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Storia

Dopo Caporetto, Orlando liquida il “macellaio” Luigi Cadorna

di Pasquale Hamel
27 Ottobre 2017

A pochi giorni dalla disfatta di Caporetto, proprio il 28 ottobre 1917, il re d’Italia, affidava l’incarico di formare il governo a Vittorio Emanuele Orlando, personaggio di primo piano nella nomenclatura politica italiana del tempo e uno dei più grandi giuristi della storia del nostro Paese. Orlando era allora abbastanza inviso alle gerarchie militari che avevano individuato in lui una sorta di argine democratico alla loro invadenza. Da ministro dell’interno il neopresidente aveva cercato di contemperare l’esigenza della difesa dello Stato – particolarmente delicata essendo la nazione in guerra  – con la tutela del cosiddetto fronte interno con un’azione legislativa tesa a difendere i più deboli e le famiglie delle vittime della guerra utilizzando soprattutto la leva assistenziale. Fra quei militari, di cui si è detto, fu soprattutto Luigi Cadorna, allora massimo vertice delle forze armate, a essergli ostile perché Orlando aveva espresso riserve sulla sua sconsiderata condotta delle operazioni militari: a causa delle sue cosiddette  “spallate” il Paese aveva, infatti, pagato un altissimo prezzo testimoniato dalla perdita di migliaia di vite umane. Lo statista siciliano non aveva neppure condiviso il pugno duro di Cadorna, responsabile delle fucilazioni di centina idi soldati dichiarati disertori a seguito di processi sommari. A Cadorna, infine, Orlando  rivolgeva l’accusa di avere sostanzialmente depresso il morale del Paese in un momento così delicata per la sua tenuta. La notizia del disastro di Caporetto fece precipitare gli eventi e rende meno forte la posizione di Cadorna. Apparve infatti ridicola l’autodifesa che questi ebbe l’ardire di diffondere, con un comunicato del 28 ottobre nel quale addossava la colpa di quanto era accaduto a quei soldati della II armata “vilmente ritiratisi senza combattere o ignominiosamente arresisi al nemico”. A nessuno sfuggì infatti il maldestro tentativo di coprire i propri errori tattici e i forti contrasti che l’avevano diviso dagli altri comandanti d’armata italiani, scaricando la colpa sugli altri. Ma il Paese che veniva consegnato nelle mani di Orlando era dunque sgomento, confuso, prostrato dalla sconfitta. A quel Paese, a conclusione delle dichiarazione programmatiche rese alla Camera dei deputati, Orlando lanciava pertanto il famoso appello a “Resistere, resistere, resistere !”. Il  compito che re Vittorio Emanuele III gli aveva affidato e la fiducia ricevuta dal Parlamento, imponevano l’adozione di atti emblematici anche per provvedere alle urgenze dovute alla necessità di rimettere in sesto l’esercito e fargli recuperare fiducia in sé stesso. Rimuovere il generale Cadorna, a cui secondo Orlando – ma non solo lui – risaliva la responsabilità di quanto era avvenuto diveniva un passaggio necessario, un atto per rispondere a quell’ignobile comunicato a cui abbiamo fatto riferimento. Inoltre per Orlando Cadorna rappresentava un pericolo per la legalità statutaria, il generale aveva infatti abusato dei suoi poteri, avendo disposto che la “polizia militare” si occupasse non solo di quanto accedeva al fronte ma anche sul resto del Paese. Per questi motivi Orlando non ebbe dubbi in merito e, assunto l’incarico, si recò dal re per formalizzare la proposta di esautoramento di quello che indicava come il vero responsabile del disastro. Trovò in quell’occasione piena condivisione da parte del sovrano che da tempo si era reso conto di quanto poco producenti fossero state le scelte tattiche di Cadorna. Ma Vittorio Emanuele, prima di dare l’assenso alla rimozione, volle sapere dal suo interlocutore  se già disponesse di un nome da proporgli in sostituzione di Cadorna. Il presidente del consiglio non ebbe remore a indicare nel generale Armando Diaz il nuovo possibile comandante. Un nome, quest’ultimo, sul quale Vittorio Emanuele si trovò pienamente d’accordo anche se, sul piano gerarchico costituiva una forzatura, il generale Diaz non aveva avuto fino ad allora responsabilità di comandate di armata ma solo di corpo d’armata. La sostituzione del comandante supremo veniva dunque decisa in quell’incontro dai vertici dello Stato consapevoli,con quell’atto  inoltre si rispondeva positivamente alle richiesta degli alleati formulata nel corso del convegno di Rapallo che avevano posto come conditio sine qua non per lo schieramento delle divisioni francesi e inglesi sul critico fronte italiano, l’allontanamento di Luigi Cadorna. La lucidità manifestata dal nuovo capo del governo confortata dal sostegno del sovrano,  l’energia espressa dal nuovo capo supremo che impugnava “l’arma spuntata”, com’egli definì l’esercito dopo la sconfitta, che gli era stata consegnata fra le mani e le misure adottate nella situazione d’emergenza,  impedirono alla forze austro-tedesche di sfondare il fronte del Piave quando, il successivo 10 novembre, ripresero l’attacco per vibrare quello che immaginavano sarebbe stato il colpo finale. Da quel momento, e fino alla battaglia di Vittorio Veneto, l’esercito italiano posto sulla difensiva riuscì, infatti, a contenere le agguerrite e motivate forze avversarie.

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