Rigoletto in drag, Rigoletto anyways

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16 Marzo 2019

“Verdi come il padre”, scriveva Massimo Mila con tutta la sua autorevolezza, ma anche come la madre, aggiunge oggi Gianmaria Aliverta con un po’ di sana irriverenza, dopo aver messo in scena un “Rigoletto” molto queer allo Spazio Teatro 89 di Milano (in via Fratelli Zoia, ancora domani alle 15), ultima produzione di VoceAllOpera con protagonista in tacchi, gonna e gli stessi ben noti istinti paterni, riletti in chiave “transverdiana” – battutaccia –, tra Almodóvar e Dolan. Insomma Rigoletto anyways, qui baritono-maîtresse con l’incarico di procurare droga, olgettine e altri prevedibili giochi dei potenti al Duca di Mantova, che resta il dissoluto impunito di sempre. Quanto a Gilda, rinchiusa in una casa di bambola tutta orsetti e fiocchetti, guardata a vista da un’allegra governante non tanto affidabile, è ignara della vita segreta dell’amato genitore fino a che rapimenti, delusioni e promesse di vendetta non la catapultano in una realtà senza più speranze né palloncini rosa da video teen pop.

Aliverta sfida il pubblico benpensante con l’idea di un Rigoletto in drag e riesce a ritradurre per il presente la diversità del personaggio, il suo isolamento da una società che non lo accetta e lo esclude. Non si tratta di trasgressione gratuita, ma di una sensata lettura drammaturgica, che per di più resta coerente con lo sviluppo dell’opera: Gilda non sa niente del lavoro del padre perché non deve sorprenderlo in abito color prugna e caschetto Anna Wintour mentre passa cocaina al Duca, che la snifferà dall’ombelico di una squillo. Ecco un modo per ritornare, in senso teatrale, alle intenzioni dell’autore, allo scandalo che Verdi cercava mettendo in scena nella Venezia ottocentesca un buffone di corte gobbo e meschino ma di buoni sentimenti. Peccato solo che si perda il momento clou del rapporto Rigoletto-Gilda, quando i due si incontrano a Palazzo Ducale e la figlia scopre tutto su suo padre (va bene anche madre), e non sembra nemmeno notarne il look. Allora meglio la cruda verità di un terzo atto molto curato, che si direbbe più “tradizionale” se questa parola avesse senso, con Rigoletto in abiti maschili, e poi lo squallore della scena, i soldi, il sacco, le luci del temporale, “la donna è mobile” eccetera eccetera.

Molto buono il livello di un cast di debuttanti, che funzionano in periferia ma funzionerebbero anche in centro storico. Rigoletto è Alessio Verna, interprete sicuro e intenso, con movimenti un po’ rigidi; Sabrina Sanza fa una Gilda bambina molto graziosa, ottimo il Duca di Davide Tuscano, come lo Sparafucile di Carlo Andrea MasciadriCamilla Antonini interpreta Maddalena e Giovanna con la stessa spiritosa impertinenza. Il giovane Nicolò Jacopo Suppa dirige diligentemente i quarantuno elementi degli archi dell’Ensemble Testori uniti alla Civica Orchestra di Fiati di Milano. In sostanza operazione da premiare e associazione da seguire, soprattutto per l’energia che riesce a sprigionare su questo piccolo palco suburbano in cui le roi s’amuse, la reine s’amuse, e anche il pubblico non è da meno.

Foto di Gianpaolo Parodi.

Video di Ludovica Lopetti.

TAG: Gianmaria Aliverta, Rigoletto, Verdi, VoceAllOpera
CAT: Teatro

Un commento

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  1. massimo-crispi 5 anni fa

    Allora:
    1) Se Rigoletto lo si vuol fare diventare una drag queen, sarebbe consigliabile farlo cantare in falsetto o in playback, visto che le drag queen così fanno.
    2) Perché?
    3) Se Gilda vive come una suora e recita il rosario ogni sera, e non ha altro oggetto d’amore se non l’orsacchiotto, ma poi ha un approccio e pure abbastanza spinto col duca di Mantova sotto mentite spoglie, apprende di colpo la femminilità tramite lo stupro ducale, come si spiega il duetto successivo col padre? Cioè io sono stata appena stuprata, riesco a fuggire, incontro mio padre vestito da donna e mi solo a descrivere tutta la storia dal tempio in poi, senza manco stupirmi neanche un po’ di cosa ci faccia lì e così mio padre? Ed esisterebbero ancora delle giovani così, oggi, quando le ragazzine si scambiano informazioni e amanti col cellulare già a dieci anni? Figurarsi a diciassette o diciotto, che sarebbe la presunta età di Gilda…
    4) Perché mai Giovanna e Maddalena dovrebbero essere un unico personaggio?
    5) Perché mai tutti quanti dovrebbero parlare un linguaggio così arcaico e desueto, come: di quella giovin che vedete al tempio / Da tre lune ogni festa? Chi mai parlerebbe così in una festa di olgettine con le varie Minetti e Rubacuori? Sarebbero davvero tutti laureati in lingua italiana, e pure forbita. Di cortigiani così colti, oggi, proprio non riesco a distinguerne manco uno.
    6) Cosa aggiunge?
    7) Qual è l’urgenza di un’operazione così, cosa spinge chi ha l’idea a volerla realizzare con tale convinzione?
    8) Perché non scriversi un’opera nuova, ispirata a Rigoletto, se piace così tanto l’argomento e lo si trova così attuale, con un proprio libretto, delle proprie e moderne musiche, adeguate ai tempi e ai luoghi anziché rendere tutto trashemente ridicolo?
    9) Io continuo a non comprendere questo tipo di operazioni che non sono coerenti col testo (parole e musica). Mi sembrano schizofrenia pura.
    10) Perché si pensa che possa piacere?
    11) Perché incoraggiare queste operazioni?
    12) Che valore si crede possa avere un’operazione come questa?
    13) Si crede che il pubblico si scandalizzi, oggi, per la trasposizione in moderno di Rigoletto?
    14) Non si pensa che il pubblico, oggi, è abituato alle intercettazioni esilaranti di Berlusconi e della Minetti, alle veline, alle Noemi Letizia e tutto quel demi-monde che un Rigoletto drag queen più che scioccare annoia perché non ha alcun riscontro nella realtà, visto che le Platinette e le Luxuria sono dive televisive?
    Ci sarebbero altre decine e decine di interrogativi, ma la pianto qui perché poi divento noioso. A parte la buona volontà degli esecutori, che almeno mantengono in vita un repertorio, e magari lo fanno anche dignitosamente dal punto di vista musicale, l’opera in scena è fatta, ahimè, anche di un aspetto visivo. Meglio farla in forma di concerto per far risaltare il valore musicale, se si vuol fare quello. Associando gli interpreti a un’operazione spettacolare così dubbia si dirà sempre: ah, ma tu sei quello che ha fatto il rigoletto drag… e così via. Non è una gran cosa, non per la drag in sé, ma per la mediocrità dell’operazione. Cioè, ci vuole un’idea forte che segua e assecondi tutto il testo, dal primo verso all’ultimo, non collage e decalcomanie sparpagliate qua e là senza un filo conduttore perennemente presente e vivo, lo spettacolo è fatto da più elementi che dovrebbero essere connessi coerentemente. Se il filo si interrompe e si continua c’è il labirinto senza uscita. Si può solamente tornare indietro, ripercorrere i propri passi e, alla fine, ripensarci.

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