L’attentato a Charlie Hebdo ci dice che serve più integrazione

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7 Gennaio 2015
Il gravissimo attentato di oggi contiene ancora più rischi di quelli immediatamente suggeriti dai gesti: altri morti, altri scontri, terrore . La vera minaccia non è lo scontro di civiltà ma lo scontro con la civiltà universale, quella che accomuna democratici e moderati su tutti i fronti. Il pericolo cioè che l’orrore del momento possa scalfire e compromettere il  lento ma continuo percorso di integrazione di cui l’Europa può e deve rappresentare un modello vincente. Nazionalismo, populismo, allarmismo possono trovare nella sofferenza un terreno fertile per farci arretrare rispetto a conquiste culturali e sociali ancora fragili e tutte da consolidare.
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Senza entrare nel merito della situazione francese e della distopia letteraria del momento (la cui tesi è più sottile e al tempo ambigua di quanto non sembri) sarà utile, sano, riportare lo sguardo sul nostro paese e sullo stato di multiculturalismo e xenofobia, le due categorie chiave con cui analizzare il presente. E i dati ci dicono chiaramente che la tendenza dominante in Italia è quella dell’accoglienza e della positiva e costruttiva accettazione dei flussi migratori. Il 65% degli italiani è favorevole a una società multietnica in cui convivano culture e razze diverse e (escludendo una nuvola grigia di indifferenti) solo il 26% cova atteggiamenti etnocentrici di vario tipo. Non ci ingannino i successi di Matteo Salvini, da sempre l’etnocentrismo  si rianima quando la società va trovando nuovi equilibri. Le parti estreme, mosse da sentimenti di conflitto, si risvegliano di fronte alla percezione della propria debolezza.
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E’ interessante anche analizzare la provenienza di tali posizioni, nelle loro diverse sfumature.  Esiste un razzismo generico, che si esprime in linea teorica come avversità a una società multietnica e multireligiosa. Si tratta di soggetti più anziani, tendenzialmente di ceto medio e bassa istruzione. C’è poi un razzismo più epidermico,di stampo nimy, quale si esprime ad esempio nella contrarietà alla costruzione di una moschea nel proprio comune (e qui il dato sale al 51%) , che coinvolge invece anche i giovani (più disposti a combattere su un primato simbolico).  Colpiscono delle costanti di entrambe le posizioni, ovvero la bassa scolarizzazione e struttura famigliare di coppie con figli. Occorre vigilare sull’evoluzione dell’opinione pubblica, perché queste sentimenti xenofobi non vengano rinfocolati sulla base dell’onda emotiva del momento, arrestando il  processo di integrazione. Di questo il nostro paese, già pressato da tante emergenze, non ha proprio bisogno.
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TAG: 7 gennaio 2015, attentato, charlie hebdo, matteo salvini
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