Bergamo come Orano

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22 Marzo 2020

La città di Bergamo è la più colpita dall’epidemia da Coronavirus; si registra il più alto numero di morti.
I giornali riferiscono che il cimitero non può più contenere bare e neppure i forni crematori sono in grado di accogliere cadaveri per il necessario incenerimento. Ora si è giunti all’inevitabile decisione di spedire i morti in altre regioni di Italia, in Emilia-Romagna per esempio, proprio perché il numero è cresciuto a dismisura.

L’emergenza si riflette anche nell’ospedale Papa Giovanni XXIII, ormai saturo e non più in grado di allestire posti letto.
Bergamo è come Orano, il paese algerino dove Albert Camus aveva ambientato il romanzo “La Peste”. Come ad Orano c’è desolazione, isolamento, alienazione, perché si sono consumate troppe lacrime, si è essiccato il dolore, la pietà e la misericordia di Dio hanno dimenticato questa città, come se si fosse scatenato un flagello incontrollato e misterioso contro tutto e tutti.
La peste, ricorda Camus in quella cronaca, semina il terrore e fa venir meno ogni possibile legame, lo rompe, lo recide, lo taglia, perché si ha solo la forza dell’autodifesa dell’istinto di auto conservazione .Tutelare solo se stessi e basta.
Mentre in altri paesi di Italia si canta e si balla sui balconi, a Bergamo si piangono morti tutti i giorni.

Un raffinato giornalista de “La Stampa” di Torino, Domenico Quirico, chiede una riflessione muta.

Vedo appesi a balconi e finestre cartelli con la scritta perentoria «tutto andrà bene», addobbata spesso di soli sfavillanti e fiori variopinti; disegnati, mi sembra, dalla mano di bambini, un espediente per interrompere la noia delle giornate chiusi in casa…Provo fastidio, sì, il fastidio che nasce da ciò che è inopportuno, da un annaspare impudico. E so di non essere il solo. Questi riti di riscossa collettiva che la tragedia ha innescato erano, forse, accettabili nei primi giorni, quando ci sfuggivano i contorni numerici del disastro, intendo non economico ma umano. Ebbene: lo ripeto, sommessamente, e credo non essere il solo. Quando vedo e ascolto tutto questo il dolore,come un cane feroce, salta fuori dal buio e mi azzanna. Adesso ci sono i morti, migliaia di morti, è terribile.
No. Non è andato tutto bene…Prima di uscir sul balcone a cantare «azzurro» o «volare» bisognerebbe pensare a luoghi come Bergamo. Lo fareste, lì? Avreste il coraggio di farlo, lì? Bisognerebbe pensare un attimo al volto dei morti. Dove viene cancellato via tutto, sorrisi ,tristezza malizia ,afflizione. Tutto è spazzato via. Voi state cantando e intanto altri cadaveri vengono portati via dagli ospedali che scoppiano, avviati verso cimiteri trasformati non più in luoghi di lutto,ma in camere di distruzione. I morti ce li portiamo in noi. Basta chiudere gli occhi per sentirne il respiro sul collo”.

La città non si spezza: combatte, con pudore nobile ed aristocratico si unisce ai suoi medici, infermieri ed affronta il flagello senza tregua. Bergamo come Orano chiede la dignità del silenzio, perché la tragedia si consuma ogni giorno, perché la morte porta via vite umane come numeri asettici che si assottigliano: la città perde i suoi cari, in un ambiente spettrale, dove non è possibile neppure salutare ed accompagnare l’estinto, qualunque sia, non conta, perché la morte appiattisce tutto.

Si muore da soli, senza neppure stringere una mano per attutire la paura di lasciare questo mondo, di vedere negli occhi chi si è amato.
E questo dolore oggi non ha alcuna speranza.
Il flagello finirà?
Chissà. “Pensiamo che sia irreale– scrive Camus-soltanto un brutto sogno che passerà”.
“Invece non sempre il flagello passa e, di brutto sogno in brutto sogno, sono gli uomini a passare”.
La peste era oscura.
Bergamo come Orano: perché finisca lo sa solo Iddio.
Per ora ci si dimentica di amare.

TAG: bergamo, coronavirus
CAT: Storia

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