Europa: più passeggeri, meno compagnie aeree
Il consolidamento dei cieli europei e la chiusura del mercato transatlantico da parte dei tre principali gruppi stanno mettendo a rischio la sopravvivenza di numerose compagnie aeree, anche di medie dimensioni. Negli ultimi diciotto mesi undici vettori hanno chiuso per sempre i portelloni e ce ne sono almeno tre in preda a correnti tanto agitate da poter non sopravvivere al 2019.
L’ultima a gettare la spugna in ordine di tempo è stata Bmi Regional, piccolo vettore britannico che a metà febbraio, non del tutto inaspettatamente a dire il vero, ha messo a terra gli aerei e ha presentato istanza di fallimento. Ne avevamo parlato qui. La chiusura della compagnia inglese prosegue e per certi versi accelera la ristrutturazione di un settore che in Europa è oltremodo affollato.
UN MERCATO FLORIDO
Quello europeo è il secondo mercato al mondo in termini quantitativi, dietro a quello asiatico e prima di quello nordamericano. La quota europea vale il 26,7 per cento del traffico globale di passeggeri, contro il 34,5 di Asia e Pacifico e il 22,4 per cento dell’America del Nord. In valori assoluti stiamo parlando di oltre 1 miliardo e 43 milioni di viaggiatori l’anno (il dato è riferito al 2017 ed è stato registrato da Eurostat), il 36 per cento dei quali vola fuori dai confini continentali, con una crescita costante dal 2009 a oggi e che, secondo le previsioni della IATA, l’associazione che riunisce le compagnie aeree, potrebbe raddoppiare i volumi entro il 2035.
Un mercato florido, dunque, ma conteso da circa sessanta compagnie aeree europee oltre a tutte quelle extra Ue come Icelandair, Norwegian e Air Serbia per intenderci, e quelle che fanno servizio intercontinentale diretto, in primis i vettori del Golfo seguiti a stretto giro di coda da quelli asiatici e del Pacifico e da quelli russi. Discorso a parte vale per le tre major nordamericane, ovvero American Airlines, Delta e United che hanno stretto accordi di partnership e di suddivisione delle quote con i tre principali gruppi europei, ovvero rispettivamente IAG (British, Iberia, Aer Lingus, Vueling), KLM – Air France e il gruppo Lufthansa su cui convergono tra l’altro Swiss, Austrian, Brussels Airlines e l’italiana Air Dolomiti.
Dalla metà del 2017 sono fallite le inglesi Monarch e Bmi Regional, dopo oltre 50 anni di onorato servizio, le tedesche Air Berlin e Germania, le svizzera Skywork e Privat Air, la belga VLM, la lituana Small Planet, la cipriota Cobalt, la danese Primera Air, l’austriaca Niki. A questi vanno aggiunti diversi operatori di minore importanza, che contavano flotte inferiori ai 5 aerei, in leasing e il cui progetto non è mai realmente decollato. Potrebbe allungare la lista la britannica Flybe, acquisita a febbraio dal gruppo Connect che fa capo a Virgin Atlantic ma che deve ristrutturare profondamente il proprio modello di business. Le fette di mercato liberate dai fallimenti citati non sono state occupate da nuove compagnie, ma hanno contribuito all’espansione e al consolidamento dei player esistenti. In Europa centrale se ne è avvantaggiata soprattutto Lufthansa che, dopo la chiusura di Air Berlin, ha sviluppato la propria low cost Eurowings. Con sette compagnie, oggi il gruppo domina incontrastato i cieli dalla laguna di Venezia al Baltico.
Gli operatori falliti nell’ultimo anno e mezzo erano attivi nei collegamenti interni europei e tutti con un’offerta a basso costo, quindi con una serie di prodotti ancillari venduti a parte, dai bagagli alla ristorazione a bordo. Un modello che, questo almeno sembra dirci il consolidamento in atto, funziona abbastanza bene su larga scala, cioè potendo contare su volumi di passeggeri molto alti, mentre arranca se gli aerei e i collegamenti a disposizione sono pochi. Inoltre, i viaggiatori sembrano disponibili a sopportare le ristrettezze e i servizi ridotti al semplice sedile, quasi sempre stretto e scomodo, di un volo di una o due ore. Altra faccenda se la durata si allunga a quattro o più ore di viaggio.
E siamo alla questione dei voli low cost transatlantici il cui appeal sembra tramontare dopo una breve ma intensa stagione di apparente fulgore e che ha scatenato delle furibonde guerre commerciali.
SPECIALITÀ ISLANDESE
Se pensate che le uniche specialità islandesi siano lo stoccafisso affumicato e lo Skyr, il famoso yogurt leggermente acido, è tempo di ricredervi. Nel campo dell’aviazione l’Islanda ha coltivato una propria specificità sfruttando la posizione di isola tra due continenti. Fin dagli anni Sessanta le compagnie aeree islandesi si sono proposte come vettore privilegiato per i viaggiatori statunitensi ed Europei che volevano o avevano necessità di attraversare l’Atlantico ma disponibilità economiche limitate. I collegamenti di Icelandic Airlines via Reykjavík sono passati alla storia per aver trasportato generazioni di studenti da una parte all’altra dell’Oceano e la compagnia divenne comunemente nota come “The Hippie Express”. Molto prima di utilizzare l’Air Force One, anche i coniugi Clinton visitarono l’Europa Gli islandesi, che non avevano le possibilità economiche di costruire una compagnia aerea tradizionale sul lungo raggio e disponevano solo di vecchi aerei a elica, si erano inventati il modello low cost per competere con le più moderne compagnie basandosi sul prezzo anziché sul tempo di percorrenza. Il viaggio dall’Europa agli Stati Uniti via Reykjavik durava oltre 23 ore e mezza, ma fu un’alternativa validissima per una generazione di persone a cui importava poco o nulla delle comodità e della puntualità offerta dalle compagnie tradizionali. Tanto che per certi periodi lo slogan della compagnia fu “The slowest but the lowest”.
A metà anni Settanta ci provò un inglese, sir Freddie Laker con la sua Laker Airways a fare concorrenza agli islandesi. Per quanto i voli low cost da Gatwick a New York, Miami e Los Angeles, denominati Skytrain, fossero diventati popolari, specie in estate, la compagnia non resse alla recessione dei primi anni Ottanta e fallì all’inizio del 1982.
Oggi l’erede societaria di Icelandic Airlines è Icelandair, di cui fu fondatrice nel 1979, ma a prendere il testimone dei collegamenti tra America ed Europa a basso costo sono state WOW, azienda islandese fondata nel 2011 e operativa dall’anno successivo e Norwegian Air Shuttle. Quest’ultima, la terza compagnia low cost europea per dimensioni, ha cominciato dal 2013 i voli a lungo raggio a basso costo. Entrambi i vettori sono oggi in grandissima difficoltà.
WOW, secondo alcune indagini tra i consumatori è considerata tra le peggiori compagnie al mondo, nel corso del 2018 ha ridotto all’osso aerei e operazioni, ha restituito i due aerei a fusoliera larga (Airbus A330) all’azienda di leasing che glieli aveva messi a disposizione e ha cancellato gli ordinativi dei quattro A330neo in programma. Ora vola sopra l’atlantico con 11 Airbus A321, servendo la costa est degli Stati Uniti e del Canada con la comodità che vi lascio immaginare. Icelandair a novembre aveva sottoposto l’acquisizione di WOW ai propri investitori che però la rifiutarono. Nel momento in cui scriviamo c’è in piedi un accordo preliminare per l’acquisizione da parte di Indigo Partners, azienda di investimenti specializzata in compagnie aeree – controlla l’americana Frontier e la cilena JetSmart oltre a diverse altre. WOW intanto ha già ridotto la forza lavoro di quasi 400 unità e ha tagliato numerose destinazioni stagionali per l’orario estivo.
Va solo leggermente meglio a Norwegian la cui scommessa sul lungo raggio non ha pagato, anzi. Il 2018 si è chiuso con perdite per 4,85 miliardi di corone norvegesi (circa 500 milioni di euro) e il gruppo ha annunciato l’emissione di obbligazioni per raccogliere i 3 miliardi di corone indispensabili per mantenere in vita la compagnia. Nel frattempo easyJet sta correndo ai ripari. Il sistema worldwide varato dalla compagnia che permette connessioni tra corto e lungo raggio acquistando i biglietti su un’unica piattaforma e consentendo tra l’altro di instradare i bagagli fino alla destinazione finale era fondato sulla collaborazione principale con Norwegian. Con il vettore norvegese in cattive acque, easyJet è alla ricerca di possibili sostituti e, per le rotte asiatiche, ha stretto un accordo con Cathay Pacific grazie al quale può vendere voli su Hong Kong che sostituiscono i collegamenti con Singapore non più serviti da Norwegian.
Secondo gli esperti, Norwegian è cresciuta troppo in fretta senza avere bilanci e asset sufficienti per sostenere la competizione in un mercato in cui non aveva esperienza. Il fattore di riempimento medio sul lungo raggio è fermo al 76 per cento, un dato che è già considerato al limite per un vettore tradizionale, insostenibile per chi vende quote importanti di posti al costo o addirittura sotto costo. Il gruppo IAG nel corso del 2018 (British e Iberia) ha manifestato interesse per un’eventuale acquisizione di Norwegian, ma ha poi lasciato cadere l’iniziativa. Col senno di poi è sembrata più una mossa per far perdere ulteriore tempo e soldi al vettore norvegese.
Il mercato transatlantico è ancora uno dei ‘bocconi buoni’ per le aziende del settore in entrambi i continenti. Le rotte che dall’Europa portano verso l’Asia e l’Oceania sono, infatti, territorio quasi esclusivo delle compagnie del Golfo, Emirates, Qatar e Etihad a cui si aggiunge la turca Turkish, mentre l’Africa è ancora troppo poco rilevante dal punto di vista commerciale. America Latina e soprattutto Nord America costituiscono invece un mercato redditizio per tutto l’anno con un flusso continuo e costante di turisti, studenti e persone che si spostano per lavoro. I tre attori che se lo dividono – British-Iberia con American Airlines, KLM-Air France con Delta e gruppo Lufthansa con United – non hanno alcun interesse ad allargare la platea dei beneficiari. Secondo CAPA, società di consulenza del settore aeronautico, l’ascesa di Norwegian e WOW ha ridotto la quota di posti nell’Atlantico trasportati dalle tre grandi compagnie aeree europee e dai loro partner americani dall’80 per cento nel 2015 al 72 del 2018. Per contrastare Norwegian, il gruppo IAG nel 2017 ha fatto partire LEVEL con cui offre collegamenti in modalità low cost da diversi aeroporti europei tra cui l’Italia verso Nord e Sud America. Sempre lo stesso gruppo ha deciso di convertire Aer Lingus, ex compagnia di bandiera irlandese, in low cost. Anche i tedeschi non sono stati a guardare e stanno affidando rotte di lungo raggio, per il momento solo stagionali, a Eurowings.
Ed è un mercato che genera incidenti diplomatici, come quello tra gli Stati Uniti e il Qatar a causa delle nuove tratte programmate da aprile in partenza da Milano verso gli Stati Uniti da Air Italy. Il 49 per cento della ex Meridiana è infatti proprietà di Qatar Airways, società controllata interamente dall’emirato e gli accordi tra i governi statunitense e qatariota precludono la possibilità di aprire nuove rotte tra l’Europa e il Nord America. Le iniziative di Air Italy sono state percepite da alcuni senatori americani come una violazione di tali accordi.
In conclusione, il mercato interno europeo sembra avviato a proseguire il consolidamento degli attori più forti e a prediligere l’inclusione di vettori minori nei tre grandi gruppi. Sul lungo raggio si è arrestata l’espansione delle low cost e al momento è difficile predire se questo modello riuscirà a essere applicato con successo nel medio e lungo termine.
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