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Le sanzioni logorano chi non le applica: i media russi continuano a monetizzare su Meta
Mentre l’UE sanziona i media russi come RT e Sputnik, Meta continua a remunerarli attraverso i suoi programmi pubblicitari su Facebook, aggirando le sanzioni, alimentando la disinformazione e traendo profitto da un sistema che premia la propaganda anziché contrastarla.
Negli ultimi anni, Meta ha trasformato Facebook in una vera e propria macchina per la monetizzazione. Grazie a strumenti come le “inserzioni in-stream”, “inserzioni su Reels” e “Bonus per le prestazioni”, i creatori di contenuti possono guadagnare una quota dei proventi pubblicitari in base all’engagement generato. Ma un’indagine recentissima condotta da What to Fix svela come questi strumenti di guadagno possono diventare un canale di finanziamento per attori discutibili – e in certi casi, per entità formalmente sanzionate dall’Unione Europea.
Fuorilegge in Europa, ma retribuiti su Meta
Per partecipare ai programmi di monetizzazione, l’amministratore di una pagina deve inviare una candidatura, accettare i termini e superare un controllo di idoneità. Fin qui, tutto regolare.
Eppure, un’analisi approfondita di oltre cinque anni di dati – raccolti a partire dalle liste pubblicate periodicamente da Meta stessa – ha portato alla luce un fatto sorprendente: numerose pagine affiliate a media russi come RT e Sputnik risultano tra i beneficiari dei ricavi di Facebook anche dopo l’entrata in vigore delle sanzioni europee.
RT e Sputnik non sono media qualsiasi: sono megafoni del Cremlino, strategicamente impiegati per propagare narrazioni filorusse all’estero. Tanto che, dal primo marzo 2022, in risposta all’invasione dell’Ucraina, l’UE ne ha vietato la diffusione in tutta l’area comunitaria. Anche ANO TV-Novosti e Rossiya Segodnya (a capo di RT e Sputnik) sono state incluse nella lista delle sanzioni finanziarie, il che implica il congelamento dei beni e il divieto assoluto di erogazione di fondi o risorse economiche – almeno in teoria.
A volte ritornano (7 mesi dopo, riecco Sputnik)
Subito dopo l’attacco all’Ucraina, Meta ha effettivamente escluso tutte le pagine ai media russi dai suoi piani di remunerazione. Però già da ottobre 2022, alcune di queste pagine sono ricomparse, Sputnik Italia compresa. A luglio 2023 è apparsa persino una nuova pagina di RT in arabo, anche questa riconosciuta come media di stato russo e tuttora attiva nel programma di retribuzione.
La ricomparsa graduale di ciascuna pagina fa escludere l’ipotesi di una svista dovuta all’automatizzazione dei processi. Inoltre, poiché ogni nuova adesione richiede controlli attivi, decisioni e verifiche, è difficile credere si tratti di un errore.
Quante cose che non sai
Nonostante i dati preoccupanti, c’è ancora molto che non sappiamo. Meta non rende pubblici i dettagli legali dei contraenti: le liste riportano solo il nome dell’account, lasciando ignoti i reali beneficiari finanziari dei pagamenti.
In più, Meta non specifica se si tratta di Meta Inc. o Meta Platforms Ireland Ltd. (responsabile dei servizi Facebook nell’UE) a firmare i contratti. In certi casi, gli admin delle pagine risultano localizzati all’interno dei confini comunitari, il che potrebbe aver permesso di aggirare i limiti territoriali delle sanzioni. In altri casi, invece, si tratta di pagine che imitano i marchi russi ufficiali, come “Russian Today”, e redistribuendone i contenuti violando sia le normative UE che le regole interne di Meta su impersonificazione e proprietà intellettuale.
L’algoritmo non dorme mai
In questo quadro, vale la pena ricordare che l’algoritmo non è neutrale: non si limita ad ospitare i contenuti, ma agisce come acceleratore che promuove attivamente quelli sponsorizzati inserendoli nei sistemi di raccomandazione che definiscono cosa gli utenti vedono.
Le piattaforme non sono semplici spettatori, ma partecipanti attivi all’ecosistema informativo che contribuiscono a plasmare. E lo fanno traendone profitto, mentre il dibattito pubblico viene inquinato da propaganda, narrazioni polarizzanti e informazioni false.
L’UE vieta, ma Meta guadagna
Dal report emerge il fallimento dell’attuale sistema sanzionatorio come deterrente per le interferenze informative. Non solo le sanzioni non hanno fermato la monetizzazione da parte delle entità a cui si rivolgono, ma Meta ha continuato ad incassare, senza avere alcun reale incentivo a far rispettare le regole.
A tutto ciò si aggiunge una cronica mancanza di trasparenza: non si sa se i fondi siano effettivamente stati trasferiti, né se esistano altri programmi paralleli (anche su altre piattaforme) a cui queste pagine abbiano avuto accesso.
Complici per scelta e non per caso
Nel silenzio delle autorità e con regole facili da aggirare, piattaforme come Meta non possono più essere considerate semplici intermediari. Le loro decisioni – chi guadagna, quali contenuti amplificare – hanno effetti diretti sull’accesso all’informazione e sulla qualità del dibattito pubblico.
Mentre l’Europa cerca di difendersi da minacce ibride e disinformazione organizzata, rischia di farlo con un nemico dichiarato alle porte e un altro, più subdolo, già intento a sabotare le difese dall’interno per il proprio tornaconto.
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