Il bisogno di incontrarsi e il teatro

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4 Aprile 2020

Marco Oliva, regista della compagnia Oltreunpo’ Teatro ha allestito interessanti spettacoli che abbiamo provato a recensire, ricordiamo ad esempio Resistenze o La condizione umana. Ma Oltreunpo’ è anche una scuola di teatro, che in questo momento ovviamente si trova di fronte ad ulteriori difficoltà, in aggiunta a quelle che la cittadinanza deve affrontare.

“C’è sempre una soluzione. La scuola è innanzitutto una comunità. E questa comunità di 250 persone, questo scambio come si può tenere vivo? Si può dire che la necessità è venuta prima della forma della soluzione. La video chat, lo strumento tecnologico, nonostante sia impersonale, permette attività quotidiane per mantenere il contatto; facciamo gruppi in rete che promuovono condivisione di tematiche personali, scambi di opinioni, pensieri, letture. Oppure, viste le esigenze, proponiamo anche dell’educazione tecnico posturale, per chi sta a casa seduto, sdraiato.”

Il teatro è la forma d’arte che, per eccellenza, ha la necessità dell’unione dei corpi, dell’assembramento oggi vietato. Anche un solo attore senza il suo pubblico non si può dire sia teatro. Come si può ripensare l’insegnamento teatrale?

Quello che sta accadendo è una condizione in cui vanno a cessare tutte le regole di fare arte teatrale. Ci sono fasi creative anche solitarie, come per il poeta. Però anche a livello creativo si fatica a stare all’interno soltanto di questa bolla con l’informazione che arriva, l’angoscia sui dati, una visione non chiara, le prospettive future bloccate. Ma se una persona si dà un minimo di disciplina la prospettiva cambia. Avere l’attenzione sul proprio corpo e sui propri pensieri, educarli fa parte del lavoro attoriale. È naturale manca il luogo teatrale. Ma è possibile riadattarsi: da luogo di passaggio la casa è diventata luogo di vita. Così nelle lezioni attuiamo delle piccole trasformazioni; chiediamo quando inizia la lezione di trasformare la stanza. Semplici regole, eliminiamo i segni del quotidiano, si sposta la sedia, si toglie il computer, si cambia aria, si modifica la luce con le tapparelle o con una lampada. Bisogna cambiare il piano sensoriale, anche con una profumazione. L’ambiente si trasforma e così dopo si può iniziare a fare un riscaldamento. Questo induce ad un ascolto diverso di sé e degli altri, anche le paure e le angosce vengono portate fuori. Una persona diventa più reattiva, si mette in collegamento con la creatività dell’attore e questo forma poi la disciplina che permette di aiutarsi anche in questo periodo. Si crea un nuovo spazio e un nuovo tempo e questo stimola poi il processo attoriale.

A tuo parere quale potrebbe essere il lascito o l’influenza di questo periodo sul lavoro creativo?

L’arte in tutte le fasi critiche del mondo ha dato il meglio di sé. L’arte produce tantissimo, e anzi spesso ha intravisto anche un cosa sarà, i cambiamenti. Quando poi si riflette molto tempo con sé stessi, si accendono processi di cambiamento più forti. Questa cosa si sente nel rapporto con le persone, con gli allievi. Negli incontri di lettura scenica, al di là del supporti tecnologici, si vive di più il rapporto con l’altro, e c’è così anche più attenzione verso se stessi. Ci si stanca meno della comunicazione perché è indispensabile per uscire dalla propria condizione, singolarmente ci sentiamo finiti. La propria condizione di reclusione è innaturale e una persona sente la necessità degli altri anche per esprimere i propri stati emotivi.

Si riscopre quasi l’utilità di non perdere di vista l’incontro tra le persone, il contatto umano dato per scontato.

Ogni persona poi ha una diversa condizione. C’è chi sta in casa, c’è chi invece continua a lavorare. Questi è ancora più angosciato, vive giornate immerse nella paura. C’è poca umanità negli incontri perché c’è il timore dell’altro per la propria condizione di salute. Chi sta a casa è in una condizione di sedentarietà. Ma chi ha un contatto con l’umano è un contatto con la paura. Perché circolano assieme il virus e la paura. E la morte, anche, è arrivata. La senti concretamente anche se un po’ si cerca di non affrontarla. Però andrà affrontata e colpisce che manchi il rito del saluto, anche il lutto è trasformato. Non si può toccare il corpo della persona cara, la persona è morta ma il virus è ancora presente.

La sensibilità creativa come dicevamo, forse nel tremendo, nell’impotenza dell’uomo, nel sublime anche orrifico trova la sua dimensione più vicina alla verità comunicata dall’arte.

C’è una comunicazione sia interna, nel linguaggio artistico, ma poi anche esterna; noi prediligiamo il comunicare all’interno che all’esterno. Ma bisogna banalmente trovare anche un modo per comunicare che la scuola è in piena attività, però la comunicazione esterna è una necessità terribile. Bisogna adattarsi al linguaggio pubblicitario che diventa falso. Ora invece diventa più attinente alla verità, bisogna comunicare la propria esperienza non edulcorata ed è un momento importante per dire la verità. Ora c’è necessità di verità proprio perché la sensibilità è cambiata.

Come si può stimolare questa sensibilità quindi?

Leggere testi assieme, scegliere determinati autori che magari ci aiutino a comprendere la trasformazione sociale. Inoltre con le esperienze di natura sensoriale che anche nel piccolo della propria camera, modificata a dovere possono riuscire. Assieme ai miei allievi, in collegamento video, ho camminato in un piccolo ruscello che fluisce vicino a casa. Ho letto loro dei testi poetici, abbiamo creato un rito sensoriale e così abbiamo provato a ricreare quel fiume nella stanza di ciascuno.

Immagino che i compromessi nell’esercizio attoriale non manchino. Scherzosamente si potrebbe dire che è un teatro scomposto, in cui ogni ingrediente è separato dall’altro come in certi piatti reinterpretati che ora vanno di moda?

La scuola ha diverse esigenze. Bisogna aiutare i bambini e i ragazzi ad esempio. C’è per loro il momento di attività di creare i propri costumi e le scene. Poi lavorano su dei monologhi, sulle musiche per formare uno spettacolo proprio, personale. I saggi dei corsi avanzati, invece, si rimandano più avanti e si sono cambiati i testi anche qua con dei monologhi. Provare assieme è impossibile, ma tutti hanno capito che il lavoro non è sospeso e continua. Anche se non c’è più la condivisione tra palcoscenico e spettatore rimane la condivisione tra le persone, c’è comunque nel trovarsi una sorta di ritualità laica, una sorta di meditazione che è già parte del lavoro dell’attore. Gli stimoli esterni vengono reinterpretati dall’attore che dal luogo della scena teatrale ora si sposta. Certo gli stimoli sono mediati dal monitor però si avverte l’espressività pura, la condivisione vera. Questa arriva anche con una diretta video, perché questa espressione è la verità artistica e, anche nella difficoltà, emerge.

TAG: Marco Oliva, Oltreunpo' Teatro, Quarantena, teatro
CAT: Teatro

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