Il mondo nei libri e nel teatro: Fahrenheit de Il mulino di Amleto

:
8 Dicembre 2020

Un progetto per indagare e riscoprire il ruolo dell’arte, della cultura e del teatro in un momento di profonda crisi come quello che attualmente stiamo vivendo, attraverso la “lettura” di libri scelti rispondendo alla domanda: “Perché questo libro non deve essere dimenticato?“.

Da qui nasce Fahrenheit, percorso performativo a metà strada fra pubblico e scena ideato e realizzato da Il Mulino di Amleto con il sostegno del Bando TAP – Torino Arti Performative 2020 della Città di Torino, in collaborazione con Fertili Terreni Teatro, seconda fase del percorso iniziato con Cantiere Ibsen #ArtNeedsTime, che la compagnia torinese ha realizzato da ottobre 2019 a febbraio 2020, un format innovativo e multidisciplinare, tra esperienza teatrale dal vivo, attivo coinvolgimento del pubblico e audience engagement. Un progetto che era iniziato in presenza, con un rapporto diretto e generativo con il pubblico, e che si è dovuto adattare alla rete a causa del nuovo aggravarsi della pandemia da Covid-19, senza mai abbandonare il suo intento iniziale: creare una collaborazione fra scena e quotidiano, non finalizzata alla creazione di uno spettacolo, ma ad azioni concrete che possano riavvicinare lo spettatore allo spazio/luogo teatro, cercando di lavorare su un vuoto culturale sempre più dannoso che si sta espandendo nel nostro paese. Attori e spettatori hanno dunque risposto insieme all’appello per la salvezza di quel libro che, per loro, non deve andare perso, quella testimonianza necessaria di una comunità pensante che non dimentica le sue radici e che attraverso la cultura mantiene vivi i rapporti essenziali al vivere civile. Ne abbiamo parlato con il regista Marco Lorenzi e una delle protagoniste Barbara Mazzi, per capire meglio la genesi di questo percorso e le ragioni profonde del suo “impegno civile”.

Lo spettacolo nasce da una domanda: “Perché questo libro non deve essere dimenticato?” e parto anch’io quindi da una domanda: perché interrogarsi, in scena, sulla lettura, sui libri? Perché ripartire, in un momento di crisi come questo, proprio dalla letteratura?

BARBARA – Non parliamo di vero e proprio spettacolo, ma di progetto, di percorso che sia gli “artisti” dell’ensemble che gli spettatori partecipanti fanno. È un progetto/percorso nato durante il primo lockdown e che si concluderà (ma sono certa faremo una seconda edizione) il 12 e 13 dicembre all’interno della programmazione di Fertili Terreni Teatro che ha accolto e sostenuto il progetto. Durante il primo lockdown sentivamo la necessità di “non perderci”, come compagnia, come gruppo, e di non perdere il contatto con il “pubblico”. È stato naturale incontrarsi con appuntamenti cadenzati in remoto e, ovviamente, ci siamo chiesti, a cosa serve l’arte? Gli artisti? E lo spettacolo dal vivo? È ovviamente una domanda che ci poniamo costantemente per i nostri lavori, ma è chiaro che nel momento in cui vengono chiusi i luoghi di cultura e di spettacolo dal vivo a livello nazionale con tanta semplicità, senza una prospettiva o una visione o una reale organizzazione, ma solo per rispondere all’emergenza, il collasso è emerso più forte e la nostra funzione sociale di “artisti” ci è stata usurpata, e dobbiamo quindi in questo tempo lavorare per riprendercela più fortemente. La frase tratta dal romanzo Fahrenheit 451 ci è arrivata in soccorso: “Se ti chiederanno cosa facciamo, tu risponderai noi ricordiamo.” Ecco, quindi, il romanzo ci ha salvato.

La ricostruzione può avvenire, per me, se c’è una visione di futuro, se c’è una prospettiva, un’idea un progetto e questo si può fare solo con la cultura, con l’arte e con lo spettacolo dal vivo. Ecco che quindi i libri, la lettura, i romanzi sono pietre fondanti. Inoltre, in questo tempo, forse, dedicarsi alla lettura anziché agli schermi luminosi è un invito, un richiamo che ripeto costantemente anche  a me stessa.

In un contesto in cui il digitale è diventato medium imprescindibile non solo della cultura, ma della socialità, delle relazioni, mi verrebbe quasi da dire della vita emotiva, il libro, inteso come racconto mediato dalla sola parola, cosa può offrire di più a chi lo legge?

BARBARA – Immaginazione e fantasia.

MARCO – È difficile rispondere alla tua domanda senza cadere nel pericolo di essere “ideologici” o riduttivi, però diciamo che accettiamo la sfida che lanci e proviamo ad approssimare una risposta… Mi sento di poterti dire che la differenza fondamentale tra il digitale e il libro, il racconto mediato dalla sola parola, sta nel concetto di fragilità. Mi spiego meglio: il digitale è compatto, è levigato, è specchiante, è veloce; invece il libro ha spazi vuoti infiniti, è materico, è incompleto, è lento. Il digitale fornisce informazioni e il libro invece regala sapere. Le informazioni sono prive di quella interiorità che contraddistingue il sapere. Le informazioni sono levigate, invece il sapere è frutto di attrito, di lavoro, di sforzo. Il digitale è specchiante perché attraverso la superficie del digitale posso vedere solo me stesso, mentre invece attraverso le fenditure, le ferite del libro posso vedere l’Altro, il diverso a me. Infine, il libro dona energia e il digitale ne risucchia. Può bastare? Questo non vuol dire che il digitale debba essere demonizzato o escluso, ma dobbiamo essere consapevoli di quale possa essere la sua funzione, ovvero quella di un supporto, di una integrazione, non di una sostituzione. Il ruolo infinitamente prezioso del libro, dell’esperienza viva del teatro, della musica, del cinema, non potrà mai venire meno. Perché hanno a che vedere con il grande enigma dell’immaginazione (come diceva Barbara) e della libertà.

Domanda quasi “esistenziale” la letteratura può salvare?

BARBARA – Oh, sì. La cultura può salvare. La musica può salvare “dall’orlo del precipizio” direbbe Max Gazzé, l’arte può salvare. Nello specifico la lettura sì, a me sta salvando, Dostoevskij con il suo Fratelli Karamazov che sto rileggendo, mi sta salvando, sto lavorando a  Il Grande Inquisitore per il mio atto creativo, la mia performance…(ormai in generale non so più che termine usare, sembra sempre che qualsiasi parola si usi, sia presuntuosa o arrogante o retrò, ma vorrei avere il coraggio di riprendermi certe parole, quindi dico “atto creativo”) mi sta salvando, nel senso che non nascondo la difficoltà, la tristezza del momento, lo smarrimento, la rabbia, l’incazzatura, ma rileggendo quel capitolo, sto lavorando per sublimare tutto ciò.  Per questo mi ha ridato grande forza, energia, coraggio e sono felice. Non vedo l’ora di avere pubblico con cui condividere questo lavoro, le domande, i dubbi che cerco di sollevare.

MARCO – Sicuramente la cultura, l’arte, possono salvare. Ma tu ti immagini un mondo senza Chopin? Senza Shakespeare? Senza la Cappella Sistina? Cosa saremmo? Cosa sarebbe possibile? Cosa impossibile? E non parlo di una concezione nozionistica o decorativa di tutta questa eredità, ma proprio del fatto che l’arte e la cultura comportano uno sforzo rivoluzionario nel generarla e una fenomenale risorsa di immaginazione del futuro quando ne possiamo godere o usufruire. Il privilegio di continuare a condividere la sala prove con gli altri artisti del Mulino di Amleto grazie al progetto Fahrenheit non fa che ricordarmi periodicamente quanto sia fondamentale e “salvifico” il ruolo che arte, cultura e letteratura, hanno per noi come esseri umani. Regalano energia e speranza.

Il format di questo progetto, iniziato ricordiamo in presenza, è sempre stato di relazionarsi con gli spettatori. Come si è giocata questa compresenza, questa collaborazione creativa on line?

BARBARA – Sì, fino a che abbiamo potuto (con tutte le accortezze necessarie e la cura dovuta) abbiamo continuato con il pubblico in presenza. Adesso come Compagnia, proseguiamo il lavoro in presenza in sala prove e ad un certo punto della giornata apriamo il collegamento agli spettatori che si sono iscritti all’evento, i quali portano i loro libri da salvare, ce li descrivono, raccontano le loro forti motivazioni che spingono a salvare quel libro e ci leggono un estratto a voce alta. Dopodiché un componente dell’ensemble presenta a sua volta agli spettatori (e agli altri artisti del Mulino) un estratto della performance su cui sta lavorando come azione con cui salverà a sua volta dal rogo di Fahrenheit il romanzo da lui scelto e strenuamente difeso.  Ma ciò che ha preparato non è un surrogato, anzi, deve tenere presente che grazie al digitale potrà esplorare degli aspetti della sua creazione che potranno arricchire e approfondire quello che poi sarà la sua performance “in presenza”. Per questo non parliamo assolutamente di sostituto. Ad esempio per il mio G.I. (Il Grande Inquisitore) ho una versione live, che spero di poter realizzare prima o poi, e una versione digitale che ho presentato, ancora in fase non definitiva, venerdì scorso al pubblico partecipante e sto raccogliendo feedback. Un mio collega, partendo da Delitto e Castigo, ha preparato un gioco virtuale al quale i partecipanti online giocano veramente, ma poco per volta si ritrovano dentro il romanzo senza accorgersene. Bisognerebbe partecipare, ecco.

Il progetto prevede anche un’interazione a mezzo social: che funzione può avere oggi questo mezzo rispetto alla creazione di relazioni dentro e fuori la scena in ambito teatrale?

MARCO – A costo di ripetermi, sono convinto che l’interazione via social sia una risorsa interessante che può andare a “integrare” la nostra creazione e il concetto di relazione di cui si fa portatore il teatro. Pensare di fare il lavoro che facciamo, oggi, in questo mondo, escludendo l’interazione a mezzo social, è paragonabile a pensare di poter vincere la maratona di New York senza allenarsi. Diciamo che sarebbe bello! Sappiamo che non è così, che attraverso i social veicoliamo quel mondo di informazioni – appunto – che sono preziose per tenere viva quella forma di nostalgia per l’incontro vivo e vero del rito del teatro in presenza. Che prima o poi tornerà e ci riabbraccerà nuovamente.

Non solo però scena virtuale: il progetto ha previsto anche azioni urbane di diffusione della lettura, con libri disseminati per la città. Come sta andando questa parte di performance? Interagisce con la parte on line?

BARBARA – Un nostro collega del gruppo, Yuri D’Agostino, ha avuto l’idea e si sta occupando di tutto. Anche questa è stata un’azione che si è rimodulata ogni volta con l’uscita dei DPCM. Inizialmente dovevano essere libri diffusi e lasciati gratuitamente in punti strategici della città, con sopra un logo QRcode, che se visionato aveva tutte le informazioni, un po’ segreto e un po’ corsaro, proprio come in Fahrenheit 451 la resistenza che salva i libri. Con la chiusura, Yuri ha pensato di rimodulare l’idea e di chiedere ai partecipanti di ospitare libri nei loro condomini. È così è successo. Noi doniamo libri, che abbiamo comprato, le persone ci contattano e lasciamo i libri nei condomini ad uso e consumo degli inquilini. C’è di tutto da Sandro Marai a Shakespeare al libro di ricette di cucina. Ci siamo messi in contatto anche con il Polo del ‘900 di Torino, che ha accolto l’iniziativa con entusiasmo.

Chiudo con una domanda leggera: avete chiesto anche al pubblico di stilare delle liste, creando delle librerie condivise di libri da salvare. Quali sono state le scelte più frequenti? E quali le più “curiose”?

BARBARA. – Ah certo, abbiamo una lavagna/bacheca a teatro, a San Pietro in Vincoli da ACTI Teatri Indipendenti per la programmazione di Fertili Terreni Teatri, che ci ha ospitato e ci ospiterà per il 12 e 13 dicembre, sulla quale sono segnati tutti i libri salvati dai partecipanti e quando riapriremo il teatro ce ne saranno a disposizione. Ad ora siamo circa a 50 titoli. Herman Hesse è stato scelto più volte. Per il momento, abbiamo una raccolta di poesie di Rimbaud; abbiamo Apologia di Socrate salvato da un ragazzo appena maggiorenne; abbiamo IT di Stephen King; qualcuno ha portato il fumetto dal quale Miyazaki ha tratto uno dei suoi film d’animazione; sono stata molto felice di Banana Yoshimoto, più che altro perché è un’autrice che conosco poco (purtroppo) e perché la presentazione della “booklover” che lo ha portato è stata commovente;  abbiamo svariati libri che troppo facilmente releghiamo alla “letteratura per l’infanzia” e che invece sono sbalorditivi e fondamentali (ultimo in ordine di salvataggio è, per esempio, Pinocchio); abbiamo un ragazzo che ci ha portato un libro di racconti dicendo che lo hanno letteralmente salvato; poi Primo Levi, Carlo Levi… Ma la cosa fondamentale è che dietro ogni libro c’è una persona, insomma c’è umanità dietro questo “pretesto” del libro, c’è una comunità che in cerchio torna a leggere insieme, ed è quello che dobbiamo ricostruire.

Le attrici e attori della compagnia stanno lavorando su Orlando Furioso di L. Ariosto, Saltatempo di S. Benni, L’altro mondo di C. De Bergerac, Delitto e Castigo di F. Dostoevskji, Il Grande Inquisitore tratto dai Fratelli Karamazov di F. Dostoevskji, Moby Dick di H. Melville.

 

FAHRENHEIT #ArtNeedsTime
un percorso artistico aperto agli spettatori tra letteratura e teatro

Ottobre – Dicembre 2020

a cura de Il Mulino di Amleto con il sostegno del Bando TAP – Torino Arti Performative 2020 della Città di Torino in collaborazione con Fertili Terreni Teatro

→Proseguono su Google Meet gli incontri aperti al pubblico:  10 dicembre

→Evento conclusivo sul canale FB del Mulino di Amleto sabato 12 e domenica 13 dicembre 2020 ore 19

 

Ph. A. Salvatore

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

TAG: Art needs Time, Barbara Mazzi, Fahrenheit, Fertili Terreni Teatro, Il Mulino di Amleto, Marco Lorenzi
CAT: Teatro, Torino

Nessun commento

Devi fare per commentare, è semplice e veloce.

CARICAMENTO...