La società della monnezza che ha paura della fame (degli altri)

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25 Luglio 2015

Vangelo di Giovanni, 6, 1-15

Tutti gli uomini, per natura, desiderano conoscere.

Aristotele

Non c’è più né uomo né donna,

né schiavo né libero,

né Greco né Barbaro.

San Paolo

Avere fame vuol dire sperimentare ogni volta la possibilità di morire. La fame è il segno che il mio corpo sta cercando di lottare contro la morte e sta affermando la propria voglia di continuare a vivere. La società degli ingordi e degli obesi ha completamente oscurato questo significato della fame fino al punto da credere di essere padroni della vita. Non abbiamo più fame, e non abbiamo più il senso della vita, il gusto di vivere. È come se la nostra vita avesse messo il pilota automatico.

Forse per questo la fame degli altri, la fame di quelli che sbarcano sulle nostre coste (prima ancora di giudicarne i motivi o le soluzioni politiche), la fame di chi resta per giorni sugli scogli di Ventimiglia (prima ancora di essere solidali o meno con loro) ci spaventa, perché ci ricorda che in fondo anche a noi potrebbe capitare di lottare con la morte, anche a noi potrebbe capitare di avere fame, anche noi un giorno potremmo trovare la dispensa vuota. In fondo il volto dei migranti ci inquieta perché ci ricorda che anche noi abbiamo bisogno di mangiare, ci ricorda che noi stiamo semplicemente presidiando un cibo che non ci appartiene e che potrebbe esserci tolto. Abbiamo paura perché sappiamo che abbiamo fondato la nostra ricchezza sull’ingiustizia. Il volto dei migranti interrompe il nostro delirio di onnipotenza: guardandoli, scopriamo di essere come loro, fondamentalmente fragili come loro, ed è esattamente quello che vogliamo negare.

 Se fossimo onesti, riconosceremmo che anche noi abbiamo fame come loro. Semplicemente come loro. Non importa di cosa ci nutriamo quotidianamente, se di manioca o dei biscotti del Mulino Bianco, di fatto abbiamo fame come loro. Per questo ho citato Aristotele: “tutti gli uomini desiderano conoscere”, per dire uomini, Aristotele usa un termine che vuol dire semplicemente essere umano, senza distinzione, proprio come dirà san Paolo, “né uomo né donna, né schiavo né libero, né Greco né Barbaro”. Quando si tratta di fame, siamo tutti uguali, tanto nella fame di conoscenza, quanto nella fame di cibo.

 Avere fame vuol dire avere bisogno del mondo, la fame ci ricorda che non siamo autosufficienti. La fame ci costringe a mangiare, cioè a introdurre il mondo dentro di noi, ci costringe a metterci in relazione con il mondo, ci costringe ad avere bisogno di qualcosa che è diverso da me. Mangiare mi ricorda che io non sono tutto.

È la relazione con il mondo, con la realtà, con gli altri, che mi permette di vivere. Ogni volta la fame crea un in me uno spazio in cui il mondo ha la possibilità di entrare. Siamo malati quando arriviamo a pensare che in noi non c’è spazio per il mondo. Filippo e Andrea hanno paura della fame degli altri, si appellano al calcolo: i soldi non bastano, le risorse non sono sufficienti. E i loro argomenti appaiono ragionevoli e persuasivi. La tentazione dell’autosalvezza è una delle tentazioni preferite dal Maligno anche nell’epoca del post-moderno: pensa prima a te!

È la tentazione con cui lo stesso Gesù si è confrontato: “salva te stesso”, così gli dice la Tentazione nel momento della debolezza, nella passione dell’orto degli Ulivi e poi ancora mentre è inchiodato sulla croce. Quando siamo deboli, siamo tentati di pensare prima di tutto a noi stessi. E allora non solo cediamo al Maligno, ma smettiamo di essere uomini, perché non ci riconosciamo più nell’umanità di chi ha fame. Gesù è l’uomo che non smette di essere uomo: riconosce se stesso nella fame degli altri uomini. Si vede uomo sul volto affamato degli uomini che hanno fame. Quell’uomo affamato sono io! Io sono uomo. Uomo che lotta continuamente contro la possibilità di morire. Gesù non giudica la gente che ha davanti, si preoccupa innanzitutto di sfamarla.

 Abbiamo capito che sugli immigrati si sta speculando, abbiamo capito che l’Europa ha abdicato alle sue radici umane prima ancora che cristiane, abbiamo capito che viviamo nell’Europa dei muri dell’Ungheria e dell’umiliazione della Grecia, ma, prima di tutto questo, c’è la fame, prima di tutto questo c’è in gioco la nostra umanità. Prima di cercare, opportunamente, soluzioni più eque ed oneste, fermiamoci davanti alla fame: è una grande opportunità per tornare a riconoscerci umani.

TAG: fame, gaetano piccolo, vangelo
CAT: Teologia

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