La pazzia del Re
Un gruppo di agguerritissimi cavalieri da oltre mezz’ora si era inoltrato in una foresta nei pressi di Le Mans e procedeva, con grande difficoltà, ostacolato dalla intricata sterpaglia del rigoglioso sottobosco.
All’improvviso, come se fosse stato sputato dall’inferno, un vecchio cencioso si slanciò verso colui che si trovava alla testa del drappello gridando come un ossesso: “ Non cavalcare oltre, nobile re, torna indietro !
Sei stato tradito !”. E quelle frasi sconnesse continuò a ripeterle nonostante i cavalieri del seguito del sovrano, cercassero di scacciarlo. Carlo VI, della dinastia dei Valois, questo era il nome del sovrano che quel 5 agosto del 1392 conduceva la sua truppa per affrontare gli inglesi, rimase particolarmente turbato da quell’apparizione anche perché sapeva che il tradimento aleggiava nell’aria e quel vecchio cencioso aveva rinnovellato i suoi sospetti.
Per questa ragione avrebbe voluto tornare sui suoi passi ma alla fine, dopo aver chiamato attorno a sé i più fidati, e fra essi il fratello Luigi d’Orleans, aveva deciso di proseguire il suo cammino.
Andò così per circa un’ora ancora, mentre il volto del re, che aveva rinunciato al suo elmo, come se la sua mente fosse attraversata di terribili pensieri, diveniva sempre più scuro al punto che nessuno osava più rivolgergli la parola.
Finalmente quella fitta boscaglia cominciò a diradarsi per lasciare intravedere, affogata nella luce di quel caldo mattino, la grande pianura dove re plausibile che i nemici con i loro micidiali arcieri li attendevano per lo scontro. Il fatto avvenne proprio quando la cavalleria francese si lasciò alle spalle la foresta.
D’improvviso, ad un nobile cavaliere del seguito sfuggì di mano una lancia che, chissà come, andò a sbattere su di un elmo che si trovava sul terreno. Quel cozzo spezzò il silenzio di quel momento, un rumore sordo che sorprese tutti ma, il più sorpreso di tutti fu proprio il sovrano che, all’improvviso, sguainò la spada e, gridando come un ossesso iniziò a menare colpi a destra e manca.
In pochi istanti quattro di quei nobili cavalieri rotolarono a terra senza vita mentre altri riuscirono, per miracolo, a schivare i fendenti del furioso sovrano.
Anche il fratello Luigi, a lui molto caro, riportò una larga ferita al braccio.
Alla fine, la furia del re impazzito fu, con estrema difficoltà, frenata dal suo, altrettanto, repentino rinsavimento.
A terra giacevano quei corpi senza vita e lui pianse a diritto.
Il re “beneamato” come l’avevano denominato i suoi sudditi per i meriti che s’era guadagnato, iniziava il suo drammatico percorso di follia.
Nessuno ebbe allora, né il coraggio né la forza di detronizzarlo e per ancora molti anni, cruciali a causa della cosiddetta guerra dei cent’anni, continuò a regnare convinto d’essere fatto di fragile vetro dando sfogo alle sue improvvise crisi di follia che lo vedevano correre fino allo sfinimento o scagliarsi contro i servitori e, perfino, contro la moglie ed i figli perché, diceva, erano lì per attentare alla sua vita.
L’ultima pazzia di Carlo poco prima di morire. Volle infatti fare testamento diseredando il figli e istituendo erede proprio il nemico dei francesi, quell’Enrico V che sedeva sul trono d’Inghilterra.
Se i suoi sudditi devoti sopportarono in silenzio le sue pazzie, proprio quella disposizione non la fecero passare, sul trono di Francia si sarebbe, infatti, accomodato il di lui figlio Carlo VII che, con l’aiuto di Giovanna d’Arco sarebbe stato incoronato a Reims. A Carlo VII e a cui sarebbe andato il merito, dopo averli sconfitti, di avere scacciato gli inglesi dal territorio francese.
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