Se dimentichiamo Auschwitz, dimentichiamo perché è nata l’Europa

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24 Gennaio 2016

Esattamente 15 anni fa, il 27 gennaio del 2001, si celebrava per la prima volta il Giorno della Memoria. Era il coronamento di un percorso non breve, frutto della volontà di alcuni parlamentari e di organizzazioni e associazioni della società civile. Oltre cinquanta anni dopo la fine della seconda guerra mondiale – dove l’Italia, ce lo dimentichiamo troppo spesso, fu sia aggressore e carnefice sia vittima – anche l’Italia riconosceva una data all’interno del proprio calendario civile per ricordare la Shoah.

La legge

Il Giorno della memoria è stata istituito il luglio del 2000, dopo un dibattito relativamente lungo: l’intera vicenda parlamentare dura quasi quattro anni, iniziata nel febbraio del 1997 con una mozione dell’allora deputato dei DS Furio Colombo – che sarà poi anche il promotore della legge definitiva. Un lungo dibattito, non privo di necessario uso di bilancini e accordi tra parti politiche distanti e esigenze diverse di commemorazione: tra chi vorrebbe che i gulag fossero inseriti in questa legge, chi fa riferimento ai Savoia e chi vorrebbe inserire il ricordo delle vittime di stupri in Ciociaria – vicenda terribile e misconosciuta, ma forse poco pertinente (Francesco Rocchetti ha ricostruito l’iter parlamentare della legge in un bel saggio nel volume Antigiudaismo, Antisemitismo, Memoria del 2008). Quando finalmente la legge sembra arrivare in porto, varie date vengono prese in esame: vi è una richiesta dell’ANED (Associazione Nazionale ex Deportati) per il 5 maggio, giorno dell’abbattimento dell’ultimo cancello di un campo, quello di Mauthausen, data più inclusiva di quella “marcatamente ebraica” proposta da Colombo, il 16 ottobre, anniversario della razzia dell’ex Ghetto di Roma. Quest’ultima, d’altra parte, ha il pregio di puntare sulle spesso dimenticate responsabilità italiane. In Israele e negli Usa Yom HaShoah, il giorno del ricordo della Shoah, si celebra il 27 del mese ebraico di Nissan, data dell’insurrezione del ghetto di Varsavia: ma questa data, che cade tra aprile e maggio e richiama un episodio di resistenza attiva ed in armi, non sembra attirate i legislatori italiani. Il 27 gennaio è però anche la data accettata a livello europeo. Diversi paesi europei infatti istituiscono una data di commemorazione della Shoah nel corso degli anni Novanta, inclusa la Germania. L’Italia come detto ci mette un po’, e con qualche tentennamento. Basta andare a cercarsi un articolo di Stefano Jesurum sul Corriere della Sera del 26 gennaio 2000 significativamente intitolato “Domani è il giorno della memoria. Ma non c’è la legge”. All’interno, l’autore lamenta a proposito della mancata applicazione del disegno di legge: “Questo è piuttosto indegno d’un Paese civile. Un Paese che, evidentemente, al di là delle parole non riesce ancora ad assumersi – senza traumi e senza drammi – le proprie responsabilità”.

Ricordare sempre ricordare

In Parlamento, soprattutto Colombo persegue un’unanimità (che alla fine sarà quasi completa) che sicuramente non è specchio del paese, un paese dove, allora come oggi, permangono istinti (neo)fascisti, nostalgie varie e poco eventuali, e molto disinteresse. Ma l’unanimità porta anche ad insoddisfazioni che sfoceranno nell’istituzione di ben due altre date che arricchiscono il calendario civile degli italiani, sorelle minori poco conosciute e meno celebrate, se non da una parte politica: la “Giorno del ricordo” per le vittime delle foibe, che si celebra forse non casualmente a pochi giorni dal Giorno della memoria (10 febbraio) e poi anche il “Giorno della Libertà” che ricorda l’abbattimento del muro di Berlino. Pochi anni dopo, arriverà anche il “Giorno della memoria dedicato alle vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice”, forse quello con il nome meno felice, che si celebra il 9 maggio, data del ritrovamento di Aldo Moro. È una sbornia memoriale, che si verifica non solo al livello di istituzione di date commemorative ma in molti altri ambiti, che specie tra gli studiosi suscita qualche domanda e dubbio. Lo storico Giovanni De Luna ha parlato, con una formula particolarmente felice, di “paradigma vittimario” evidenziando un vuoto della politica che “non è oggi in grado di proporre antidoti ai guasti di una memoria fondata sulla centralità delle vittime. Meglio sarebbe guardare con fiducia alla conoscenza storica. Più storia e meno memoria vorrebbe dire distanziarsi dalla tempesta sentimentale che imperversa nelle nostre istituzioni, recuperare un rapporto con il passato più problematico, più critico, più consapevole”. È da capire quanto questa esplosione memoriale faccia bene al paese, e quanto invece stufi e crei eventi che si ripetono stancamente ogni anno. Segni di stanchezza arrivavano da più parti, e per quanto riguarda il Giorno della memoria sono stati evidenziati anche in un intelligente pamphlet della scrittrice Elena Loewenthal, intitolato senza eufemismi “Contro il giorno della memoria”.

Dove va il giorno della memoria?

La domanda titolo di questo paragrafo l’abbiamo fatta a una serie di personalità (istituzionali e non), studiosi, ed educatori nell’articolo che viene pubblicato insieme questo. Qui proviamo ad elencare una serie di sfide e problemi che da sempre, ma soprattutto in questi ultimi anni, accompagnano questa data.

È impossibile capire quante iniziative siano state organizzate per il Giorno della memoria, quanti film siano stati proiettati, quante mostre, conferenze, dibattiti e quant’altro, quante volte sia stato fatto vedere La Vita è bella agli studenti di ogni ordine e grado. Una matassa che le istituzioni stesse cercano di sbrogliare: “Da alcuni anni – racconta Victor Magiar (consigliere dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane) durante una recente conferenza stampa organizzata presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri – è stato istituito questo coordinamento istituzionale tra il Governo, diversi ministeri, diverse istituzioni italiane e la rappresentanza del mondo ebraico italiano per dare un ordine e un senso ordinato alle iniziative che si realizzano intorno alla Giornata [sic] della memoria”. Ed elenca alcune di queste iniziative, che vanno da un appuntamento al Quirinale con concorso nelle scuole che organizza il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, fino a “due concerti, uno spettacolo di danza, l’inaugurazione di un master universitario, tre mostre, un documentario, iniziative di carattere artistico come le pietre d’inciampo, e una conferenza. Abbiamo puntato sulla cultura e sulle nuove generazioni”. Probabilmente una buona sintesi di tutto quello che succede ogni anno.

Un tema che si ripete ogni anno, come abbiamo visto anche nell’iter parlamentare, è quello del cosa includere e cosa no. La legge si manteneva volutamente vaga. Recita infatti: “Istituzione del “Giorno della Memoria” in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti”. E i due articoli non necessariamente privi di potenziali equivoci si possono leggere qui. A Roma ogni anno il 27 gennaio c’è una fiaccolata per ricordare gli “stermini dimenticati” (rom, sinti, camminanti, omosessuali, transessuali, disabili, Testimoni di Geova), che non sono inclusi nella dicitura ufficiale del Giorno della memoria: ed infatti il Senatore di SEL Massimo Cervellini ha presentato un disegno di modifica della legge 211 del luglio del 2000 chiedendo “che possano essere ricordati tutti i gruppi che hanno subìto, ad opera dei nazisti, la deportazione e lo sterminio e tutte le vittime di discriminazioni etniche, sessuali, sociali e religiose”. Lo stato dell’iter, recita la gelida lingua burocratica senatese, è “assegnato (non ancora iniziato l’esame)”.

Per alcuni il problema è anche un altro, e cioè che si ricordi la Shoah un giorno all’anno, e poi gli altri si dimentichino le responsabilità italiane, o si tolleri il fascismo di oggi: ad esempio Tommaso Fattori (consigliere regionale in Toscana, a sinistra) ha scritto un lungo post su Facebook a proposito di Casa Pound che cominciava dicendo “mi pare paradossale celebrare fra breve la ‘giornata [sic] della memoria’, un giorno l’anno, e poi negli altri 364 assistere all’inaugurazione delle sedi di Casa Pound, cioè di un’organizzazione neonazista e neofascista”. Intanto Il Foglio lancia un’iniziativa: vestire la Kippah, ebrei e non, durante il Giorno della Memoria, per rispondere alle paure, specie degli ebrei francesi, a circolare con il tipico copricapo ebraico per paura di aggressioni tristemente presenti. Così facendo, con una tale iniziativa in una data non casuale, viene proposto (volontariamente o involontariamente) un link tra antisemitismo di oggi e antisemitismo di allora.

Tenere viva la memoria, ravvivare in qualche modo in giorno della memoria, provare a segnalare una sua utilità o una sua inutilità, sembra essere la preoccupazione di molti. Perché, come dice David Bidussa, “‘Il giorno della memoria’ è in una fase di crisi. Abbiamo il problema di costruire una coscienza civile”, occorre “ripensare un contenuto” . Contenuto che, ipotizza lo storico, può venire dal ripensare cos’è l’Europa, dato che, come dice Magiar nella succitata presentazione .“L’Europa nasce dalle ceneri di Auschwitz” .

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