Shoa, la storia ritorna nelle aule dei tribunali tedeschi

16 Agosto 2015

A Chelmo, che nella seconda guerra mondiale i tedeschi chiamavano Kulmhof, nel dicembre 1941 i nazisti iniziarono il genocidio con metodo artigianale: dei camion in cui si faceva fluire il monossido di carbonio. Con l’azione T4 e la costruzione dei campi di annientamento di Sobibor, Belzec, Trebinka e Majdanek, dai camion si passò a stanze e gas prodotti da motori di carri armati. Poi si giunse all’uso dello Zyklon B ad Auschwitz II. Fu un’ascesa sistematica nell’industrializzazione della barbarie.

La condanna di Oskar Gröning per concorso in 300.000 casi di omicidio a 4 anni più spese del procedimento, nell’ordine di oltre 260.000 euro, pronunciata mercoledì 15 luglio 2015 è la prima conferma dell’inversione di tendenza nella giurisprudenza tedesca nel perseguire anche i livelli più bassi dello sterminio nei lager nazisti, dopo la condanna a John Demjanjuk nel maggio 2011. Ed è tanto più importante se si pensa che Gröning era già finito sotto accusa nel 1978 ma, il procedimento alla luce della giurisprudenza coeva, era stato accantonato nel 1985.

A guardare il modo di giudicare i crimini nazisti da parte dei tribunali tedeschi nel dopoguerra si è registrata per lungo tempo una tendenza altalenante. Il 30 marzo 1963 il tribunale regionale di Bonn condannò diversi componenti del Sonderkommando Chelmo per concorso in omicidio, non per singoli delitti ma per l’azione complessiva, tutti avevano contribuito ad uno svolgimento efficace delle uccisioni. Il 25 novembre 1964 il Bundesgerichtshof confermò le condanne specificando che l’aver fatto parte del commando era sufficiente senza dover valutare l’apporto specifico dei singoli, ha ricordato Wolfgang Janisch sulla Süddeutsche Zeitung.

Questo indirizzo già nel dicembre 1963 non veniva però più seguito dal tribunale di Francoforte nonostante l’impegno del Procuratore dell’Assia Fritz Bauer, egli stesso ebreo, nel perorare una visione d’insieme delle responsabilità. Il giudice Hofmeyer il 20 agosto 1965 pronunciò la sentenza scendendo nei dettagli del funzionamento del lager ed in una parcellizzazione dei reati individualmente commessi. Un’atomizzazione dell’orrore, cita sempre Janisch.

Questa è stata sostanzialmente la strada a lungo seguita dalla giurisprudenza tedesca, col risultato che su 14.693 imputati dal 1945 al 2005 solo 6.656 sono stati condannati ed oltre il 60% al massimo ad un anno. Solo in 68 casi c’è stata una sentenza per delitti contro l’umanità, in 204 per omicidio ed in 458 per concorso in omicidio, elenca Robert Probst sullo stesso quotidiano. Su 6.500 collaboratori ad Auschwitz ne sono stati condannati sì e no 49 riporta Sarah Tacke per la ZdF.

La svolta si è registrata solo appena 4 anni fa appunto col caso Demjankuk, condannato a Monaco di Baviera in primo grado a 5 anni per concorso in 28.060 casi di omicidio nel lager di Sobibor. Alla base della condanna passò il concetto che il campo di annientamento nazista fosse una fabbrica per realizzare il prodotto finale ceneri umane e che chiunque vi avesse prestato a qualsiasi titolo servizio ne era cosciente e dunque correo. Demjanjuk decedette in ospizio in attesa di appello e perciò formalmente legalmente innocente. Il suo legale ha peraltro cercato ugualmente di riversare in qualche modo il verdetto: denunciò un medico accusandolo di cure inadeguate ma l’ipotesi fu rigettata dai magistrati; ha agito ancora quest’anno di fronte alla corte europea di giustizia per i diritti dell’uomo contro il Ministero di Giustizia tedesco, ma anche in questo caso non è stato riaperto un contenzioso.

All’indomani del verdetto Demjanjuk quasi tutti sostennero che sarebbe stato l’ultimo giudizio sui crimini nazisti. La tenacia dell’ex giudice Thomas Walther, che nel caso Gröning ha patrocinato oltre 50 parti civili, stava invece già per portare l’anno scorso all’apertura di un processo a Johann Breyer, un altro ex guardiano di Auschwitz. Questi però morì poco prima della decisione del giudice statunitense sulla sua estradizione in Germania. Adesso sono noti due altri procedimenti ancora aperti nei confronti di ex guardiani di Auschwitz-Birkenau. Uno ad Hanau nei confronti di un 92enne, imputato tra il novembre 1942 ed il giugno ’43 per concorso in 1.075 casi di omicidio di deportati da Berlino, Drancy e Westerbork. Siccome all’epoca era 19enne competente è il tribunale minorile. Nel secondo caso si tratta di un 93 enne pensionato di Lippe, indagato dalla procura di Detmold per 170.000 casi di concorso in omicidio tra il gennaio 1943 ed il giugno 1944; ma dal 1° giugno è in corso una perizia medico legale sulla sua capacità. Un terzo giudizio promosso dalla procura di Neubrandenburg nei confronti un ex sanitario delle SS in forza nel lager si è già arenato dopo che ne è stata accertata la sopraggiunta demenza.

Diverse altre indagini sono peraltro state avviate dalle Procure di Stoccarda, Francoforte, Amburgo, Norimberga-Fürth, Lipsia e Dortmund avverso ex sorveglianti del lager di Majdanek (Lublino). D’altronde anche in questo caso un procedimento iniziato innanzi alla Procura di Magonza si è già estinto a sei mesi dall’apertura del fascicolo per il decesso dell’indagato; ed un altro avanti alla Procura di Goerlitz per la acclarata sopraggiunta incapacità del sospetto.

Nel 1969 un’indagine demoscopica – cita sempre Probst- rivelava che il 70% dei tedeschi voleva fosse posta fine alle indagini sulle responsabilità naziste. La nuova generazione di procuratori sembra essersi chiaramente distaccata da quest’ottica. In effetti la tendenza si era già palesata nella condanna all’ergastolo inflitta l’11 agosto 2009 a Josef Scheungraber dal Tribunale di Monaco per il massacro di Falzano di Cortona del 26 giugno 1944.

È sempre meglio tardi che mai. Una testimonianza come quella di Gröning, cui gli stessi giudici hanno dato atto di non essersi nascosto dietro un dito, vale a smentire i negazionisti sempre pronti ad imbastire discorsi pseudo scientifici per negare la realtà storica (ancora il 24 febbraio di quest’anno a Monaco è stata condannata ad 1 anno ed 8 mesi senza condizionale e 1.200 euro per abuso di titolo l’ex avvocatessa Sylvia Carolina Stolz). Inoltre ha consentito ai sopravvissuti una catartica inumazione virtuale dei propri morti.

Tre parti civili statunitensi ed una israeliana tuttavia non sono soddisfatte col verdetto ed attraverso il legale berlinese Andreas Schulz, col collega Khubaib-Ali Mohammed, hanno promosso appello: non volevano raggiungere solo una condanna per concorso bensì per assassinio, che comporterebbe l’ergastolo. All’età di 94 anni anche solo una pena a 4 anni equivarrebbe ad un ergastolo, ed il reato di omicidio non è neppure legalmente individuabile. In questa mossa si deve piuttosto leggere il tentativo di giungere ad un precedente vincolante dal BGH. E forse anche paradossalmente un atto di clemenza: in pendenza di appello Gröning è libero. D’altronde anche la difesa si è appellata per la mancata considerazione come attenuante che Gröning testimoniò contro altre ex SS e perché non è stata concessa una riduzione di pena, pur richiesta dalla stessa Procura, a fronte del fatto che il caso era noto da decenni.

Il BGH dovrà decidere se ammettere le istanze dopo il deposito della sentenza di Lüneburg atteso il 16 settembre. Se Gröning morrà prima, o durante l’eventuale appello, il procedimento però si estinguerà, come nel caso Demjanjuk, senza giungere allo stato di cosa giudicata.

Una sopravvissuta italiana, contattata per sapere se avrebbe potuto pensare di costituirsi parte civile nell’allora istruendo caso Breyer, rispose con una frase lapidaria: «No, ormai è troppo tardi, per tutto». In aula ad assistere alla pronuncia della condanna contro Gröning – lo hanno riportato diversi media – c’era un suo coetaneo scampato al lager, Leo Schwarzbaum, che ha invece commentato: «Può essere che abbia preso l’anello dal dito di mia madre quando è stata fatta scendere dal treno». Ma nessun nuovo processo potrà fare altro che una pallida giustizia morale dopo 70 anni, i rei ormai hanno avuto una vita piena e serena godendosi i nipoti. Purtroppo non è un vero monito per altri aguzzini.

TAG: nazismo, Oskar Gröning, schelmno
CAT: Storia

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