“I nostri diletti congiunti, poveracci, continuano ad inghiottire pillole amare vedendo che a dieci anni dalla Liberazione i boia e aguzzini del passato regime sono stati rimessi in libertà e reintegrati di tutti i diritti civili, mentre una parte di noi partigiani siamo ancora privi di quella libertà che ieri abbiamo conquistato per tutti”, così scrive Giuseppe Giusto, nell’ottobre 1955 al Senatore Umberto Terracini.
Il testo di questa lettera è leggibile a pagina 75-76 di Un’odissea partigiana. Dalla Resistenza al manicomio (Feltrinelli), un testo che riapre in modo sorprendente il discorso sul dopoguerra italiano.
Con Un’odissea partigiana Mimmo Franzinelli e Nicola Graziano raccontano la storia, sconosciuta di quelli che la Resistenza l’hanno vinta militarmente e persa nella vita. Quelli che la prolungano e “non depongono le armi”, perché pensano che sia giusto punire quelli che persistono dall’altra parte e che riconosciuti colpevoli in tribunale e condannati, ricevono una pena che prevede la detenzione in struttura manicomiale perché giudicati non sani di mente. Il risultato paradossale è che per loro l’amnistia non avrà valore e mentre gli uomini di Salò, responsabili delle stragi dei civili e dei partigiani in tempi rapidi ritornano liberi, questi si trovano a rimanere in carcere fino a fine pena.
La storia della loro detenzione non è diversa da quella di altri sottoposti a pena detentiva negli ospedali psichiatrici giudiziari (Aversa, Montelupo, soprattutto).
Ciò che colpisce il lettore delle storie che Franzinelli e Graziano raccontano e ricostruiscono in questo loro libro è la tenacia dei giudici a non riconoscere attenuanti, la resistenza a dare licenze, il controllo rigido sui detenuti.
Da anni in Italia è in voga la storia che ci fu una guerra civile, e che quelli che la persero subirono la violenza di quelli che non volevano capire che la guerra era finita e che tutto si svolge in quei “triangoli della morte” dove, dopo aprile 1945, inizia una caccia all’uomo, e soprattutto è interdetta la memoria dei propri morti. Si potrebbe dire che questa è l’immagine di una parte del Paese sottratta alle regole della democrazia politica che sarebbe vissuta in regime diverso. La democrazia politica nell’Italia del secondo dopoguerra è stata una realtà a sovranità limitata?
Franzinelli e Graziano riaprono la partita e propongono un tempo del dopoguerra più lungo, più complicato, fatto di molti soggetti e soprattutto dove i “vinti” non sono quelli di una parte sola.
La realtà ancora una volta più complicata. L’occultamento della sconfitta è una questione nazionale tutta da indagare, ha scritto di recente qualcuno a proposito del 1945, pensando che tutto si imitasse alla questione partigiani contro saloini.
Un’odissea partigiana aggiunge un capitolo che nessuno ha voluto raccontare: né tra coloro che si sono occupati del fronte della Resistenza, né tra coloro che hanno rivendicato attenzione per i saloini, né da coloro che si sono proposti in questi anni “né di qua , né di là, ma oltre”.
La storia si racconta a “parte intera”. Altrimenti “si fa i furbi”. Franzinelli e Graziano ci ha messo del loro per riuscire a farlo. Non è poco. Comunque è un modo pertinente di smontare una retorica che fa finta di raccontare tutto, raccontando ogni volta solo una parte, quella a cui si tiene di più. Talvolta facendo di tutto per non dirlo.
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