Una eredità senza testamento: le due Laure sulla scena

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5 Maggio 2018

C’è chi dice che il teatro non si possa raccontare: troppi dettagli sfuggirebbero all’osservatore, troppi elementi faticherebbero ad essere riportati, non tanto fedelmente, quanto nella loro presenza tangibile. Lo spettacolo Una eredità senza testamento di Laura Cleri ne è, in questo senso, un perfetto esempio. Lo spettatore entra in sala e in scena: le sedie, posizionate fra i banchi di scuola, in una classe con le cartine geografiche alle pareti e la cattedra della maestra in fondo, a fianco della lavagna. Si sceglie il compagno di banco, ci si siede, la maestra Laura entra dando a tutti il buongiorno e comincia la lezione. Sembra quasi di sentire nell’aria l’odore della carta di sussidiario, di poter far scorrere sotto le dita la superficie liscia della formica verde del banco, ma – a differenza di un tempo – tutto questo non ci distrae. Laura – attrice – presenta Laura Seghettini – partigiana, autrice di Al vento del Nord. Una donna nella lotta di liberazione, da cui lo spettacolo è liberamente tratto.

Laura ha vent’anni quando entra nella Resistenza e lo fa per una scelta consapevole, per una storia – la sua storia – che viene raccontata fin dalle prime battute attraverso parole, fotografie e musiche. Laura attrice si muove in scena come una maestra, proprio come Laura partigiana, terminata la lotta per la Liberazione. Indica sulle carte geografiche luoghi che rimandano a date, date che rimandano ad eventi privati e pubblici della nostra storia recente. Mentre si muove racconta e interroga gli alunni, sistema le fotografie in bianco e nero nei “luoghi” a cui appartengono, proprio sulle carte geografiche. Pian piano fra gli oggetti di scena si tende una linea immaginaria che delinea il profilo di Laura Seghettini, combattente nella dodicesima Brigata Garibaldi, di stanza sull’Appenino Tosco-Emiliano, spirito ribelle alle imposizioni quasi per costituzione, ancor prima che per formazione. Laura maestra, partigiana, compagna di Facio, comandante di Brigata che, al loro primo incontro, si era mostrato scettico sulla sua presenza lì, fra le fila della Resistenza. Alla loro relazione e alla tragica fine, avvenuta in circostanze mai del tutto chiarite, del comandate, è stata da sempre legata la storia di Laura, quella ufficiale almeno, perché quella raccontata dalla Cleri, attraverso gli occhi della stessa protagonista, è qualcosa di differente.

Si tratta della storia di una donna capace di scegliere per sé stessa una strada, la parte giusta, la causa per cui combattere.

Una storia che indulge poco all’amore, anche se di amore, dagli sguardi mossi dal ricordo, ne emerge molto: per Facio, per la famiglia, per i compagni, per la sua scuola. Laura ripercorre a fianco di Laura, in un continuo gioco di rispecchiamenti, una vita intera, che sembra ruotare tutta intorno ai quasi due anni trascorsi fra le montagne. Si dice che ogni esistenza abbia un suo momento chiave, uno spazio di tempo attorno al quale, lunga o breve che sia poi la vita, si definisce la sua identità profonda e lo spettatore, nello spazio dello spettacolo, ha la sensazione di averla potuta osservare da vicino, quasi toccare. Nella vita della Seghettini c’è stato un “prima”, uno spazio di formazione emotiva, valoriale, semplicemente umana che l’ha portata a scegliere la via dei monti, e un “dopo”, quando il rumore delle granate e degli spari è cessato, quando si è tornati a ballare, a non aver paura dei passi nel silenzio di un bosco, a non dover nascondere la propria identità sotto abiti prestati da altri, quando la lotta è diventata testimonianza viva nell’insegnamento, fra quei banchi di scuola dai quali gli spettatori ora la osservano. Fino a poco tempo fa (Laura Seghettini è morta nel luglio del 2017), anche la protagonista assisteva alla rappresentazione, seduta nella penombra, attenta a non “disturbarsi” mentre si raccontava in scena.

Vita e racconto si fondono in questo spettacolo in maniera così simbiotica da rendere le due Laure specchio l’una dell’altra e, entrambe, specchio di una condizione, splendidamente espressa nel finale da una Cleri sempre attenta al presente: quella della donna e del suo ruolo sociale e civile che, ora come allora, è troppo spesso legato ad un’immagine maschile dalla quale dipendere. Almeno nell’immaginario collettivo o nella “vulgata” storica. Laura, ribelle e indipendente, Laura che ha difeso, di fronte al partito e alla Storia con la s maiuscola, la memoria di Facio, rivendica la sua autonomia di percorso, il suo spazio. Laura, vivificatrice di storie, le ha dato lo spazio di un’aula, il tempo di uno spettacolo, il corpo per un’azione. Di quelle che restano impresse, per valori e messaggio, nello spettatore che si alza stupito di non aver sentito il suono della campanella.

 

Una eredità senza testamento, liberamente tratto da Al vento del Nord. Una donna nella lotta di Liberazione, di Laura Seghettini.

Di e con Laura Cleri, musiche di Fabio Biondi, luci Luca Bronzo, consulenza storica Brunella Manotti.

Produzione Fondazione Teatro Due di Parma

TAG: 25 aprile, Brunella Manotti, Fabio Biondi, Laura Cleri, Laura Seghettini, Luca Bronzo, memoria, Parma, partigiani, Resistenza, Storia italiana, teatro, Teatro due, Una eredità senza testamento
CAT: Storia, Teatro

Un commento

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  1. vincesko 6 anni fa

    Bello, come al solito. PS: Segnalo un refuso: “fra le fila della Resistenza”. Il plurale di “fila” è regolarmente “file”, non “fila”, che è (anche) plurale di “filo”, in senso figurato http://www.accademiadellacrusca.it/en/italian-language/language-consulting/questions-answers/plurali-doppi.

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