Il Mulino di Amleto in scena: intervista al regista Marco Lorenzi

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24 Ottobre 2018

Affrontare i classici come fossero testi contemporanei e i testi contemporanei come fossero testi classici”: ecco il principio base del lavoro di studio ed elaborazione scenica di una delle più importanti compagnie teatrali under 35 italiane, Il Mulino di Amleto. Abbiamo intervistato Marco Lorenzi, regista e anima di questo progetto, in occasione dei due spettacoli – Ruy Blas (adattamento da Victor Hugo) e Platonov (adattamento da Cechov) – che andranno in scena, rispettivamente dal 25 al 28 ottobre e dal 6 al 18 novembre al Teatro Fontana di Milano.

Partiamo dall’inizio: la vostra compagnia è nata nel 2009 da un gruppo di giovani attori diplomati alla scuola del Teatro Stabile di Torino. In questi anni siete andati via via affermandovi sulle scene nazionali e internazionali attraverso un lavoro di commistione fra classico e contemporaneo, fra generi e autori diversi, definendo un profilo poliedrico del vostro fare teatrale. Un percorso complesso, che richiede sicuramente versatilità e costante aggiornamento. Come mai avete scelto una linea non “tradizionale”, come quella delle compagnie che sposano un percorso più di carattere filologico oppure più di sperimentazione?

Parto da un presupposto personale e semplice: la volontà di non annoiarsi, che poi diventa volontà di non annoiare il pubblico. Il teatro è qualcosa di vivo, che si misura nella dimensione di scena e, nel rispetto del testo, deve “arrivare” allo spettatore. Spesso ad esempio i classici vengono percepiti come qualcosa di lontano dall’esperienza oggi, di distante dal nostro quotidiano. Molto dipende dal tipo di rappresentazione che viene data: le ambientazioni possono essere “antiche”, spazi, costumi, espressioni, ma l’individuo rappresentato, l’essere umano dietro il personaggio, i suoi sentimenti, la sua vita, è qualcosa di universale. Non ha un’epoca di riferimento, può essere dunque estremamente contemporaneo anche se proviene da un panorama letterario distante centinaia di anni.

Avete in mente un pubblico di riferimento quando vi accingete a lavorare ad una nuova rappresentazione?

Abbiamo in mente il teatro. Non un teatro per colti o per amatori, ma il teatro di chi cerca, sulla scena, un senso, una chiave di lettura per l’oggi, la società, il mondo in cui vive e per la sua esistenza. Siamo trentenni, è chiaro, dunque in modo naturale ragioniamo secondo modalità forse più vicine alla nostra generazione, ma il nostro non è un approccio generazionale. Anche nel rapporto con i testi cerchiamo sempre di uscire dallo schematismo della polarizzazione “classico contro sperimentale”. Una terza via, ammetto poco italiana, su cui si è sempre basato il nostro lavoro e che ci ha guidato anche nell’allestmento delle due opere che, a brevissimo, andranno in scena al Teatro Fontana.

In che modo lavorate per rendere quella che hai definito come “la terza via”?

Con coraggio e presa in carico del rischio, che è sempre dell’intera compagnia, degli attori che si spendono per innovare. Occorre uno studio accurato, in nessun modo inferiore – in termini d’impegno – a quello di chi si accinge in una ricostruzione filologicamente corretta di un’opera. Poi serve un passo in più, quello della rivisitazione contemporanea, rispettosa dell’anima del testo, ma capace di adeguare i linguaggi – verbali, visivi, corporei – all’oggi. Poi il coraggio appunto, quello che occorre per fare qualcosa d’innovativo che non s’inserisca in un quadro predeterminato, in uno spazio, direi sicuro, entro il quale però poco di veramente nuovo può essere espresso. Questo penso possa essere lo scopo del fare teatro oggi: dare un senso alla rappresentazione, quello della conoscenza dell’essere umano attraverso il rapporto con lo spettatore in un incontro delicato, diretto, profondo. In questo, s’intuisce, il discorso storico o generazionale perde di rilevanza rispetto all’universalità dell’essere, in ogni tempo, uomini.

Dal 25 al 28 ottobre – Teatro Fontana di Milano 

RUY BLAS

QUATTRO QUADRI SULL’IDENTITÀ E SUL CORAGGIO

adattamento dell’opera Ruy Blas di Victor Hugo

regia Marco Lorenzi

con Yuri D’Agostino, Francesco Gargiulo, Barbara Mazzi, Anna Montalenti, Alba Maria Porto, Angelo Maria Tronca

uno spettacolo di Il Mulino Di Amleto in collaborazione con Kataplixi Teatro in coproduzione con TPE – Teatro Piemonte Europa e Tedacà con il contributo di SIAE Sillumina – Copia privata per i giovani, per la cultura

Dal 6 al 18 novembre -Teatro Fontana di Milano

PLATONOV

Un modo come un altro per dire che la felicità è altrove

da Anton Cechov

riscrittura Marco Lorenzi e Lorenzo De Iacovo

regia Marco Lorenzi

con Michele Sinisi e con Stefano Braschi, Roberta Calia, Yuri D’Agostino, Barbara Mazzi, Raffaele Musella, Rebecca Rossetti, Angelo Maria Tronca

una produzione Elsinor Centro di Produzione Teatrale, TPE – Teatro Piemonte Europa, Festival delle Colline Torinesi – Torino Creazione Contemporanea

Ph. Alessandro Salvatore, Manuela Giusto

TAG: Marco Lorenzi, Mulino di Amleto, Platonov, Ruy Blas, Teatro Fontana
CAT: Teatro

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