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20 Dicembre 2016

È il numero delle udienze svolte finora nel processo con 5 imputati per i crimini del gruppo neonazista Clandestinità nazionalsocialista (Nationalsozialistischer Untergrund – NSU) a Monaco di Baviera. Il Corriere della Sera il 9 dicembre titolava nella sua edizione on line “Monaco, torna in aula Beate Zschäpe. La neonazista accusata di terrorismo”. In realtà la supposta unica sopravvissuta della cellula terroristica appare in aula dal 6 maggio 2013 una media di 3 giorni alla settimana. Con ciò però dopo oltre 3 anni di processo a Beate Zschäpe fino ad una manciata di udienze fa, si poteva imputare con certezza solo l’incendio doloso del covo. Dei capi d’accusa avrebbe trovato parziale conferma anche quello di tentato omicidio di una anziana vicina. Non si era premurata con sufficiente certezza di non metterla a rischio limitandosi -stante a quanto Beate Zschäpe stessa ha affermato- a suonarle al citofono prima di far saltare tutto in aria. E la donna si salvò solo per il tempestivo arrivo di una nipote.

Mancano prove
Ma per i 10 omicidi e 3 attentati nessun testimone ha mai affermato di aver visto Beate Zschäpe. Ci sono diversi indizi, come ad esempio delle sue impronte su dei ritagli di giornali che parlavano degli assassinii, ma nessuna prova assoluta. Tanti i tasselli hanno avvalorato le accuse, ma senza prove certe. Lei ha affermato di aver saputo unicamente in pochi casi degli omicidi e solo dopo che furono commessi. Per un buon difensore -e lei ne ha 5- ciò incardinerebbe al massimo un’accusa per concorso per non averli denunciati, ma non di partecipazione diretta ad un’associazione terroristica. Anche il fatto di aver vissuto scientemente dei proventi di 15 rapine ed in clandestinità non ne farebbero una terrorista, ma solo una ladra fuggiasca.

Il super-teste
Una svolta si è però profilata quando il legale di parte civile che rappresenta la vedova del fabbro di origine greche Theodor Boulgarides, l’avvocato Yavuz Narin, ha chiesto la convocazione come testimone di un poliziotto in pensione che era stato di guardia il 7 maggio 2000 alla Sinagoga di Rykestrasse 53 a Berlino. L’agente Frank G. aveva notato seduti ad un tavolo del locale Wasserturm indaffarati con una mappa un gruppo di 2 donne e 2 uomini con due bambini di pochi anni. Abituato per mestiere ad osservare le persone non gli sfuggì che due di loro erano ancora in zona quando li vide camminare nella direzione della sua autopattuglia un po’ di tempo dopo in Imanuelkirchenstrasse. La sera la televisione pubblica ZdF nell’emissione Kripo Live diffuse le foto segnaletiche di Beate Zschäpe, Uwe Mundlos ed Uwe Böhnhardt. Al poliziotto fu evidente di aver visto proprio due di loro quel giorno ed avvisò i colleghi. L’indomani fu interrogato e rese una testimonianza dettagliata riconoscendo nella scelta di foto segnaletiche che gli furono mostrate Beate Zschäpe ed Uwe Mundlos ma non le altre due persone di cui pure fornì una descrizione.

Interrogata dal Presidente del Senato giudicante Manfred Götzl, Beate Zschäpe ha ammesso di essere stata a Berlino in quei giorni ma ha negato di essere mai stata in prossimità della sinagoga. Oggi il locale dove avrebbe sostato ha cambiato nome, ma esiste ancora e fotografie fatte da legali di parte civile evidenziano che dal punto in cui l’ex poliziotto affermò di averla notata si ha piena visuale dell’ingresso che conduce al tempio ebraico e non può sfuggire l’iscrizione con una stella di Davide.

Il 26 ottobre, alla 317ª udienza, Frank G. non ha saputo riconoscere l’imputata, sono passati 16 anni, ma ha ripetuto più o meno fedelmente di come l’avesse notata e ne avesse riferito non appena saputo che era ricercata. Ha destato qualche irritazione nei giudici che non abbia riconosciuto in modo sicuro i tabulati di foto segnaletiche come quelli che gli furono mostrati all’epoca del suo interrogatorio e che abbia riferito di essere stato ascoltato tempo dopo a quando lo fu effettivamente, ma è perché sono passati troppi anni, non ci sono discrepanze evidenti tra quanto è conservato a verbale e come lui ha ricordato i fatti in aula. Comunque Manfred Götzl lo ha riconvocato 9 udienze più tardi. Il 30 novembre e, cosa mai fatta prima, gli ha riletto quasi integralmente il verbale del suo interrogatorio sperando di rafforzarne i ricordi. Frank G. non ha potuto aggiungere nulla e la difesa di Beate Zschäpe ha tirato il fiato. Ma forse troppo presto. Nonostante che 16 anni fa non fosse stata identificata, il 14 dicembre è stata convocata la probabile seconda donna del quartetto. Una conferma della testimonianza dell’ex agente.

Quasi una svolta
È la 330ª udienza, sono ormai passati oltre 3 anni e mezzo dall’inizio del processo per i crimini dello NSU e forse si può arrivare ad avere la prova concreta che Beate Zschäpe abbia preso parte effettiva ai piani della cellula di estrema destra. Se si pensa che nel suo garage c’era una scatola del gioco Pogromly, realizzato dal trio, un rifacimento in chiave antisemita del Monopoly, sarebbe difficile pensare che fosse stata solo per caso nei pressi della sinagoga di Rykestrasse e sulla via che porta al cimitero ebraico.

La testimone Heike B. entra impacciata, fuseaux scuri le avvolgono le gambe ed una giacca attillata ai fianchi, una chioma bionda fino alla schiena ed occhiali dalla montatura scura. Si siede e guarda verso l’imputata e quest’ultima la osserva con la mano davanti alla bocca. Pare nervosa anche lei. Ma dopo questo primo attimo i loro sguardi non si incontreranno più, la teste anzi si volta sistematicamente verso il lato opposto, verso i banchi della Procura Generale e Beate Zschäpe verso quello dei giudici. Si potrebbe pensare che non vogliano incrociare gli sguardi. Heike B. è sua coetanea ha 41 anni. Adesso vive a Berlino, ma negli anni 2000 ci andava solo un paio di volte al mese per trovare sua sorella gemella. Ha 4 figli tra i 23 ed i 12 anni. Nega di aver mai conosciuto alcuno degli imputati e neanche i due deceduti Mundlos e Böhnhardt. Poi però le fanno vedere delle foto che la ritraggono con la sorella e Jan Werner, ex capo di Blood & Honour in Germania (l’organizzazione neonazista che le parti civili hanno messo in luce ha sostenuto il trio in fuga Zschäpe, Mundlos e Böhnhardt) e due bimbi la cui età corrisponde a quella indicata nella testimonianza dell’agente Frank G.

Allora ammette che la sorella era di estrema destra., Annette W., già pregiudicata per il finanziamento di dischi della band neonazista Landser, nata nel 1992 col nome Endlösung (soluzione finale). Lei però no non lo è mai stata e no, non ha mai conosciuto le amicizie della sorella. Però poi ammette che sì conosce Mirko Hesse capo degli Hammerskin della Sassonia ed anche Mandy F. la fidanzata di Jan Werner e pure Stephan Lange capo di Blood & Honour in Sassonia. Alla fine non si ha certezza assoluta che fosse lei la quarta donna, ma con una certa probabilità si è fatto centro.

Vecchi scheletri nell’armadio
Viene da chiedersi come mai non fu individuata 16 anni fa, tanto più che l’utenza telefonica di Jan Werner era sotto controllo e risulterebbe averle telefonato. È legittimo il sospetto che si volessero coprire le fonti dei servizi. Una tesi che ricondurrebbe anche alla vicenda della produzione (in Inghilterra, USA e Scandinavia) e diffusione in Germania dei cd del gruppo Landser prima rock band neonazista ad essere condannata come associazione criminale dal Bundesgerichtshof tedesco nel 2005 (le stesse accuse erano state elevate prima solo contro 5 membri del gruppo Skinheads Sächsische Schweiz che nel 2003 a Dresda tuttavia furono tutti condannati con la sospensione condizionale). Nella cerchia della band si affastellavano diversi dei nomi emersi anche nel procedimento contro Beate Zschäpe tra cui Jan Werner. Alla fine il procedimento penale contro 2 dei 4 imputati si concluse con pene sospese con la condizionale, il leader rimase a piede libero fino all’ultimo grado di giudizio. Lo Stato d’altronde pagava le informazioni ed ha così co-finanziato la produzione musicale dei Landser, la band infatti nel 2000 usciva col CD Ran an den Feind (Addosso al nemico; inteso questo come polacco, turco, ebreo, di sinistra ecc.) distribuito dalla Movement Records di Jan Wener. Tra gli ausiliari alla produzione peraltro -secondo quanto riportano la Berliner Zeitung ed il sito Netz-Gegen-Nazis.de – spiccavano tra gli altri l’informatori Mirko Hesse, Toni Stadler e Thomas Starke, quest’ultimo che è emerso essere stato una fonte della polizia criminale berlinese avrebbe investito nel progetto 9.000 marchi. Il 9 settembre 2000 si registrò il primo omicidio della serie dello NSU: a Norimberga fu ucciso il grossista di fiori Enver Şimşek.

Forse cambia la prassi …
L’indulgenza a tutela delle fonti dei servizi in effetti si poteva cogliere ancora nel fatto che la Procura di Colonia nel novembre di quest’anno avesse lasciato prescrivere i termini per perseguire Lothar Lingen. Dietro questo nome si cela il funzionario che ha ammesso di avere scientemente disposto la triturazione degli atti di diversi informatori sguinzagliati sulle orme dei fuggiaschi Zschäpe, Mundlos e Böhnhardt, appena pochi giorni dopo che era emersa l’esistenza dello NSU.

Dopo le pressioni dei media -ci sarebbe stata anche un’indicazione diretta da parte di un giornalista ai magistrati- ed una seconda denuncia, la Procura di Colonia ha però avviato le indagini su un episodio successivo: una collaboratrice di Lingen aveva ammesso alla commissione parlamentare di inchiesta che il funzionario le indicò di procedere a distruggere altri fascicoli che ella aveva rinvenuto ancora alcuni giorni dopo. Interrogato in Procura Lingen non avrebbe risposto. L’avvocatessa Antonia von der Behrens, cofirmataria anche della seconda denuncia, indica che lei ed i colleghi ufficialmente non hanno avuto alcuna indicazione dalla Procura dell’avvio delle indagini.

Non si può tuttavia dire se la Procura si è attivata solo per calmare le critiche, ma con l’intenzione di archiviare presto l’inchiesta.

Poca trasparenza
Si resta attoniti a considerare che appena 4 mesi dopo il probabile avvistamento di Beate Zschäpe a Berlino, che avrebbe potuto portare ad una svolta nella caccia ai fuggiaschi, l’NSU commise il primo omicidio.
Il cattivo scambio di informazioni fu il motivo per cui ci furono più volte intoppi nelle indagini. Ad esempio a Chemnitz nel 2000. Come ha ricostruito l’emittente MdR, Uwe Böhnhardt fu fotografato il 6 maggio dagli uomini dei servizi segreti di Sassonia e Turingia in appostamento presso un suo contatto, la foto passò però prima all’ufficio centrale del Verfassungschutz della Turingia, quindi in quelli della polizia criminale del Land e poi nella sede della polizia criminale federale prima che, un mese dopo in giugno, fosse confermato che si trattava effettivamente del fuggiasco.

La sinagoga ebraica di Berlino per le parti civili nel 2000 fu lasciata perdere perché era troppo protetta. Martin Wiese avrebbe voluto provare invece il 9 novembre 2003 a far saltare il cantiere di quella di Monaco alla cerimonia di apertura con il Presidente delle Repubblica tedesco Johannes Rau. Il piano fu sventato. Per i servizi questo successo fu forse la conferma che era valsa la pena alimentare fino ad allora la propria rete di informatori al costo di non scambiarsi pienamente i dati tra un Land e l’altro.

Per diversi anni ancora l’NSU intanto poté seminare morti.

Strane coincidenze
Il capogruppo dei Landser Michael Regener (noto anche come Lunikoff) dopo aver perso l’ultima istanza di revisione l’11 aprile 2005 entrava in carcere a Berlino; poco dopo, il 4 maggio 2005 venne emessa la condanna a 7 anni (di cui però ne scontò solo 5) contro Martin Wiese. Poco dopo, il 15 giugno 2005, veniva ucciso a Monaco Theodoros Boulgarides, era la settima vittima dello NSU. Per il legale della vedova non fu una coincidenza. Da dove viveva Martin Wiese, insieme al suo predecessore alla guida del gruppo neonazista Kameradschaft Süd Norman Bordin (osservato dall’AISI mentre sarebbe stato intento a pianificare attacchi in Italia nel 2008), si vedeva il luogo del delitto. Era un segnale “non ci potete toccare”.

La parola allo psichiatra giudiziario
Nella 331ª udienza, fissata per martedì 20 dicembre, ed in quella successiva è prevista la testimonianza del 72enne psichiatra Henning Saβ. Deve riferire i risultati della sua perizia basata sull’osservazione professionale della condotta dell’accusata Beate Zschäpe in aula. La sua testimonianza si incardinerà in un parere scritto provvisorio di circa 170 pagine, redatto su richiesta dei giudici. Fredda e calcolatrice sarebbe il nucleo principale secondo anticipazioni dei legali di parte civile. Se queste sono le risultanze, saranno certamente contestate dai difensori che probabilmente presenteranno una propria contro-perizia di parte. Normalmente con questo scambio si chiuderebbe la fase dibattimentale del processo penale. In questo caso però è previsto ancora un lasso di tempo, non ancora definitivamente limitato, per la presentazione di altre istanze probatorie.

 

Il perito, se non sarà  ancora formalmente liberato dall’incarico, potrebbe poi essere forse ancora chiamato a presentare eventuali osservazioni integrative.

Domande restano aperte ed ormai si affacciano le elezioni
Comunque vada alla fine del processo resteranno sempre aperte le domande principali: come e perché sono state scelte le vittime; quanto è ampia la rete dello NSU, quanto hanno contribuito i servizi a finanziare indirettamente le attività della cellula terroristica pagando gli informatori e quanto abbia poi lo NSU finanziato con le rapine il circuito di Blood & Honour che lo ha a sua volta sostenuto? Domande tutte però non destinate ad avere risposte in questo processo che verte sulle responsabilità dei soli 5 imputati, bensì nelle sedi delle varie commissioni di inchiesta parlamentari. Ormai almeno dodici tra concluse e pendenti. Quella principale, la seconda a livello federale, finirà però già a marzo e poi si entrerà in campagna elettorale e non ci sarà più tempo per impegnarsi per trovare le risposte. Nella polarizzazione politica intanto l’emissione Frontal 21 della ZdF denuncia come un sito su un server russo (se ne omette qui il nome per non farvi indebita pubblicità) gestito dal simpatizzante della AfD Mario R. di Erfurt venda illegalmente armi letali dell’azienda ungherese Keserü Werke per “fermare gli immigrati”. In questo clima smantellare tutta la rete dello NSU e fare piena pulizia delle pratiche discutibili dei servizi nell’assoldare e finanziare criminali neo-nazisti sarebbe anche interesse dello Stato. Nell’alveo dell’inchiesta sullo NSU ci sono altre 8 persone ufficialmente indagate, ma non si sa effettivamente nulla circa un loro possibile rinvio a giudizio ed intanto informatori come Ralf Marschner che potrebbe aver dato impiego a Uwe Mundlos nella sua impresa edile, o Michael von Dolsperg, l’editore della Fanzine Sonnenbanner autoproclamatasi “foglio per la battaglia del nazionalsocialismo” i cui esemplari erano anche nel garage affittato da Beate Zschäpe la cui perquisizione portò alla discesa in clandestinità del gruppo, sono beatamente stati lasciati emigrare all’estero.

 

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TAG: Germania, NSU
CAT: Terrorismo

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