C’erano buoni motivi per congedarla, Gervasoni. (Non certo quelli della Luiss)
Chissà se avete letto cosa è capitato al professor Marco Gervasoni, sino a qualche ora fa professore a contratto della Luiss, dove insegnava Storia comparata dei sistemi politici. Lo hanno gentilmente messo alla porta in virtù delle sue idee, questa la sostanza. E come se ne sono accorti? Da Twitter. Capite già che qualcosa non torna. E da entrambe le parti. Non funziona che un ateneo così celebrato e liberale (almeno sulla carta), debba aspettare le quattro cazzatelle che ognuno di noi scrive sull’universo mondo per farsi un’idea compiuta dell’integrità professionale di un proprio collaboratore. Ma neppure il professore in questione può ripararsi dietro l’ingenuo paravento del “qui solo opinioni personali”, che amabilmente campeggia nella sua home, come non fossero proprio quelle a essere decisive in ogni nostro frammento di vita.
Fatto sta che nella libera espressione del pensiero, Gervasoni scrive giustamente quel che gli va, senza troppi paletti e anche con una certa veemenza, sul problema immigrazione. E tra le cose scritte su Twitter, una in particolare parrebbe quella che gli è costata la ghirba luissiana. Riprendendo una sollecitazione di Giorgia Meloni (già questo non benissimo, per lo meno non a livello della sua cattedra, ma pazienza), che chiedeva il cannoneggiamento della Sea Watch, il nostro Gervasoni si espone senza troppe cerimonie: «Ha ragione Giorgia Meloni, la nave va affondata. Quindi Sea Watch bum bum, a meno che non si trovi un mezzo meno rumoroso».
La polemica è montata, persino penosamente si è dovuto specificare che il cannoneggiamento era immaginato senza gli umani a bordo (ma dai), e si è estesa, evidentemente, sino al consiglio della Luiss. Che ha deciso come sapete. Qui ci sarebbe, secondo il malizioso Gervasoni, un primo magheggio, perché la comunicazione ufficiale della rottura del rapporto è arrivata, guarda un po’, a governo Conte-bis appena insediato, quindi con la serena copertura di un nuovo esecutivo, quando invece nei programmi studenteschi il corso del prof sembrava confermato. Il caso è montato sui giornali di destra come vera e propria censura, il che ha una sua coerenza. Luiss vagamente paracula ma comunque dentro il suo recinto privato di competenze.
Insomma, il gustoso fatterello potrebbe anche chiudersi qui, se non fosse che Gervasoni dà un’intervista a Fausto Carioti di Libero. Si ripercorrono le tappe della polemica, “Gerva” la butta un po’ in caciara, demitizza Twitter, dice che in fondo è una molto libera espressione dell’animo umano e dunque possono uscire cose anche un po’ sgarrupate. Da cui reazioni di segno altrettanto forte. Poi Carioti pone la domanda chiave: “Queste posizioni lei le ha mai espresse dalla cattedra d’insegnamento?” Risponde lapidario il prof: «Mai. Ho allievi di ogni orientamento politico, ai quali non ho mai fatto percepire quali fossero le mie opinioni su Carola Rackete e altre vicende del genere».
Di getto, verrebbe da dire: e allora, gentile professore, cosa insegna a fare?
In una sola risposta, con pochissime parole, Marco Gervasoni ci offre il senso di una Grande Ipocrisia. L’ipocrisia della nostra scuola, che vorrebbe insegnanti e professori sdraiati su un melmoso politicamente corretto, persone che si svestono all’alba delle proprie idee e della propria identità e che si rivestono di un asettico nulla emozionale prima di varcare la soglia dell’istituto, in cui invece troveranno ragazzi affamatissimi di conoscenza. Conoscenza vera, carnale, studenti che non aspettano altro che i sentimenti altrui per poi formare i propri. Il che, gentile Gervasoni, non significa stupido indottrinamento che qualcuno peraltro fa, venendo sgamato al primo curvone della storia, anche quella piccola, ma più virtuosamente l’illustrazione profonda dei fatti attraverso la nostra condizione sociale, di cittadini professori.
Non sapere come la pensa un professore, solo perché il medesimo crede di non rivelarsi mai, non solo è un insulto pedagogico, ma è anche una falsa rappresentazione della realtà. Più che ingenua, proprio fessa. Perché sostenere che “non ho mai fatto percepire quali fossero le mie opinioni”, che si trattasse della capitana Carola o di chiunque altra situazione, è un azzardo insostenibile, e poi davvero, Gervasoni, lei può credere in tutta coscienza che i suoi studenti non l’abbiano pesata al grammo, politicamente parlando, non le abbiano fatto tutte le bucce possibili, raggi X, lastre, risonanze magnetiche del caso? La sua robotizzazione universitaria, se mai c’è stata, non ha giovato a nessuno.
Il professore deve dire la sua, deve essere così intelligente da potere dire la sua, da stimolare il dibattito, sollecitare le pieghe dei suoi studenti, averne di ritorno altre emozioni, altri “pareri squisitamente personali” che sono il patrimonio intellettuali che regolarmente dispensiamo in ogni dove, al bar, su Twitter, a casa, allo stadio. Perché, gentile Gervasoni, non dovrebbe essere così anche in un’aula universitaria?
Dunque, è esattamente per i motivi contrari a quelli scriteriati opposti dalla Luiss che avrebbero dovuto congedarla. Avendo lei cristallizzato i suoi sentimenti universitari.
Un commento
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Gervasoni era a contratto. Dunque non un vero accademico. Nessuna perdita. Sull’affondamento della nave (senza umani, spero), non mi pare un’uscita intelligente (se poi pensi che la pensata arriva da una come la Meloni…): ci sono già troppi rifiuti in mare.