Wimbledon e le intemperie del tempo che non intaccano il fascino dell’erba
Wimbledon ha sempre significato una cosa, oltre a essere l’essenza della storia del tennis: l’imprevedibilità. Perché il serve&volley non era solo la strategia per le mani di un jazzista prestate alla racchetta, capace di alternare giocate da fondo a discese a rete. Un tennista poco aduso alla tecnica del diritto e del rovescio nello scambio da fondo ha sempre potuto rifugiarsi nel servizio e annessa corsa a rete per scampare alla tortura di un palleggio prolungato. La volée come una forma di difesa in attacco. E questo è quanto.
Così era formata la genìa degli erbivori: quegli atleti che vivevano la prima parte della stagione come un antipasto di Wimbledon, e la seconda parte come una propaggine da archiviare prima possibile nell’attesa di ricominciare il conto alla rovescia per giocare sull’erba. (Giusto per rendere l’idea del gioco di un tempo, ecco qualche spezzone della supersfida Borg-McEnroe, datata 1980).
Ma, piaccia o meno, i bei tempi andati del serve&volley a ogni costo sono terminati. Quindi a chi non aggrada l’attuale tennis burocratico di muscoli, corsa e badilate da fondo campo, consiglio di spegnere la tv e sintonizzarsi – senza biasimo – sul passato. Ammetto che vedere uno scambio con oltre 20 colpi sull’erba di Wimbledon metterebbe a dura prova le coronarie dell’appassionato più navigato, legato alla tradizione. Ma le intemperie del tempo hanno prodotto cambiamenti epocali. Tant’è: ormai non è nemmeno più una questione originale su cui dibattere.
Come consolazione c’è sempre un Sampras-Federer d’annata (video qui sotto), per il match che ha rappresentato un ipotetico passaggio del testimone tra due campioni, anche se in quel 2001 non vinse lo svizzero, ancora zazzeruto e troppo incostante come lo è stato nella prima gioventù. Per la cronaca vinse Goran Ivanisevic, il croato “matto” capace di tutto e del contrario di tutto. Tipo vincere il torneo di Wimbledon nella fase calante della sua carriera. Perché Wimbledon sa sempre essere imprevedibile.
In ogni caso il tramonto di “Pistol Pete” Sampras ha chiuso per sempre l’era di un tennis che permetteva a un atleta gracile, con l’espressione da poeta sofferente, di allietare il pubblico con versi sussurrati a colpi di racchetta. Con Federer siamo entrati in un’epoca di perfezione, laddove lui stesso, il Re di Basilea, ha dimostrato che si poteva diventare giocatori da fondo, pur avendo tutta la dote di giocatore da rete. Un modo per scolpire nella pietra il talento impeccabile, che quasi sembra(va) rasentare la freddezza negli anni di regno ininterrotto. Poi il tempo ha dimostrato il lato umano, specie quando di fronte ha incrociato il diritto dell’eterno rivale Rafael Nadal.
Ma Wimbledon non è solo amarcord, è un torneo in corso tuttora: si assegna il titolo del 2015. E dopo i primi giorni di incontri è possibile farsi un’idea: Novak Djokovic, il numero uno e vincitore del 2014, vuole vincere per la terza volta, ma da parte su Federer vuole il record assoluto di 8 vittorie a Londra, mettendo alle spalle proprio Pete Sampras e William Renshaw (che lo ha vinto nel 1800, esattamente tra il 1880 e il 1890), appaiati a 7 trionfi in carriera. Nel pronostico non può mancare Andy Murray, con quell’espressione un po’ così di chi vuole portare gli ‘odiati’ inglesi a osannare (e loro lo osannano) uno scozzese. Per quanto riguarda Rafa Nadal chissà: i muscoli d’acciaio stanno cedendo anche loro alle intemperie del tempo. Poi c’ qualche onesto piazzato, come Tomas Berdych, e aspiranti rivelazioni come l’imprevedibile Stanislas Wawrinka.
Ma soprattutto ci sono Nick Kyrgios e Grigor Dimitrov. Due nomi che potremmo ritrovare in finale. Molto probabilmente non nel 2015, ma nei prossimi anni.
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