta, stimate in una forbice fra 80 e 160.000 euro.

Il Pd fece prevedibilmente quadrato intorno al proprio segretario e il deputato Gianni Cuperlo si spinse fino a paragonare la vicenda all’acclamata presenza di Sandro Pertini sulle tribune del “Santiago Bernabeu” in occasione della finale mundial del 1982. Dal canto suo, Renzi rinfocolò involontariamente le critiche con un post sui social, nel quale scrisse che “Una comunità nazionale vive anche di emozioni, non solo di statistiche”, che chiosava una fotografia del premier con Pennetta e Vinci, il presidente del CONI Giovanni Malagò e il presidente della Federtennis Angelo Binaghi, e una bandiera italiana esposta al contrario.

Agli ultimi US Open, Jannik Sinner ha giocato la finale ma ha dovuto cedere il titolo al solito Alcaraz senza rappresentanti del Governo in tribuna e la risposta alla domanda di Moretti resta ancora sospesa. Con o senza il ministro, tuttavia, il tennis italiano ha imparato a brillare di luce propria e proprio per questo si nota di più.

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