Il sequestro Saronio e il suo tragico epilogo

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14 Aprile 2020

Gli studiosi di storia contemporanea quando parlano di terrorismo rosso spesso suddividono il periodo che va dal post ’68 ai primi anni Ottanta in due fasi. Se il punto di partenza è abbastanza condiviso, coincidente con il cosiddetto autunno caldo del 1969, ciò su cui si osservano differenti posizioni è sullo snodo centrale. Ermanno Taviani, ad esempio, pone il primo limite a cavallo tra il 1973 ed il 1974, mentre Marc Lazar descrive il 1975 come l’inizio della seconda stagione del terrorismo, quella più sanguinaria e più narrata. Nessuna finezza da accademici bensì un considerevole punto di svolta all’interno dei gruppi della sinistra eversiva. Se la prima fase si caratterizza per le teorizzazioni derivanti dall’eredità del ’68 e dalle lotte operaie, la seconda rappresenta il punto di non ritorno per gli attori in gioco. In questa occasione verrà utilizzata la periodizzazione di Lazar.

Era il 14 aprile 1975, esattamente quarantacinque anni fa, quando una cellula autonoma guidata da Carlo Casirati rapì Carlo Saronio, ricco milanese molto vicino agli ambienti di Potere Operaio, prima, e dell’Autonomia, poi. I dissensi all’interno della sinistra extraparlamentare non erano di certo rari durante tutti gli anni Settanta, ma per arrivare al sequestro di un compagno qualcosa sotto doveva pur esserci. E così infatti fu. Dopo la IV Conferenza di Potere Operaio a Rosolina, nel giugno ’73, il professor Toni Negri lasciò l’organizzazione per i numerosi contrasti con l’ala di Oreste Scalzone e Franco Piperno, e diede vita all’Autonomia operaia organizzata. Per il gruppo patavino, dotato di un forte impianto “teorico”, il lato più “pratico” non era di certo il cavallo di battaglia e proprio per questo entrarono in Aut.Op alcuni uomini in grado di tenere in mano un’arma e di non farsi troppi problemi ad utilizzarla. Carlo Casirati era uno di questi.

Il primo obiettivo della neonata organizzazione era quello di finanziarsi. I modi leciti erano pochi o scarsamente remunerativi, quelli illeciti invece potevano dare più fiato alle casse. Questa almeno era l’idea iniziale che, tuttavia, si dimostrò più complessa del previsto nonostante la collaborazione con altri gruppi e con alcuni membri più operativi della rivista Rosso. Dopo i molteplici insuccessi, Casirati si rese conto che l’unico vero compito assegnatogli stava pian piano sfumando, fino a quando arrivò alla conclusione di guardare in casa propria per trovare la soluzione. Così, assieme ad altri autonomi decise di sequestrare Carlo Saronio con il fine chiedere un riscatto miliardario alla famiglia. Michele Sartori in Terrore rosso definì la strategia «una scelta dettata dall’esasperazione» (Calogero, Fumian, Sartori/2010), infatti inizialmente l’operazione era nata come una messinscena per ottenere fondi.

Un commando di finti carabinieri rapì dunque l’ingegnere milanese, ignaro del piano degli autonomi, ma poche ore dopo Casirati, Fioroni e soci dimostrarono la loro totale inettitudine: per stordire il sequestrato gli somministrarono una dose troppo elevata di toluolo fino a farlo decedere nel giro di poche ore. Nonostante la morte di Saronio, i sequestratori continuarono a chiedere il riscatto alla famiglia e riuscirono a trovare un accordo in 470 milioni di lire, a fronte dei cinque miliardi iniziali. Un caso analogo si verificò due anni dopo con il sequestro del duca Grazioli da parte della malavita romana.

Il corpo di Carlo Saronio venne ritrovato solo nel 1979 quando Casirati, arrestato, confessò il luogo dove fu sepolto. L’altro artefice dell’operazione, Carlo Fioroni, detto “il professorino”, fu fermato dalla gendarmeria svizzera poche settimane dopo la morte dell’ingegnere mentre stava cercando di riciclare i soldi del riscatto, rintracciabili grazie ai numeri di serie. Dopo l’arresto, Fioroni accusò il SID di essere il mandante dell’operazione, rendendo ancora più cupo l’immaginario comune attorno ai Servizi.

Il sequestro di Saronio ad oggi è uno dei casi meno raccontati e spesso sottovalutati del terrorismo rosso italiano. Non ha segnato di certo uno snodo chiave nella storia del nostro Paese, ma di sicuro è stato un momento cruciale per l’Autonomia operaia organizzata, nonché un simbolo dell’inizio della seconda fase terroristica. Esattamente 45 anni fa.

TAG: anni di piombo, terrorismo
CAT: Storia, Terrorismo

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