Dollinger, l’eretico
Nel 1869, nel pieno del Concilio Vaticano I, fu dato alla stampa un dotto pamphlet che avrebbe suscitato molto clamore, non solo negli ambienti ecclesiastici, dal titolo significativo “Il Papa e il Concilio”.
Autori erano due autorevoli membri del clero bavarese, Johan Ignaz von Dollinger, professore di teologia all’università di Monaco e Johannes Nepomuk Huber, professore di filosofia nella medesima università.
Era quel testo la risposta alla volontà di papa Pio IX, e della parte più tradizionalista della curia Vaticana, di proclamare la dottrina del Syllabus e della infallibilità dommatica del Sovrano pontefice.
Nel pamphlet, che racchiudeva un gruppo di articoli scritti dai due intellettuali, si contestava questa posizione dommatica e si denunciava come l’accrescersi del potere del papato era dovuto a tutta una serie di prevaricazioni che risalivano al Medioevo.
Era chiaro che la denuncia, che coglieva peraltro i malumori della Chiesa cattolica tedesca, e non solo, nei confronti del Papa e che avevano trovato come esponente di spicco il sovrano della cattolicissima Baviera, non poteva essere accolto in altro modo se non quello della massima indignazione.
Si dice che papa Pio IX, leggendo le prime pagine del volume, avesse avuto persino un mancamento. Le tesi di Johan von Dollinger e di Johannes Huber mettevano infatti in crisi la costruzione che il Papa e gran parte dei cardinali avevano messo in piedi come reazione o difesa rispetto al nuovo che irresistibilmente avanzava.
La risposta che le autorità ecclesiastiche approntarono fu quella tradizionale della riduzione allo stato laicale del prof. von Dollinger, provvedimento a cui immediatamente dopo seguì la scomunica.
Sul tema dell’infallibilità il Papa non era disponibile a fare il benché minimo passo indietro come non era disponibile a modificare il Sillabo, testo col quale si condannavano le dottrine moderne – liberalismo, socialismo e comunismo – che venivano considerate incompatibili con la dottrina cristiana.
I padri conciliari, riuniti nel transetto destro della Basilica di San Pietro, di cui la stragrande maggioranza erano tradizionalisti e perfino reazionari, non vollero ascoltare le ragioni di quei pochi prelati e teologi che in sede di discussione avevano cercato, in assenza della possibilità di bloccare quelle proposte, quantomeno di moderarne le asperità.
Tuttavia, il 13 luglio del 1870, si consumò con un voto quasi unanime un vero e proprio delitto visto che collocava la Chiesa ufficiale sulla barricata del più bieco tradizionalismo oscurantista.
Dollinger e quanti condividevano le sue tesi, dopo l’approvazione del domma dell’infallibilità e del Sillabo, assunsero la sofferta decisione di separarsi dalla Chiesa ufficiale e di dare vita alla piccola comunità dei Vecchi Cattolici.
La nuova setta – che predicava il ritorno della Chiesa alle origini e che, fra l’altro, rifiutava il domma dell’Immacolata Concezione – si diffuse soprattutto nell’area degli imperi centrali ma le sue propaggini arrivarono anche in Italia dove, ancor oggi, in Emilia e in Puglia continuano ad esistere delle comunità.
In Sicilia, in particolare – dove si erano registrate delle vivaci prese di posizioni contro le conclusioni del Vaticano I, la congregazione dei Vecchi cattolici ebbe una breve ma vivace esperienza nelle comunità di Grotte e di Alcamo.
Un commento
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Il problema principale era e resta la immeritata credibilità concessa alla superstizione cattolica, a causa della quale si spende troppo tempo a confutare sciocchezze inventate dai sdicenti rappresentanti divini.
La teologia era e resta lo studio del nulla, ed è assurdo che tali corsi di studi siano accettati dallo stato italiano al pari di TUTTI gli altri